Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La degustazione

Coda di Volpe, cresta dell’onda

14 Aprile 2011
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L’Irpinia torna a scommettere su questo vitigno a bacca bianca, che affonda le radici in epoca romana. Una degustazione al Vinitaly

La terra d’elezione del Taurasi punta anche sulla tradizione bianchista della Coda di Volpe. Con un vitigno a bacca bianca, erroneamente considerato minore, la provincia d’Avellino ha deciso di percorrere una nuova strada enologica.

Assaggio di questa ultima tendenza, che affonda però le radici in epoca romana, ne è stato dato al Vinitaly in una degustazione orizzontale di Irpinia Coda di Volpe Doc che ha visto sei cantine ciascuna protagonista con un’interpretazione del vitigno in purezza.
Tra queste Vadiaperti, la prima ad aver intrapreso il recupero grazie all’intuizione di Antonio Troisi. Raffaele, il figlio, oggi alla guida dell’azienda ha portato avanti il progetto: “Tutto è nato da una scommessa fra me e mio padre, nel ’93 decisi di dedicarmi a vinificare la Coda di Volpe – ha spiegato il giovane produttore -. E’ stato difficile recuperarlo in un territorio dove le viti originarie erano state tutte espiantate per il Greco. Il problema è stato l’identificabilità dell’uva”. Le affinità con il vitigno fratello maggiore sono tante. Stessa origine di provenienza dalle aree vesuviane e stessa epoca di diffusione in Irpinia tra l’800 e il 900. Simile anche la compattezza del grappolo. Totalmente diversi invece nell’acidità. Più gentile quella della Coda di Volpe e per questo andata sempre in soccorso dei produttori di Greco nelle operazioni di taglio. Tutt’altro che destinata al ruolo di uva complementare, la Coda di Volpe è in grado di sostenere una performance da solista in bottiglia. E’ in purezza anche nelle tre Doc Sannio, Taburno e Lacryma Christi e in due Igt Beneventano e Pomepiano. La caratterizza la forma del grappolo allungato, compatto che ricorda, appunto, la coda di una volpe. Molto ricco dal punto di vista aromatico, che si compone di sentori di mela, pera matura, mandorla. Riconoscibile per il tipico colore giallo paglierino con riflessi dorati.

 


Un momento della degustazione

L’acidità ben integrata lo rende apprezzato come vino giovane anche se la freschezza la mantiene fino a due. Con un acino molto consistente e bucce sottili quest’uva si presta anche a sperimentazioni con lunghe macerazioni. Di buona struttura, mai banale, il Coda di Volpe 2010 di Vadiaperti. Fine al naso ricorda frutta a polpa bianca. L’acidità che termina con punte di sapido gli conferiscono alta bevibilità. Con questo vitigno la cantina ha anche recuperato il sistema d’allevamento a tendone, pratica tradizionale dell’avellinese oramai perduta.
Note di mela golden e buona freschezza, così si presenta il Coda di Volpe 2010 della cantina Cavalier Pepe. Bianco che nasce negli ettari dell’azienda vocati all’Aglianico nel triangolo dei comuni Luogosano, S. Angelo all’Esca e Taurasi: “Mi piace perché è un vino versatile – ha detto la produttrice Melania Pepe -. Lo abbiamo piantato 20 anni fa. Era poco conosciuto ma per noi ne valeva la pena”. Unica testimonianza di come questo vino abbia buone prospettiva di longevità è l’annata 2008 della serie portata da Masseria Murata azienda ancora con un’acidità spiccata. Le vigne sono quelle che il proprietario Gianluca Argenziano ha ereditato dal nonno. “Per noi questo vitigno è un piccolo principe. Estremamente adattabile a diversi tipi di terreni e altitudini”. Bassa resa, raccolta a mano e macerazione a freddo per 18/24 ore sulle bucce per questo vino che lascia al naso e al palato note agrumate. Gradevole anche il Coda di Volpe di Casa dell’Orco cantina storica di San Michele di Pratola. Erbaceo con note di felce il 2010 di Tenuta Ponte. Erbaceo anche il Coda di Volpe di D’Antiche Terre una delle prime cantine ad avere imbottigliato questo vitigno con il proprio marchio.

Manuela Laiacona