di Titti Casiello
Il passaggio di consegna dalla famiglia Biondi Santi – storica azienda toscana che ha inventato e lanciato in tutto il mondo il Brunello di Montalcino – al gruppo francese Epi non ha determinato nuovi personaggi in cerca d’autore.
Anzi, come in una lunga sinfonia, la storia iniziata da Clemente prima e da Jacopo ed Alessandra Biondi Santi in ultimo, continua ad arieggiare nella storica sede della tenuta Il Greppo anche a seguito dell’acquisizione dalla società Epi (Européenne de Participations Industrelles) di proprietà della famiglia Descours. In un dialogo a quattro tra la vigna, la cantina, Federico Radi – attuale enologo della tenuta – e Giampiero Bertolini – amministratore delegato – il passato e il presente paiono, infatti, tenersi per mano. Perché il pensiero del vino, oggi come allora, appare immutato e in un senza tempo iniziato nel 1820 quando Clemente Biondi Santi iniziò a seguire le sorti di quella che era semplicemente la fattoria Il Greppo, ai tempi dedita alla sola produzione di Moscatello di Montalcino. Inconsapevole, allora, che 45 anni dopo, per sua stessa opera, avrebbe scritto un pezzo di storia dell’Italia del vino, creando letteralmente, in quella stessa fattoria, il Brunello. E il letteralmente non è un eufemismo, visto che Clemente decise di denominare la sua prima bottiglia di “Vino Rosso Scelto” appunto come “Brunello”.
(Il Greppo)
Ci vorrà, però, un salto di oltre due generazioni di Biondi Santi, passando per Ferruccio, nipote di Clemente, (che nel 1888 etichettò per la prima volta una bottiglia di Brunello di Montalcino) per arrivare poi a Tancredi (che nel 1927 dette inizio al fascinoso rito della ricolmatura delle vecchie riserve, iniziando con i millesimi 1888 e 1891) “per vedere finalmente riconosciuta, nel 1980, la Docg Brunello di Montalcino. E da qui un nuovo pezzo di storia della famiglia e di imprenditoria italiana inizia per opera del gentleman del Brunello: Franco Biondi Santi, la cui prima vendemmia, nel 1970, è ancora oggi considerata una riserva best seller dell’enologia mondiale.
Forse, per evitare di intaccare la storia, sarebbe opportuno una descrizione asettica di ciò che sono state le sue gesta. Dall’iscrizione del clone di Sangiovese grosso della tenuta Il Greppo come “B-BS 11” – da cui oggi sono prodotti la quasi pluralità dei nuovi Brunello di Montalcino – alla ferma convinzione di non buttare mai le sue botti grandi in cambio di botti nuove diventate tanto di moda in Italia agli inizi degli anni ’90. A voler fotografare quel pezzo di storia verrebbe da pensare un Bartolo Mascarello che va a braccetto con un Franco Biondi Santi. Ma arriva, poi, forse troppo velocemente, il 2013 quando Kerin O’Keefe scriveva: “il mondo del vino italiano ha perso un’icona quando la leggenda del Brunello Franco Biondi Santi, soprannominato “Il gentiluomo del Brunello”, è morto durante il fine settimana. Aveva 91 anni”. Eppure se il decano del vino è scomparso, i vini della tenuta Il Greppo continuano ad essere vini poetici per slancio, ispirazione e adesione incondizionata alla terra ilcinese. Vini dove passato, presente e futuro gridano all’unisono un solo verbo: custodire. Un territorio, un vino, una famiglia.
“E’ un privilegio essere al timone di quest’azienda iconica. Essere custodi di un dna, e al pari guardare al futuro. Il nostro cambiamento è andare avanti, ma con una crescita di valore costante nel tempo” così Giampiero Bertolini, Ad di Biondi Santi, percorre il lungo ponte che lega il passato col presente in “una visione totalmente condivisa e voluta anche dal gruppo Epi, che come me, ha sempre pensato che Biondi Santi, non fosse semplicemente un’azienda da acquisire, ma un patrimonio dell’Italia. Ed è una grande responsabilità farsi custodi di un tempo e di un valore”. E la prova che non di sole parole si tratta, arriva in vigna con la filosofia di Federico Radi, direttore tecnico di Biondi Santi: “Credo fermamente nel rapporto uomo-vigna. E’ una necessità per me stare con lei. Io nasco come agronomo, poi prestato all’enologia. Cambio lavoro, ma l’unico amore che non cambio è il sangiovese”. Eppure la necessità di custodire il profumo del passato, va di pari passo con la nuova conduzione di Epi e il suo approccio all’innovazione. I cambiamenti, quindi, ci sono eccome, ma si tramutano in una ricerca spasmodica di trovare l’eccellenza rispettando la tipicità: “Il 98% degli investimenti sono stati destinati alla parte produttiva” racconta Bertolini “Siamo partiti dallo studio del terreno, analizzandolo parcella per parcella”. Un obiettivo arduo da realizzare, quello della vinificazione parcellare, a dispetto di Franco Biondi Santi che invece, semplicemente, affidavao alle sue vigne più giovani la produzione del Rosso di Montalcino, alle più mature quella del Brunello di Montalcino e alle più anziane la produzione della Riserva, “ma oggi dobbiamo prima di tutto fare i conti con il cambiamento climatico. Si sta andando verso una crescita costante di alcol, in parallelo con un abbassamento delle acidità e innalzamento del ph. E questo stilisticamente rappresenta l’opposto della storia di Biondi Santi da sempre caratterizzato per vini dove l’alcol era molto contenuto e le acidità sintomo della sua longevità” così Federico Radi.
“La vinificazione parcellare ci consente di raggiungere, quindi, seppur con molto lavoro e sacrificio, lo stesso risultato di Franco Biondi Santi, ma, a differenza di lui, non possiamo sapere fino all’ultimo quale sarà il primo vigneto a vendemmiare. La parcella che quest’anno darà il Rosso, magari l’anno prossimo darà la Riserva”. E se la parcellizzazione comporta la follia di 12 diversi pied de cuve, per quanti sono le parcelle da vinificare, per il resto in cantina poco, però, è cambiato: estrazioni brevi, fermentazione dai 16 ai 18 giorni e si continua ad utilizzare sempre il cemento e sempre il rovere di Slavonia. Mai acciaio prima e mai acciaio ora. “Garbellotto, botti grande da tutta la vita per l’affinamento del nostro Sangiovese” così la pensa Radi e così, in realtà, la pensava anche Biondi Santi. Sue, infatti, le parole per le quali, durante gli anni ‘90, diventò oggetto di critica e che oggi, però, gli sono valse come giusta ragione: “Il Sangiovese è naturalmente ricco di tannini e non ha bisogno dei tannini aggressivi impartiti dalle barrique nuove. Uso solo botti stagionate che lasciano trasparire l’uva e il terroir, senza il cioccolato, la vaniglia e il pane tostato del legno nuovo”. Franco Biondi Santi è stato un nemo profeta in patria per tutta la sua vita, eppure i suoi vini hanno resistito al tempo, portando con sé quelle ragioni ad un tempo negate. Sono vini che portano con sé la “sangiovesità” che rimane la vera firma dell’azienda oggi, come allora. Ed ecco la nostra iconica degustazione:
Rosso di Montalcino Docg 2018
La difficoltà di un’annata tendenzialmente piovosa si traspone in uno stato di delicatezza olfattiva che regala un sangiovese longilineo, dai frutti selvatici e fiori violacei. Compostezza aromatica e finezza nel suo sorso.
Brunello di Montalcino Docg 2015
Una versione gourmand del sangiovese in perfetta coerenza con la generosità dell’annata 2015. Bilanciato il suo palato in un gioco forza di media freschezza e morbidezza. La cifra stilistica appare lievemente diversa dalle linee filiformi alle quali Biondi Santi si confà, ma l’acidità insita nel sorso lascia presagire la necessità di parlarne tra qualche anno. In fondo “un grande vino deve invecchiare a lungo, se è un Brunello è quasi un dovere” così Franco Biondi Santi in una conversazione a due con Daniele Cernilli apparsa su DoctorWine diversi anni fa.
Brunello di Montalcino Docg 2011
Note mature che rimandano a un frutto pieno e ad una leggera tendenza ossidativa che ricorda l’animale questo il suo spettro olfattivo, che si mostra coerente con un sorso morbido, sorretto da una sottile acidità.
Brunello di Montalcino Docg 2009
In un’annata non propriamente facile in vigna il calice svela, invece, tutta la natura aristocratica del Brunello di Montalcino in un profumo declinato su spezie e nuance di rosa e viole appassite, poi resina, tabacco e sottobosco. E all’assaggio conquista con un tannino elegante che si mantiene vivo a lungo, levigato dai suoi anni di affinamento.
Brunello di Montalcino Docg Riserva 2013
Nonostante la contraddizione di un’annata da chi osannata e da chi denigrata, Il vino va al di sopra delle parole e si connota di grande concentrazione e profondità. Un tannino progressivo che vede nel frutto la matrice del suo sorso. E se c’è chi, con le lacrime, rischiava di annacquare un Brunello di Montalcino Riserva Biondi Santi 1936, come Alberto Sordi, in “La più bella serata della mia vita” (1972), di questa Riserva 2013 non c’è da sprecare neanche una sua goccia per quanta bellezza si connota la sua beva.