di Fabiola Pulieri
La pandemia ha creato abitudini, stimolato idee e inventato mode e anche se ora è possibile ritornare ad una pseudo normalità forse non tutto è da modificare.
Tra le novità introdotte nel periodo di lockdown causa Covid-19 quella sicuramente più divertente è fare le degustazioni online collegandosi da varie parti d’Italia o anche da diverse zone della stessa città o della stessa Regione, tutti uniti nella gioia di degustare, confrontarsi e chiacchierare di vini restando comodamente seduti a casa propria. Una piacevole invenzione che le aziende continuano ad utilizzare. Ieri è stata la volta delle Donne del vino del Lazio che quest’anno in mancanza dell’usuale appuntamento primaverile del Vinitaly hanno pensato di presentare i loro vini, quelli che avrebbero portato a Verona, ad un gruppo di giornalisti amanti e appassionati in una degustazione on line davvero interessante. Guidati dalla bravissima e preparatissima Claudia Massa, sommelier dell’associazione Nazionale Donne del Vino e con la presenza della neo eletta delegata delle Donne del vino del Lazio Manuela Zennaro e di Grazia D’Agata della MGLogos abbiamo avuto l’onore e il piacere di degustare i vini di quattro rinomate aziende laziali: Poggio Le Volpi, Terenzi, Colacicchi, Casale della Ioria.
Due i vini bianchi e due i rossi che erano arrivati a domicilio già diversi giorni prima e che hanno allietato le due ore trascorse in compagnia delle produttrici. Il palcoscenico sul quale si sono alternate le aziende e i vini della degustazione è quello del Lazio e in particolare dei territori dei Castelli Romani e della Ciociaria. I vini dei Castelli Romani nascono su un territorio le cui condizioni climatiche sono influenzate dalla vicinanza del mare, il terreno è di tufo friabile, ricco di potassio e fosforo, le viti accarezzate dal ponentino, il vento leggero di brezza marina che conferisce soprattutto ai vini bianchi una spiccata mineralità. Terreni vulcanici, vitigni antichi, posizione invidiabile, tutto ha contribuito a rendere unici i vini di questo territorio collinare.
La degustazione è iniziata con Epos – Frascati Superiore Docg Bianco Riserva del 2017, di Poggio Le Volpi (€ 13). Un vino dal colore luminoso, giallo paglierino e dal profumo di frutta tropicale, fiori bianchi e sentore piuttosto intenso di mandorla. In bocca morbido, fresco e sapido con un ritorno floreale e fruttato a richiamare le sensazioni percepite con l’olfatto. Un vino piacevole che dissimula bene i suoi 13 gradi e che per la sua corposità si abbinerebbe molto bene a piatti anche mediamente strutturati. Rossella Macchia ha narrato l’essenza di questo vino partendo dal nome Epos che vuol dire appunto racconto e che, legato al nome dell’azienda, richiama alla mente la famosa favola di Esopo “La volpe e l’uva”. Oggi l’azienda agricola Poggio Le Volpi a Monte Porzio Catone è tra le realtà vitivinicole più importanti di tutto il Lazio e grazie a Felice Mergè è diventata un approdo anche per i consumatori più esigenti che amano godere del buon vino unito al buon cibo e possono farlo tra i vigneti nell’Enoteca Wine & Food o al ristorante Barrique nella barricaia entrambi a cura dello chef Oliver Glowig.
Il secondo vino degustato ci ha portati più a sud in Ciociaria, in provincia di Frosinone. Il vino è Zerli – Passerina del Frusinate Igt dell’azienda vitivinicola Giovanni Terenzi. Un Passerina in purezza del 2018 di 13,5 gradi (€ 12). Un vino bianco dal colore giallo paglierino nato per caso e per scommessa in un territorio da tutti considerato vocato maggiormente per i rossi. Al naso si percepisce molto la frutta matura, la pesca e una lieve speziatura di fondo. Al gusto è caldo e avvolgente, complesso e corposo con un gusto “mielato” e un finale iodato. Questo vino fa affinamento per 8 mesi in piccole botti di rovere per poi passare alla bottiglia e fermarsi per almeno altri 6 mesi. Come ha raccontato Pina Terenzi l’azienda, per scelta, non ha mai impiantato vitigni internazionali ed ha invece recuperato il Cesanese di Affile aumentandone le piante fino ad arrivare ai 12 ettari attuali. Ancora oggi in vigna c’è il signor Giovanni che si dedica in prima persona alla potatura che lui considera la parte più importante di tutta la produzione poiché, secondo lui, da ciascuna pianta si capisce come sarà il vino.
Passando alla terza degustazione abbiamo lasciato i bianchi per assaporare un vino rosso: il Romagnano 2014 di Colacicchi, Lazio Igt (€ 38) che per pochi chilometri non rientra nella Docg. Il vigneto infatti si estende per poco meno di 6 ettari a sud-est del centro di Anagni, portato avanti fino ad oggi dalla famiglia Trimani dopo un fortunato incontro con il maestro Luigi Colacicchi (che lo aveva fatto nascere) avvenuto nei lontani anni ‘50 e diventato poi un sodalizio professionale.
Questo vino rosso corposo, rotondo e complesso è stato una piacevole scoperta e soprattutto una proiezione in avanti verso un futuro dei vini laziali improntato sul carattere e sulla longevità. Il Romagnano è un vino profondo che cattura l’olfatto con i suoi frutti rossi maturi e i sentori floreali mostrando al gusto un tannino molto ben “addomesticato” pur giocando su diverse sfumature e sensazioni. Grazie alla grande selezione e al notevole lavoro fatto in cantina il risultato è un vino molto sorprendente con note eleganti. Sarebbe divertente poter degustare alla cieca questo vino per capire quanti sarebbero in grado di riconoscerlo tra altri pari di regioni più blasonate.
Last but not the least, il quarto ed ultimo vino in degustazione è stato il Torre del Piano di Casale della Ioria 2017 (€ 22), un altro vino rosso davvero notevole nonostante la giovane annata e che, per dichiarazione della stessa produttrice Marina Perinelli, sarebbe stato il vino presentato al Vinitaly. 100% Cesanese di Affile, espressione massima del territorio, di colore rosso rubino, intenso, strutturato con forti sentori di rosa fresca e frutti rossi con un retrogusto arricchito da note speziate. Un vino vellutato, morbido, persistente ed elegante che dopo un’attenta selezione e vinificazione, riposa e prosegue il suo affinamento in piccole botti di rovere.
Casale della Ioria, 40 anni fa circa, con l’avvicendamento generazionale ha deciso di valorizzare i vitigni autoctoni selezionando e reimpiantando i cloni di Cesanese e Passerina e introducendo il vitigno autoctono “Olivella” praticamente dimenticato. Oggi i vini dell’azienda vantano caratteristiche degne di nota, ottime recensioni nelle guide di settore e sono presenti in eccellenti ristoranti ed enoteche in Italia e all’estero. In conclusione la degustazione dei quattro vini proposti dalle Donne del vino del Lazio è stata l’occasione per fare il punto sul cammino intrapreso dai produttori di questa regione volto alla sempre maggiore qualità ed espressione del territorio per omaggiarlo e comunicare al resto del mondo che i vini prodotti già dai tempi degli etruschi e dei romani sono vini eleganti e raffinati al pari di tanti altri più conosciuti e blasonati. Non resta che continuare a seguire con attenzione l’evoluzione dei vitigni autoctoni laziali in bottiglia perché riservano davvero belle sorprese.