Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La degustazione

I vini dell’Etna che incantano Expo: la degustazione glamour di 5 rossi

25 Settembre 2015
vini_in_degustazione vini_in_degustazione

Organizzata con Cronache di Gusto nello spazio di Identità Golose

(I cinque vini dell'Etna in degustazione)

da Milano, Michele Pizzillo

I vini dell’Etna conquistano buongustai in enoteca e nei ristoranti, ma anche viticoltori di altre regioni italiane che amano le sfide in una sorta di “via americana” alla ricerca dell’oro. 

Tant’è che alla degustazione “Identità di Vino – Vini dell'Etna”, guidata da Cinzia Benzi di “Identità Golose” e dal direttore di “Cronache di Gusto” Fabrizio Carrera, “consumata” giovedì pomeriggio a Milano ad Expo e proprio nello spazio di “Identità Golose”, i produttori dei vini proposti parlavano diversi dialetti: il piemontese di Mario Ronco, il toscano di Silvia Maestrelli e di Antonio Moretti, il romano di Mario Paoluzzi e anche un po’ di siciliano, con Giovanni Valenti.

Una conferma che un vino millenario – fra i suoi consumatori e forse anche produttore, ci sarebbe pure Polifemo raccontato da Omero – dopo alterne vicende, è in grando di essere prima alimento e poi linfa capace di rafforzare i suoi fratelli del Nord Italia e d’Europa; ma anche ad essere trascurato dagli stessi viticoltori quando non sono più riusciti a venderlo come prodotto sfuso, prima di arrivare alla metà degli anni '90 quando grazie all’impegno di un pugno di viticoltori, l’Etna è praticamente esploso, ha rammentato Carrera, duettando con la Benzi in un piacevole gioco delle parti per vivacizzare la degustazione e non trascurare nessun aspetto del vino, prima di inebriarsi dei profumi e delle emozioni che poi hanno offerto i cinque grandi rossi scelti per la degustazione ad Expo.


(Cinzia Benzi e Fabrizio Carrera)

Eppure il vigneto dell’Etna rappresenta solo l’uno per cento dell’immensa vigna sicula. Ma è una vigna che produce vini che sono sulla bocca di tutti, ha aggiunto il direttore di “Cronache di Gusto” evidenziando pure che un ettaro di vigna aggrappata all’Etna può raggiungere 100 mila euro di quotazione. Insomma, un fenomeno che probabilmente è ascrivibile all’eleganza straordinaria che ha il vino dell’Etna che la Benzi non ha avuto nessun timore a paragonare ai grandi Nebbiolo. Conferma che arriva da un altro piemontese, Marco Ronco, l’enologo che in Sicilia ha già seguito 16 vendemmie dell’azienda Cusumano e da tre anni, anche la vigna che questi hanno acquistato sull’Etna, producendo un rosso, la vendemmia è del 2013, dalla grande complessità di profumi. Alta Mora di Cusumano, infatti, è un esempio di vino che racchiude le essenze di un vulcano, con i sentori polverosi e non è un’annotazione negativa, che si avvertono al naso di questo rosso rubino molto intenso.

Il crescendo rossiniano continua con Anima Ardente di Contrada Santo Spirito, prodotto da un altro imprenditore toscano, Antonio Moretti, che a Noto possiede Feudo Maccari. Questo vino “toscano” della vendemmia 2012 mostra una struttura che non vede l’ora di esplodere con tutta la sua potenza di profumi e di sapori che comunque caratterizzano tutti i rossi dell’Etna ottenuti prevalentemente da uve Nerello Mascalese. E, a mano a mano che la degustazione prosegue con vini più vecchi, appare chiaro che il filo conduttore è la complessità del prodotto di queste terre ed anche la constatazione che ogni un vino è diverso dall’altro. Eppure I Puritani delle Cantine Valenti è del 2011, una annata non proprio buona da quelle parti. Ma il vino del siciliano che ha partecipato alla degustazione è talmente buono che ha ancora la possibilità di invecchiare diversi anni. Al momento, però, non si può ancora valutare la longevità dei vini etnei, perché pur avendo avuto Omero come cantore e quindi una produzione già importante qualche millennio addietro, la vigna dell’Etna è ancora molto giovane: è negli ultimi anni del 900 che ha cominciato a chiedere di non essere più sottovalutata. Richiesta subito accolta, da siciliani e non, tutti però accomunati dalla consapevolezza che “abbiamo oro fra le mani, utilizziamolo bene”. Ad evidenziarlo è un’altra toscana, Silvia Maestrelli, letteralmente strega da questo angolo di Sicilia dove ha acquistato la Tenuta di Fessina nel 2007 “per fare i vini dell’Etna, non sull’Etna” e del suo Etna rosso riserva Il Musmeci, ha vinificato solo tre vendemmie: 2007, 2008 e 2010. Quest’ultimo in degustazione a Milano, con tutta la versatilità del rosso ottenuto dal Mascalese presente in una vigna quasi secolare.

Il vino più vecchio in degustazione è stato Aetneus 2008 prodotto da “I custodi della Vigna” e presentato dal romano Mario Paoluzzi che ha acquistato la vigna nel 2006 e, sinora, ha imbottigliato solo due annate, 2007 e 2008, per il semplice motivo che “noi siamo conservatori; cerchiamo di trasformare il meno possibile quello che abbiamo trovato”. I risultati si vedono di questo positivo conservatorismo, sottolinea Carrera che spiega: “qui siamo di fronte ad una viticoltura estrema anche per le situazioni climatiche non sempre favorevoli”, mentre Valenti, che lo sa bene, annuisce. E, prosegue Carrera “ci vuole coraggio a coltivare la vigna alle pendici dell’Etna che però, come sostenne Alexis de Tocqueville in un suo viaggio da queste parti e ricordato dallo scrittore Leonardo Sciascia, la lava ha salvato queste terre dalle contaminazioni di quel latifondo che ha prodotto molti disastri nelle altre aree della Sicilia”. Perciò qui ci sono solo piccole produzioni “però siamo capaci di fare gruppo – aggiunge la Maestrelli – a differenza di quanto avviene nella mia terra d’origine”.
A questo punto è d’obbligo la domanda “ma il mondo vuole bere Etna”? Risposta, unanime: si. Altrimenti non si spiegherebbe perchè i rossi etnei sono più conosciuti all’estero che in Italia. E, aggiunge Valenti: “Da noi è un continuo via vai di cinesi, giapponesi, thailandesi, americani che mi inorgogliscono quando dicono che i miei vini non hanno niente da invidiare a quelli della Borgogna”. “A New York, ad un wine-tasting – racconta Maestrelli – c’era ressa solo al mio tavolo e a quello del Brunello di Montalcino”.