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La curiosità

Un orto per recuperare antichi vitigni: così Venezia è stata Capitale del vino

19 Agosto 2015
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Lorenza Scianna, enologa di Fondo Antico e appassionata di storia ha partecipato all'inaugurazione di un orto giardino a Venezia, ricco di simboli religiosi e pieno di antiche suggestioni sul ruolo della Laguna nella commercializzazione del vino e nella produzione delle Malvasie. Ecco il testo.

A Venezia una grande operazione di recupero di antichi vitigni. È stato inaugurato l’orto-giardino del convento dei frati Carmelitani Scalzi, annesso alla chiesa di Santa Maria di Nazareth, sul Canal Grande. A fare gli onori di casa, il Consorzio dei vini di Venezia, che ha avviato, coadiuvato dall’Università di Milano, un progetto di recupero di varietà antiche di viti presenti in laguna. Si tratta di Malvasie armene reimpiantate prima nell’isola di Torcello e ora all’interno dell’orto. Le viti occupano una parte dell’orto-giardino, insieme ad altri frutti, ortaggi e piante ornamentali. Il giorno dell'inaugurazione ha visto la partecipazione del professore Attilio Scienza che ha introdotto l’importante ruolo svolto da Venezia, fin dal Medioevo, nella diffusione e commercializzazione del vino Malvasia nei paesi del Mediterraneo. Dunque, la parola è passata all’architetto Giorgio Forti, che, con grande partecipazione, ha raccontato il percorso seguito per ricreare, con numeri e i simboli, un luogo di culto botanico quanto sacro.
               

Il rapporto tra Venezia e il vino è stretto, pieno di storia e di fascino. Nel XVI secolo si contavano più di duecento “giardini segreti” tra la città e le isole maggiori. L’orto-giardino inaugurato, è stato ridisegnato recuperando parte della conformazione originale, come da mappe settecentesche rinvenute. Si sviluppa entro i confini del convento e il recinto assume il significato simbolico di una delimitazione spirituale che rende sacro il luogo. Sette aiuole quadrangolari definiscono il percorso, sette come il numero dei giorni necessari per la creazione, sette sono i sacramenti, sette i peccati capitali. Al centro è prevista un’aiuola circolare su cui è posto unmelograno, l’albero della vita che rappresenta ricchezza e fecondità per i suoi frutti pieni di semi. Otto sono i percorsi principali. L’otto simboleggia il superamento dell’armonia terrena, l’elevazione verso la realtà celeste. Quattordici i comparti presenti e ventuno coltivazioni. Il numero quattordici è il primo multiplo di sette. Ventuno il numero perfetto perché prodotto da 3 e 7, ovvero due numeri sacri. L’uso studiato della numerologia vuole restituire all’orto-giardino la sua dimensione cristiana ed esoterica.
           

IL PRATO, LA PRIMA AIUOLA: prima tappa, il tessuto connettivo, l’unione, il letto d’amore dei due innamorati nel Cantico dei Cantici; l’erba che cresce nel deserto dove Gesù fa sedere i cinquemila uomini cui distribuisce pane e pesci moltiplicati (Gv 6,10). Il prato ha però un significato ambivalente: l’erba nutre il bestiame ma può avvelenarlo, può essere benefica o infestante. Infine, il colore verde è associato alla speranza ma, per un’antica usanza medievale si era soliti accendere una lanterna verde quando era pronto il cibo destinato ai “vergognosi”, i nobili in disgrazia. Il prato dunque, per queste caratteristiche, costituisce la prima aiuola, la prima tappa da cui partire per intraprendere un percorso di salvezza.



(Il professor Attilio Scienza durante la presentazione dell'orto)

HORTUS SEMPLICIUM, LA SECONDA AIUOLA: piante di erbe medicinali, regalate dal divino per servire gli uomini e per prendersi cura dei fratelli malati, “i peccaminosi”, visto che nel medioevo la malattia veniva vissuta come una punizione. “ … Ero malato e mi avete visitato e quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. All’interno della seconda aiuola nove sono le vasche. La vasca più grande contiene la Melissa, un frate carmelitano di ritorno da Parigi, la impiantò e la destinò all’ottenimento dell’acqua di Melissa, ancora oggi prodotta dai frati. Già dal XIII sec. gli speziali di Venezia erano disciplinati da un capitolare che definiva competenze a metà tra scienza e alchimia.
 
ORTO HOLEAURIUMLA TERZA AIUOLA: ortaggi e legumi erano simboli di purezza in quanto elementi primordialiServivano all’alimentazione dei frati. Ventotto scomparti, quattro volte i sette pianeti (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno) a volere indicare l’importanza che l’influsso astrale aveva sui ritmi biologici delle piante. La concezione medievale dei monasteri sanciva che  la miglior medicina dell’uomo fosse la sua alimentazione. Alimentazione basata sul ridotto impiego di carni a beneficio di ortaggi e legumi. Inoltre, l’orto metteva l’uomo in condizione di sperimentare il campo naturale, con le sue leggi: il concetto di vita, di sacralità, di fecondità, di morte; di interrogarsi sulla relazione tra sé, la natura e Dio.
           
IL VIGNETO, LA QUARTA AIUOLA: da sempre presente nell’orto-giardino. Gesù è identificato con la vigna. Il vino è piacere ed è il simbolo di felicità e di gratuità. Sono Malvasie armene, importate a Venezia intorno al '400, rinvenute nell’orto originario  e nei giardini di Venezia, opportunamente analizzate al Dna, impiantate in 17 filari. Dieci sono i comandamenti e sette i doni dello Spirito Santo. Scritto a caratteri romani il 17 è l’anagramma della parola “vixi “che significa ho vissuto e quindi, sono morto, da qui la credenza che il diciassette sia portatore di sventure. Immaginare che Venezia fosse un arcipelago usato come rifugio dai barbari, guardandola oggi, è difficile. Sotto il dominio di Costantinopoli, esempi di architettura bizantina la decorano, la impreziosiscono, la ingentiliscono, ne viene fuori l’eleganza che gli è connaturata. Venezia assume l’aspetto del potere. Da “Dominata” a” Dominante”, la “Serenissima”. In questo contesto Venezia intuisce due cose importanti:
1) la forza d’Oriente e del Mediterraneo e usa la IV crociata per conquistare i suoi maggiori porti; 2) il cambio climatico dovuto alla piccola glaciazione  avvenuta tra il XIV e il XVIII sec. L’Europa è in ginocchio, al Nord cereali e vite non maturano. Clero, classi abbienti, soprattutto francesi, sono abituate a bere vino alcolico e dolce. Venezia soddisfa abilmente questo bisogno, in un primo momento, commercializzando vino greco e, successivamente, spostando la produzione dalla Grecia all’Italia, e ancora, dall’interno alle zone costiere prossime ai porti, tutto finalizzato a rendere più fluida la commercializzazione. Il vino Malvasia veniva prodotto in Grecia in epoca bizantina da vitigni  scelti  per ottenere vini bianchi, raramente rossi, dolci, liquorosi ed aromatici che non si alteravano durante il trasporto. La produzione dell’uva, concentrata a Creta fino all’occupazione turca, viene dunque trasferita nella costa orientale dell’Adriatico e nei  vigneti collinari del Veneto e del Friuli, utilizzando tutte le varietà che si prestavano all’appassimento o alla sovramaturazione (Viognier, Garganega, Picolit, Verduzzo, Moscato giallo). Nell’Italia centrale (Lazio, Umbria ,Toscana) si sviluppa invece una produzione di vino denominato Malvasia destinato quasi esclusivamente al mercato interno che utilizza anche altre varietà quali alcuni Trebbiani ed i Greci . Così Venezia compie la sua strategica operazione di marketing: crea il brand “Malvasia”, svincolando il vino dal  vitigno e dalla sua provenienza geografica. La Malvasia diventa il vino del Medioevo, di moda presso la nobiltà europea, con delle caratteristiche organolettiche tipiche. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono, Venezia ne detiene il monopolio. Questo spiega perché sotto lo stesso ombrello semantico coesistono diverse Malvasie.
Per fare qualche esempio:

  • Malvasia Lunga o Malvasia del Chianti uva dal sapore neutro; 
  • Malvasia Istriana uva che dà un vino dagli aromi piuttosto erbacei;
  • Malvasia del Lazio o Puntinata, un’uva lievemente aromatica; 
  • Malvasia di Lipari, un’uva dalle sicure origini greche  ma risalente ai  coloni di più di 500   anni    avanti Cristo;
  • Malvasia di Candia (sinonimo di Creta) aromatica, intensa e fragrante;        
  • Malvasia di Casorzo uve rosse aromatiche;
  • Malvasia di Schierano, come le Malvasie di Lecce, di Brindisi e della Basilicata uve rosse dal sapore semplice.  

Sedici oggi le Malvasie iscritte al Registro Nazionale delle Varietà, maggiori delucidazioni sulla loro origine sono state rintracciate con lo studio del Dna. Attraverso questi studi, condotti dall’Università di Milano, oggi sappiamo che c’è stata una relazione iniziale chiusa col Moscato, cosi come, sono sinonimi la Malvasia di Bosa, quella di Lipari, il Greco di Bianco e la Malvasia di Sitges (Canarie); e al contrario, che molta variabilità è stata riscontrata tra le Malvasie di Chianti, Basilicata, Nera, d’Istria, Candia ecc.
Quindi, ancora una volta, anche la ricchezza botanica va annoverata all’interno del patrimonio storico culturale del nostro Paese di cui è altissima espressione.

IL FRUTTETO DEI GUSTI PERDUTI, LA QUINTA AIUOLA: vi sono posti alberi da frutto nel numero di quaranta. Si tratta di un giardino dove l’albero fa riferimento a una singola persona e l’insieme di alberi alla comunità. L’albero da frutto rimanda alla realtà femminile della pianta, alla sua fecondità. L’albero, con la sua verticalità affonda le radici nel sottosuolo, si sviluppa nel tronco e con la sua chioma si eleva verso il cielo.. “ fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possano ripararsi alla sua ombra” (Mc 4,32).

L’ULIVETO, LA SESTA AIUOLA: l’albero eterno, testimone della nostra storia presente e passata. Sin dall’antichità si credeva che l’ulivo fosse una pianta immortale, vista la sua capacità di resistenza. L’Ulivo ha costituito un elemento fondamentale per un raffinato modo di alimentarsi. Gesù nell’orto degli Ulivi trascorre le ultime ore della passione. I re e i sacerdoti venivano unti di olio segno di dignità, responsabilità e forza che viene da Dio.
 
IL BOSCO, LA SETTIMA AIUOLA: il giorno del riposo, il settimo giorno. Con melograni, passiflora, noci, erbe aromatiche, frutti di bosco, cipressi. La settima aiuola conclude simbolicamente il cammino all’interno del Karmel. L’aiuola è costituita da otto alberi, il superamento del terreno. In prima fila un salice piangente, una tamerice e un albero di Giuda; dietro invece, cipresso, cedro e palma (serviti a costruire la croce di Cristo). Una leggenda narra che il salice vide Gesù chinarsi e aggrapparsi ai suoi rami,  sotto il peso della croce. Quando Gesù riprese il cammino l’albero rimase coi rami piegati verso terra in segno di rispetto e di inchino verso quel grande dolore. La settima aiuola è collegata alla cappella della Madonna attraverso un pergolato.
Nel giardino veneziano il viale principale congiungeva l’ingresso della corte col canale d’acqua. In questo caso l’asse prospettico privilegia la cappella, adiacente alla porta sul mare. Antico dialogo tra terra e acqua su cui nei secoli si è costituita la città. Col divenire del giardino un luogo raffinato, i percorsi sono stati coperti da pergole; in questo caso il percorso che porta alla Madonna è protetto da un pergolato di viti. In prossimità della cappella, il pavimento cambia struttura e si compone di piccoli ciottoli e il pergolato è ricoperto di Gelsomino bianco odoroso, affinchè, anche i non vedenti, possano percepire, attraverso il calpestìo a terra e il profumo di Gelsomino, che sono vicini al superamento della settima aiuola, alla fine del percorso terreno e quindi, finalmente, prossimi all’incontro col divino che, all’interno di un orto, non può che essere simboleggiato dal femminile, dalla Dea Madre, dalla Madonna.

Lorenza Scianna