di Simone Cantoni
Jalapeño: suono evocativo, in cui s’intrecciano suggestioni di storie precolombiane e di antiche civiltà indie.
Il termine deriva da “Xalapa”, città messicana (nello Stato di Veracruz) il cui nome – di origine nahuati, una lingua azteca – significa, più o meno, “luogo in cui s’incontrano sabbia e acqua”. Ebbene, da qui prende vita l’epopea di una tra le varietà di peperoncino oggi più apprezzate dal pubblico e quindi più gettonate in cucina. Il frutto, di media grandezza (tra i 5 e i 9 centimetri), presenta colore verde in “gioventù”, quando la sua consistenza è croccante, e rosso in piena maturità, quando il suo gusto si fa più dolce e più piccante insieme. Vigoroso nel temperamento sensoriale e duttile come ingrediente, si presta alla realizzazione di numerose ricette: tra le quali, oggi, rivolgiamo la nostra attenzione a quella che vede lo Jalapeño nel ruolo di “cardine” attorno al quale preparare dei gustosi “scrigni” ripieni di formaggio e avvolti da un friabile strato di frittura. Un boccone allegro e appagante, con cui aprire un pasto o soddisfare uno sfizio della gola in qualsiasi ora della giornata.
UN FAGOTTINO “TUTTO FUOCO”
La preparazione non è difficile. Si parte dai peperoncini: ognuno dei quali deve essere lavato; liberato dal picciolo, all’estremità, e dai semi, all’interno; quindi “imbottito” inserendo, nella sua cavità, un bastoncello di formaggio (ad esempio scamorza o provola) tagliato a misura. Operazione successiva, il rivestimento esterno: con un duplice passaggio (prima in uova sbattute e poi in pangrattato) da effettuare una prima volta e poi da ripetere per dare stabilità alla “carenatura”. A questo punto non resta che friggere, in un generoso “bagno” d’olio di semi fino doratura, così da poter servire in tavola il piatto ben caldo. Cos’avremo “sotto il dente”? Una consistenza leggera; una morbidezza lipidica importante; una sapidità non aggressiva (dipendendo sostanzialmente dal ripieno) ma una piccantezza energica; un aroma complesso, frutto della combinazione tra quello degli Jalapeño e quello del formaggio applicato in guarnitura. Elementi sulla base dei quali abbiamo elaborato questa triplice prova di abbinamento.
CON LA WEIZENBOCK
Il primo “incontro ravvicinato” chiama all’appello la scuola brassicola tedesca: con la muscolare Weizenbock (7.7 il valore segnato dall’etilometro) firmata dalla “Staatsbrauerei Weihenstephan”, a Freising (Baviera) e battezzata “Vitus”. Una sorsata dal colore paglierino carico, il cui aroma fruttato e speziato (banana, pera, chiodo di garofano) non “aggancia” un’analoga direttrice olfattiva nel piatto, ma si affianca alle peculiarità odorose di quest’ultimo in un concerto a più voci comunque gradevole (formaggio e pere è un binomio tutt’altro che bizzarro, in fondo). Il meglio viene in ogni caso al palato: la bevuta, con la sua dolcezza, asseconda e ammansisce il cuneo sapido-piccante del fagottino; mentre con il suo ficcante slancio in alcol, acidulità e carbonazione, scioglie egregiamente la materia grassa dell’involtino fritto.
CON LA BRITISH STRONG ALE
Salto della Manica e, oplà, eccoci nel Regno Unito. Qui, dal 2018, un birrificio trappista – quello del monastero di Mount Saint Bernard (nel Leicestershire) – presidia il mercato con la propria British Strong Ale, la “Tynt Meadows”, una bruna dalle tonalità austere e dailla gradazione attestata a quota 7.4. Simile a quelli prodotti dalla Vitus sono i risultati olfattivi dell’abbinamento: le specifiche del peperoncino e del formaggio non trovano, ad attenderle, note così affini, da parte del bicchiere (il cui naso parla di noce e nocciola, fichi e liquirizia); piuttosto le due correnti si affiancano: ma, di nuovo, la somma è eufonica (e d’altra parte, come prima, esce fuori la suggestione di un connubio assai familiare: in questo caso quello tra cacio e frutta secca). Quanto al palato, qui la sorsata fa mancare un poco di acidulità, ma il lavoro sulla materia lipidica del boccone è ugualmente più che efficace grazie agli ottani alcolica; mentre rispetto alle note sapido-piccanti dei fagottini, anche qui non troviamo alcuna amaricatura d’intralcio, ma solo un’accondiscendente e levigante dolcezza etilica.
CON LA BELGIAN GOLDEN STRONG ALE
Ultima tappa e ulteriore spostamento: si torna in continente per bussare alle porte di casa “De Ranke” (a Dottignies, nella provincia belga dello Hainaut) e farci servire una “Guldenberg”, la Belgian Golden Strong Ale da 8 gradi che è tra le etichette-bandiera della scuderia. Non cambiano le regole dell’ingaggio olfattivo: sorso e boccone parlano lingue diverse, ma dialoganti; con la pera e il ginepro del primo che “corteggiano” il formaggio del secondo, lasciando la mente disegnare l’immagine di una caciotta aromatizzata alle erbe e accompagnata da qualche succoso spicchio di Kaiser o di Willams. Si passa così alla condotta gustativa e palatale: sul cui piano, nel confronto con le prime due “riprese”, qualcosa cambia, ma non troppo. Rispetto alla “Vitus”, l’acidulità è inferiore, ma l’alcol è tre decimali sopra: basta e avanza per regolare i conti con la densità lipidica dell’involtino. Mentre in ordine alla gestione del contenuto sapido-piccante della frittura, nella sorsata troviamo giusto un palo di amaro finale, nel contesto di un’assai prevalente rotondità alcolica: niente di sufficiente a generare stridori di sorta. Anzi, la combinazione fila: alla grande…
BAYERISCHE STAATSBRAUEREI WEIHENSTEPHAN
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Oaks Road, Coalville – Leicestershire, LE67 5UL, England
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BROUWERIJ DE RANKE
Rue du Petit Tourcoing, 1/A, Dottignies (Belgio)
0032 (0)56 588008
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