di Simone Cantoni
Elemento classico dell’antipasto all’italiana, il crostino si presta a un vasto campionario di esecuzioni, interpretazioni e varianti.
In questo caso, ci siamo divertiti a mettere sotto la lente d’ingrandimento una versione nella quale sia la guarnitura sia la base attingono a un repertorio tutto sommato classico: convergendo verso la preparazione di uno “zatterino” di polenta cosparso con della salsa ai fegatini di pollo.
LA PREPARAZIONE
Per la base, si procede in quattro tappe. La prima: far bollire dell’acqua in un tegame, aggiungendo a quel punto un cucchiaio di extravergine e una dose di polenta istantanea. Seconda tappa: mescolare con cura, ricavandone un impasto denso, ma non rappreso, per poi versarlo in uno stampo da forno, esso stesso lubrificato con un poco d’olio. Terza manovra: dopo un’ora di raffreddamento e rassodamento, estrarre la massa dalla teglia e tagliarla a fette (o a dischetti o in altra forma) di spessore non inferiore ai 2 centimetri circa. Quarto passaggio: sistemare gli zatterini su una piastra, accendere il fornello e abbrustolirli senza bruciarli. Passiamo ora alla salsa: si parte con un soffritto di scalogno tritato, aglio e rosmarino, al quale, dopo una dozzina di minuti, si aggiungono i fegatini, sfumando via via con vino bianco, fino a ottenere un composto cremoso, il cui profilo sarà da aggiustare con spolverate di sale e pepe, senza comunque usare la mano pesante. Una volta pronta la guarnitura, non resta che spalmarla sui crostini (calda l’una e caldi gli altri), per poi servire in tavola.
IL PROFILO ORANOLETTICO
Si ha di fronte un boccone dalla superficie esterna croccante, ma dalla consistenza tenera; dotato di una discreta frazione grassa; contrassegnato da un gusto intenso (sebbene bilanciato dal carboidrato della polenta), di tendenza fondamentalmente dolce-sapida, con la possibilità di qualche vibrazione acidula e di qualche sterzata piccante. Inoltre si ha a che fare con un’olfattività decisa: legata da un lato alla varietalità della carne avicola (e in specie alla parte anatomica impiegata); dall’altro al contributo aromatico del rosmarino e, soprattutto, dell’aglio. Insomma un Dna sensoriale complesso: con il quale, sul fronte degli abbinamenti birrari, ci si è rapportati attraverso una batteria di prove imperniata attorno a tre prodotti ciascuno di diversa tipologia.
CON LA MÄRZEN… MUSCOLARE
Si comincia con una Märzen, diciamo, “potenziata”: quella che, recante il nome d’arte di “Lamù”, circola sul mercato con la targa del birrificio “Geco” (Cornaredo, Milano) e con una gradazione pari al 6.7%, a fronte di valori medi che, per la categoria, oscillano tra il 5,8 e il 6,3. Ma lasciamo da parte le sottigliezze stilistiche: qui conta che la birra (un’ambrata di tonalità piena) presenta toni nasali biscottati, caramellati e di frutta secca, atti a riprendere le tostature applicate sia alla polenta sia alla salsa; e in bocca sviluppa una condotta palatale morbida (benché non esplicitamente dolce), ciò che meglio si presta ad assecondare senza urti il taglio sapido-acidulo e piccante del boccone. Quanto alla gestione del carico lipidico del crostino, la sorsata magari non spicca per acidità: ma al compito che le spetta sono ben sufficienti le sue doti in bollicina e (come detto) in alcol.
CON LA SAISON
Secondo “giro”, seconda tipologia. Una Saison, per l’esattezza: e in particolare la “Senatrice”, che il suo produttore – il marchio toscano “La Stecciaia” (a Rapolano, Siena) – ha così battezzato alludendo all’impiego, in ammostamento, di grano antico della varietà “Senatore Cappelli”. Il bicchiere, dorato e di diffusa velatura, presenta aromi, sì, fruttati (pera, ad esempio); ma anche (e con decisione) fogliacei (timo) e speziati (pepe): inclini ad agganciare piacevolmente la nota di rosmarino in dote alla salsa di fegatini. C’è poi la “partita palatale”: e qui il combinato di lieve acidulità, bella carbonazione e buona alcolicità (siamo a quota 6.5) consente alla birra di fluidificare agevolmente la materia grassa della guarnitura. Infine, gli aspetti gustativi: va detto che un minimo di curvatura amaricante la bevuta lo propone; e dunque, occorre monitorarne bene l’incrocio con gli spunti sapido-acidulo-piccanti del crostino: in realtà, però entrambe le connotazioni (potenzialmente conflittuali tra loro) non esprimono “picchi” così energici da dar luogo a zuffe degne di nota.
CON LA SCOTCH ALE
Una Wee Heavy in versione partenopea è la bevuta che chiude il nostro cerchio. Si tratta della “Tramalti”, bruna d’ispirazione scozzese e di medio-alta gradazione (la lancetta segna il 7%), appartenente alla scuderia “Okorei” (Napoli): una “pinta” che profuma di fichi disidratati, noce e nocciola, miele di castagno; e il cui finale di bocca mantiene un equilibrato residuo zuccherino, tipico per la tipologia di riferimento. Così, nell’incontro ravvicinato con i crostini, si consegue una sorta di sintesi tra i due abbinamenti precedenti: al naso e al palato si apprezzano, rispettivamente, le tostature e le rotondità già viste all’opera con la “Lamù”; sul versante della gestione lipidica, lo scalcio alcolico della sorsata riproduce gli effetti di pulizia del cavo orale ottenuti dalla “Senatrice”. E dunque, un finale migliore non avremmo potuto sperarlo…
BIRRIFICIO GECO
Via Palladio, 6 – frazione Cascina Croce, Cornaredo (Milano)
T. 02 93561119
info@birrificiogeco.it
birrificiogeco.it
BIRRIFICIO LA STECCIAIA
Podere del Pereto – località Pereto, Rapolano Terme (Siena)
T. 335 6300662
birrificio@lastecciaia.it
www.lastecciaia.it
BIRRIFICIO OKOREI
Via Marconi, 55 – Mariglianella (Napoli)
T. 388 3980577
info@okorei.it
www.okorei.it