di Elena Mancuso
La straordinaria scoperta che ha portato alla luce a Pompei un prezioso thermopolium, aggiunge nuovi particolari alla conoscenza dell’alimentazione degli antichi romani.
Anche nei giorni di lockdown gli archeologi, nell’ambito del progetto di manutenzione e restauro della Regio V, hanno continuato a scavare restituendoci un locale quasi intatto, adibito alla vendita di street food, molto apprezzato all’epoca, soprattutto dai ceti meno ricchi. Una bottega che si trovava in un’ottima posizione perché si affacciava su una piazzetta molto frequentata e abbellita da una pregiata fontana di marmo e che forse disponeva anche di una sala al primo piano, dove è stato ritrovato un triclinium (il lettino dove ci si adagiava per consumare i pasti); siamo quasi all’angolo tra vicolo dei Balconi e la via della Casa delle Nozze d’Argento, dove si trovavano altri “termopolia”, uno dei quali frequentato dai gladiatori, ma nessuno così raffinato e in perfetto stato di conservazione.
Splendidi sono infatti gli affreschi del bancone e delle le pareti con soggetti mitologici e nature morte, un gallo dai colori ancora scintillanti e altri animali, come volatili ed un cane al guinzaglio. Il locale è costituito da un ambiente con un bancone che dava sulla strada, all’interno del quale sono disposti dei contenitori scavati nella stessa pietra, i dolia, che contenevano i cibi caldi. Gli avventori si ristoravano con i pasti caldi durante la pausa pranzo, rimanendo nei pressi della bottega o li portavano nelle proprie case, come nei nostri take-away, anche perché non tutte disponevano di una stanza per cucinare. Sorprendente il fatto che i dolia contenessero ancora i resti dei cibi pietrificati dall’eruzione. Cibi che appartengono alla nostra dieta mediterranea come lenticchie, verdure, vari tipi di pane, e una pietanza con carne di mammiferi, volatili, pesce e lumache di terra. Insomma una paella ante litteram. Inoltre, all’interno di pentole di terracotta, resti di cibi mostrano l’uso di una grande varietà di prodotti di origine animale, pecora, capra e anatra usati per preparare le pietanze. E poi del vino corretto con le fave, un modo nuovo per trattarlo, conservato in un dolo al cui fondo era disposta una tegola che lo separava dai legumi. Un particolare modo di consumare il vino dunque, che allora era denso e forte e doveva essere “corretto” con miele o altre sostanze prima di essere servito. Le fave servivano infatti sia per sbiancarlo che per aggiustarne il gusto. Ma al thermopolium si veniva anche per incontrarsi o per concludere un affare, in una città vivace e dinamica quale doveva essere la Pompei del 79 d. C., opulenta e splendida copia della Roma di quel tempo. Era una giornata di ottobre, una giornata come tante, quando dopo le scosse di terremoto, più intense delle altre volte, intorno all’una del pomeriggio, sulla città si abbattè una colonna di sostanze piroclastiche, lapilli e cenere che uccisero quasi tutta popolazione, che non riuscì a trovare scampo neppure a mare, divenuto di fuoco.