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La degustazione

Birra e insalata russa, tre proposte per non sbagliare abbinamento

19 Giugno 2022

di Simone Cantoni

Una ricetta tanto controversa nell’origine (e quindi nelle rivendicazioni d’ortodossia), quanto unanimemente amata a tutte le latitudini e a tutte le età; pur con le ovvie eccezioni, chiaro: ma pochine pochine.

Un gradimento diffuso che, tra l’altro, ne decreta l’efficacia come “chiave” mediante la quale affrontare e risolvere, con successo, la spesso complicata equazione del convincere i più piccoli a mandar già un po’ di verdura. Parliamo dell’insalata russa: nella quale gli ortaggi, cotti o in parte crudi, vengono amalgamati (ingrediente magico) con la maionese. Un contorno, in molti casi, ad accompagnare (e arricchire) carni o pesce, magari bolliti. Ma in altrettante circostanze un antipasto: ad aprire una sequenza di portate che si voglia, da subito, golosa e “importante”; che ispiri allegria, proprio come la danza tradizionale detta “Kazachok”, tutta capriole, accovacciamenti e balzi, tanto popolare al di qua e al di là degli Urali.

LA STORIA
Tra le più note (forse la più note) composizioni a base, appunto, di verdura, ha preso piede, nel nostro Paese, a partire dallo scorcio finale dell’Ottocento, per radicarvisi assai velocemente, tanto da giungere, già dopo il primo quarto del secolo scorso, al traguardo di una piena e vasta affermazione. Addirittura, all’estero (Germania, Danimarca Norvegia e Finlandia, per fare alcuni esempi), non di rado la si trova designata proprio come “insalata all’italiana”. Ma perché, invece, quel “russa” nel suo battesimo più diffusamente recepito e seguito? Perché molte tra le ipotesi sulla sua genesi rimandano proprio in quella direzione. Secondo alcune fonti, l’ideatore sarebbe stato il cuoco russo, di origine belga, Lucien Olivier, in forza (nei decenni centrali del XIX secolo) al prestigioso ristorante “Hermitage” di Mosca (e “insalata Olivier” è un altro dei nomi con cui ci si riferisce alla nostra pietanza). Secondo altre teorie, a introdurla in Russia sarebbe stato, durante l’occupazione napoleonica (a inizio Ottocento), un politico francese: lui stesso, all’anagrafe, registrato come Lucien Olivier. Un ulteriormente diverso filone di ricerca suggerisce che, prima di approdare “via Francia” alla corte degli Zar, la ricetta avrebbe attecchito oltralpe (nel XXI secolo) grazie a Caterina de’ Medici, che qui, con i suoi cuochi al seguito, l’avrebbe portata dunque già dall’Italia. Italia alla quale guarda anche un’altra ricostruzione: quella per cui, allo Zar in visita in Piemonte (sulla fine del XIX secolo), sarebbe stata portata in assaggio un’insalata insalata “rusa” (tipica al di qua del Monte Bianco): ovvero “rossa” in virtù dell’impiego di barbabietole. Infine c’è chi sospetta che l’aggettivo “russa” alluda al tipo di servizio: “alla russa”, cioè, nel senso di un protocollo che prevede lo “barco” in tavola di tutte le portate del pasto. 

FORMULA
Quale che sia l’origine, la sostanza è quella: ortaggi lessati e porzionati a cubetti, che vengono conditi e mescolati con della maionese, per esserne poi guarniti anche al di sopra, prima di rifinire il tutto con la sistemazione, sempre esterna, di uova sode tagliate in sezione longitudinale. Già, verdure… Ma quali? Ahia, ci risiamo: di versione univocamente attestate da “sacre scritture” non ce ne sono. Piuttosto una serie di “varianti” ciascuna delle quali afferma sé stessa come “regola aurea”. Una base che fa da “minimo comune denominatore” è rappresentata dal terzetto patate, carote e piselli; una squadra ad ampliare la quale troviamo però talvolta supplementi come cetriolini, sedano rapa e la stessa già citata, barbabietola. Di certo, avvicinandoci al momento di abbinare, si ha a che fare con un boccone morbido, di densità sensoriale delicata, di moderata sapidità poggiante su un fondo di dolcezza, dotato di un considerevolmente robusto “nucleo” grasso e amidaceo. Ergo, servono birre leggere di corporatura, ben capaci però di smaltire amidi e carboidrati, meglio se tagliate su un profilo di amaricatura decisamente bassa, se non proprio assente. Ed ecco le nostre tre proposte di oggi…

CON LA CREAM ALE
Colore dorato; quattro gradi e mezzo in gradazione; un Dna da alta fermentazione ma una personalità da bassa; in bocca (grazie alla miscela includente anche fiocchi di mais, in piena ottemperanza del disciplinare tipologico) una sorsata gentile e levigata, definita da una luppolatura assai dosata. È la “Terzo Tempo” targata “Argo” (Lemignano, Parma): una Cream Ale in salsa emiliana che, con il proprio combinato tra alcol, bollicina e acidità (quella semplicemente fisiologica, da birra non Sour) assicura pulizia al palato; con l’accennata sofficità gustativa non urta la sapidità del boccone; con le sue sensazioni olfattive da crosta di pane offre un accompagnamento quasi naturale al gusto agreste della nostra insalata.

CON LA WITBIER
Ci spostiamo nelle Marche: ad Arcevia (Ancona) il “Birrificio dei Castelli” ci offre un bicchiere di “Suave”, la sua Blanche da 5 gradi e 3, speziata canonicamente con scorza d’arancia amara e coriandolo. Colore paglierino e corporatura leggera, la birra sviluppa una sorsata di nuovo esente da amaricature “di disturbo” e provvista invece di una notevole vivacità in termini di acidulità e carbonazione: requisiti che ne ottimizzano l’effetto di assimilazione della materia amidaceo-lipidica del boccone. In chiave olfattiva, poi, gli ingredienti di cui questa Wit si avvale in aggiunta diretta evocano a loro volta, nell’intreccio con le odorosità dell’insalata, un piacevole “concerto aromatico” di stampo campestre.

CON LA SAISON
Nuovo (ideale) trasferimento geografico: in Umbria, a Terni, per sorseggiare una “Nothup”, dorata Saison da 7 gradi recante la firma del Birrificio Amerino. Con la quale (non solo per il maggiore slancio etilico, ma anche per una bollicina più ficcante) le funzioni di gestione della massa amidaceo-grassa compiono un ulteriore passo avanti. Peraltro si tratta di una versione, della tipologia di riferimento, decisamente orientata a premiare le affilatezze acidule, piuttosto che quelle amaricanti: insomma un’opzione funzionale alle nostre esigenze di abbinamento. Il suo naso, infine, parlando di pane bianco appena sfornato, fiori (sambuco, ad esempio) e spezie (pepe su tutte), percorre una volta di più, in parallelo con le direttrici olfattive del boccone, quel binario di assonanze (anche emotive) che lasciano immaginare un confortevole pranzo di campagna…

BIRRIFICIO AMERINO
Strada Delle Campore, 11/13 – Terni
T. 0744 084875; 339 7529420
info@birrificioamerino.com
www.brrificioamerino.com

BIRRIFICIO ARGO
Via Giovanni di Vittorio, 78/A – Lemignano di Collecchio (Parma)
T. 329 1448831
info@birrificioargo.com
www.birrificioargo.com

BIRRIFICIO DEI CASTELLI
Via Borgo Emilio, 235 – Arcevia (Ancona)
T. 320 0671253; 338 7327004
info@birrificiodeicastelli.it
www.birrificiodeicastelli.it