di Giorgia Tabbita
Una degustazione virtuale alternata al racconto del vino italiano, da nord a sud, con una dozzina di vignaioli che, parafrasando De Andrè vanno in “direzione ostinata e contraria”.
Punto centrale del nostro appuntamento virtuale tenutosi in diretta da Villa Costanza a Palermo e condotto da Fabrizio Carrera e Federico Latteri, l’idea di vino che accomuna i nostri ospiti. Vino inteso semplicemente nella sua essenza unica del terroir, come ad esempio è filosoficamente l’idea di Alessandro Dettori di Tenute Dettori in Sardegna, secondo cui “tutto il resto sono sovrastrutture che portano lontano dall’agricoltura”. Personaggi con una personalità molto forte nel loro settore, nei cui vini ci chiediamo quanto c’è del loro territorio e quanto di loro. Ma perché li definiamo proprio “ostinati e contrari”? Per Fulvio Bressan di Bressan Mastri Vinai, il concetto di “contrario” è opinabile. “Contrario rispetto a cosa? – si chiede – Per gli altri siamo contrari, ma noi seguiamo la natura, siamo dei cinghiali che stanno in vigna, che riescono ad emozionarsi ogni anno guardando la gemma che si apre, siamo consci che abbiamo solo il potere di rovinare quello che la natura ci ha dato”. E spiega nel dettaglio. “Se hai lavorato bene in vigna il 90% di un vino lo fai lì stesso, non in azienda. Io vedo tanta gente non perdersi neanche una degustazione, neanche un evento, e mi chiedo ma quando vanno in vigna? Se hai tuoi bambini che ti aspettano e non vuoi occupartene sono fatti tuoi, ma il vino allora non è tuo, tu sei solo il proprietario”.
Ad alternare il colloquio tra il direttore di Cronache di Gusto Fabrizio Carrera e gli ospiti, le degustazioni del nostro wine writer Federico Latteri. Tre bianchi i primi assaggi. A dare il via alla degustazione è il Montecitorio 2016 di Walter Massa, produttore – racconta Latteri – che quasi dal nulla è riuscito a far rinascere il Timorasso, quando era ormai estinto. “Montecitorio è l’ultimo dei Cru di Walter. Il Timorasso con un lavoro attento in vigna – spiega – riesce a dare vita ad un bianco che matura benissimo nel tempo. Un vino che fa una brevissima macerazione sulle bucce e che colpisce da un lato per la sua pienezza, dall’altro per la spiccata mineralità e che con qualche anno di evoluzione, tipico del Timorasso, comincia a sviluppare dei sentori di idrocarburi che emergeranno anche in altre varietà”. Il secondo vino è un vino che fa macerazione sulle bucce, ed è il vino di Damijan Podversic: il Kaplja 2016. Un blend di Chardonnay, Malvasia e Friulano. “Oltre alla complessità, a queste note fruttate, resinose, erbe aromatiche – spiega Latteri – questo volume è espresso con finezza e non c’è niente che non sia piacevole. Per un vino inteso in questi termini di pienezza e complessità, e vinificato così, non è affatto facile raggiungere questi equilibri”. Terzo assaggio dei bianchi è il Campo delle oche integrale 2015 di Fattoria San Lorenzo. “Integrale perché è imbottigliato così com’è – aggiunge Latteri – con lieviti e tutto, senza subire nessuna procedura che gli possa sottrarre qualcosa. Ha una buona velatura, è sapido e mantiene un’espressione completa del territorio. Vino dotato di particolare polposità, ben fatto e inaspettato”. Vini tutti diversi tra loro, intesi come alimento per l’anima. “Quando bevi vino hai bisogno di un amico o di un qualcuno vicino con cui condividerlo – sostiene Damijan Podversic – o se sei solo, al massimo, a farti compagnia sarà un buon libro”. Per lui il vino deve avere tre caratteristiche imprescindibili: mineralità del suolo, succosità e ritmo dell’annata. “Il vino non serve all’uomo per la sopravvivenza – spiega – si può fare a meno di lui. Il vino serve per fermarsi e godere, quindi dev’essere buono”.
Continuando con le degustazioni, Latteri passa poi ai rossi, partendo dal Poiema 2016 di Eugenio Rosi. “Un vino fatto col Marzemino, coltivato in Trentino – dice – Regala grande piacevolezza e una volta finito di bere ne vuoi bere ancora e ancora, finché non finisci la bottiglia”. “Credo che nel vino ci sia anche il produttore – sottolinea Rosi – L’uva buona si fa in campagna, ma il vino buono si fa in cantina. Ci vuole la presenza del produttore, io credo in questa interpretazione non invasiva”. Per Alfio Cavallotto, di Cavallotto Tenuta Bricco Boschis, bisogna non rovinare quello che la natura dà. “Mi piace l’idea di lasciare un vigneto che per sempre sarà così, – ha spiegato – quindi la sostenibilità è un obiettivo assolutamente da raggiungere. Noi coltivatori oggi siamo un po’ arrabbiati con l’industria che non vede l’ora di mettere le mani su un prodotto artigianale, rivenduto poi come se fosse una bevanda qualunque”. Il quinto vino è Archimede 2016 di Marabino, nell’estremo sud-est di Noto, in Sicilia, in quella che Latteri ama definire la “culla” del Nero d’Avola. “Un vino affinato in botte di ciliegio – spiega – Particolarissimo e con una personalità fortissima. Si sente una bella freschezza, è succoso, piacevolissimo”. “L’Archimede è frutto di una delle vigne più vecchie che abbiamo – aggiunge il produttore Pierpaolo Messina – Ha più di cinquant’anni e ha una resa bassissima con circa 2.000 bottiglie per ettaro”. Altro vino tra gli assaggi è il Monte di Grazia Rosso 2015 di Monte di Grazia, proveniente da Tramonti in Costiera Amalfitana. “Una piccola vallata in cui ci sono diverse esposizioni e vigneti con caratteristiche diverse – spiega Latteri – E in questo caso il vitigno utilizzato è il Tintore. Il Monte di Grazia Rosso 2015 combina la mediterraneità e il suolo con chiare note di cenere”. Spostandoci in Toscana, con il Brunello di Montalcino di Pian dell’Orino 2015, troviamo un vino con prospettive incredibili e tipici sentori terrosi di Montalcino. “Uno di quei vini che danno piacevolezza e mentre lo assaggi pensi a metterne qualcuna in cantina” commenta Latteri durante l’assaggio.
Il Barolo Riserva Bricco Boschis Vigna San Giuseppe di Cavallotto è un vino evocativo. La vigna San Giuseppe è uno splendido Cru all’interno di una Menzione geografica aggiuntiva. Un vino tosto, fresco, con un tannino robusto e soprattutto multidimensionale. “Ad ogni sorso scopri qualcosa di diverso – precisa Latteri – E probabilmente dobbiamo aspettare ancora qualche anno per riuscire a leggere quali sono le sue potenzialità”. Tornando a parlare di vino e terroir, per Carlo Venturini di Monte dall’Ora questo periodo è stato molto importante per ragionare sulle scelte fatte fino ad oggi, con un occhio al futuro. “ E’ molto importante che le nostre aziende non siano solo aziende che producono vino. Noi produciamo anche ciliege, olio, un po’ di mais per la nostra famiglia e delle famiglie amiche. Cose che ci permettono di tornare ad essere contadini e a riscoprire la bellezza della terra”. Il Valpolicella Classico Superiore 2016 Monte dei Ragni mostra una grandissima definizione di odore e sapore, ma soprattutto grandissima eleganza con componenti fruttate e floreali molto equilibrate. Un vino che non si smetterebbe mai di bere, a fronte di un’intensità importante, che se non ben equilibrata risulta difficile da bere. Decimo vino è il Tenores 2016 di Tenute Dettori, proveniente da un vecchio vigneto di Cannonau meraviglioso su un terreno prevalentemente calcareo. Come dice il produttore stesso “additivi: uva” che sembra scontato, ma non lo è. Grande concentrazione, maturità. Amarone della Valpolicella Stropa 2012 Monte dall’Ora. Ultima annata in commercio con una ricchezza notevolissima. E’ un Amarone quadrato con del potenziale incredibile. L’ultimo vino, infine, ci porta indietro nel tempo, nel lontano 2004 con il Venezia Giulia Rosso Igt “Pignol” – Bressan Mastri Vinai. “Un vino fascinoso, straordinario, “di lusso””. – conclude Latteri domandando al produttore stesso com’è possibile realizzarlo. “E’ un vino che ti spiega che il tempo non si compra in bustine – spiega Bressan – Per noi il tempo è un alleato, per altri è un nemico, dipende dal concetto di vino che si ha in testa. La vigna è il posto più bello al mondo, dove nessuno rompe le scatole. Io sto bene a fare il facocero in vigna, mi aiuta a pensare. Per me la sostenibilità è non rompere le scatole alla terra più di quanto già non abbiamo fatto”.