“Dolci e verdeggianti declivi di origine eocenica, acconciati dalla sapiente mano dell’antica schiatta, che il far vino per casato offrì un pingue armamento d’appoggio allo zoccolo duro de le sue fresche ed ultime genesi”.
“L’Etna, il Mongibello: un vulcano di fantasia, con le sue ceneri bollenti, tra spaventevoli vampe, e tumulti, e scoppi. Tra una spessa tempesta di massi e pezzi di scogli riarsi che fan tutto biancheggiar d’intorno il paese fino a Taormina…”.
Due locuzioni, due anonimi cantori. Tra i tanti che hanno ispirato i due territori, oggi definiti enologici, tra i più caratterizzanti dell’ampio panorama ampelografico italiano: il Collio e l’Etna. Questi due terrori hanno dominato la scena del green carpet dell’ampio Resort del “Donna Carmela” a Carrubba di Riposto in provincia di Catania: doveva apparire come un confronto, una comparazione, un paragone declinato attraverso l’espressione dei loro vini. Si è palesato invece , e ben presto, come un parallelo, anzi un gemellaggio tra due distretti elevatisi alla dignità di perfetti ambasciatori dell’enologia italiana nel mondo. Personaggi ed interpreti: Ornella Venica della “Venica&Venica” e Michele Faro “Azienda Pietradolce”.
Le facce umane di due presidii tra i più antichi e allo stesso tempo più giovani della storia enologica italiana. Le loro origini si fanno risalire ai tempi dei Greci ma “solo” negli ultimi decenni si sono guadagnati una onorabilità e un prestigio oggi riconosciuti in tutti i continenti. Per comprenderlo ricorriamo al nostro Bignami di “Storia contemporanea dell’ enologia italiana”.
Al capitolo “Il risveglio del Collio” troviamo una data: fine anni ’60. Le ferite della guerra si erano già cicatrizzate e seppur mutilato di due terzi del suo tradizionale territorio, il Collio riuscì a coinvolgere tutto il Friuli Venezia Giulia in questa sorta di rinascimento enologico. Ma la guerra non mutilò, per fortuna, quella classe dirigenziale formatasi sotto una dominazione austriaca e che si distingueva per la sua efficiente organizzazione di stato. Che produsse risultati talmente eccellenti, tant’è che quando gli Asburgo caddero lasciarono una classe dirigente ed imprenditoriale organizzatissima. Questa stessa classe che ha messo in piedi, a partire dalla fine degli anni ’60, una sorta di rivoluzione copernicana. Quella che trasformò i contadini in imprenditori di loro stessi. Recuperando una dignità che la condizione di “contadins”, detto nel loro dialetto, mortificava. Per loro bastavano pochi ettari per godersi uno status economico tale da consentire un dignitoso tenore di vita, mandare i figli a scuola, costruire nuove cantine. Ora quei figli sono vignaioli essi stessi, orgogliosi di esser figli di contadini, sono spesso laureati, parlano più lingue (Ornella Venica ne ha dato un mirabile esempio con gli ospiti internazionali del Resort). E sanno fare il vino con una loro personale concezione e una propria vocazione. Certo i padri crearono, o scoprirono un nuovo modo concepire il vino bianco. Misero a punto una perfetta fusione, è il caso di dire, “a freddo”, fra eleganza e potenza e riscrissero la carta d’identità di ogni vino. Furono tra i primi ad esaltare il concetto di vigna e dettero a quei vini uno stile solido, al di fuori di una qualsiasi moda che nasce e muore nell’arco di un lustro. Il Tocai, che oggi si chiama Friulano, aveva un suo aroma, il sauvignon autenticamente erbaceo, (cliccatissimo il suo “Ronco delle Mele”) il Pinot grigio ammaliava per la sua dolcezza, la Ribolla era grassa e minerale. E poi, quei padri, compirono il miracolo più strabiliante: fecero innamorare i figli del loro lavoro.
Ecco una serata così, dove dentro vi sono finiti tutti questi elementi, non si può certo definire come una degustazione fra i bianchi del Collio e i rossi dell’Etna, “Infatti la considero una serata culturale – sintetizza Ornella Venica – con un predominante effetto, quello di cementare un gemellaggio tra due regioni, attraverso lo scambio delle proprie esperienze, la prova degli abbinamenti incrociati come quelli tra la cucina siciliana e i bianchi del Collio, e la ricerca delle analogie. Una di queste che mi ha sorpreso sta nell’eleganza dei vostri rossi dell’Etna”.
Elegante e discreta la presenza dell’Etna nell’ambito di questo evento. Un raffinatissimo e diplomatico esempio di ospitalità. La famiglia Faro ha volutamente lasciato spazio e scena all’ azienda invitata. Una sola etichetta in degustazione, l’ ”Archineri 2009” più l’ultimo arrivato, un vino che non ha ancora neppure un nome. Lo chiamano, per adesso “vino base”, ma mortifica oltre misura le sue enorme qualità che la giovane età (annata 2012) ha già, seppur timidamente, espresso. In “vetrina”, la famiglia Faro ha esposto la sua perfetta organizzazione del Resort “Donna Carmela”. Non solo efficienza ma un case history di imprenditorialità, emancipazione, cultura d’impresa di marketing e di comunicazione. A loro non mancheranno certo le occasioni per mettere in mostra i propri gioielli. Anche se ne hanno davvero poco bisogno.
Stefano Gurrera