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Birra della settimana

Storie di birra e formaggio: la Scimuda, un mitico formaggio valtellinese e i suoi abbinamenti con la “pinta”

31 Marzo 2024
Formaggio Scimuda Formaggio Scimuda

“Scimuda”: ovvero, nel dialetto locale, “cagliata”; e per estensione “formaggio”. Quando la pezzatura è piccola, diventa “scimudin”: ma la sostanza non cambia. Già, la sostanza. Che in questo caso è alimentare ma anche, e fortemente, storico-identitaria. Non a caso si tratta di un formaggio che, come abbiamo appena detto, non porta nomi di battesimo particolari, ma si chiama semplicemente per quello che è: “formaggio”. Perché, da queste parti, lo era per antonomasia: il cacio, insomma, era quello; prodotto in ambiente contadino casa per casa (esattamente come il pane), con il latte del bestiame di famiglia. Quale il contesto geografico in cui ci troviamo? Quello della Valtellina: distretto montano della Lombardia (la sua estensione interessa i tratti delle Alpi Retiche e Orobiche), che coincide con la porzione settentrionale del bacino idrico del fiume Adda (a nord del Lario) e che, sebbene alcune sue propaggini si trovino anche nel Lecchese e nel Comasco, forma, insieme alla Val Chiavenna, il territorio della Provincia di Sondrio. Un’area di confine con la Svizzera – vi si parlano anche il tedesco e il romancio – che si presenta davvero ricca di tipicità casearie: tra le quali, quella di cui ci occupiamo oggi ha origini assai antiche.

SCIMUDA: LA CARTA D’IDENTITÀ
Inclusa dalla Regione negli elenchi dei propri Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), la scimuda è attestata da documenti risalenti al 1616; la cultura orale tramandata dalle comunità locali ne fa tuttavia risalire la comparsa a ben prima: in pratica alla stessa epoca di diffusione, in questo circondario, della pastorizia e delle connesse pratiche di caseificazione. A sostegno di tale ipotesi, il fatto che, inizialmente, il nostro formaggio venisse ricavato da latte di capra: animale il cui allevamento ha preceduto quello, su larga scala, dei bovini. Oggi invece il latte vaccino ne rappresenta la materia prima in misura largamente prevalente: con le parziali eccezioni di chi sceglie una composizione mista; e delle sacche di resistenza rappresentate da alcune valli secondarie (come la Codera), in cui si mantiene vivo il costume più ancestrale, ricorrendo perciò alle mungiture ircine.

LA TECNICA DI PREPARAZIONE
Riferendoci al presente, e quindi alla filiera del latte vaccino, quest’ultimo – volendo rispettare la procedura tradizionale – viene lavorato senza trattamenti termici (cioè “crudo”); né di scrematura (cioè “intero”: e infatti la materia grassa, sul prodotto finito, si aggira attorno al 27%); né aggiungendo alla sua massa liquida fermenti ulteriori rispetto a quelli della propria microflora nativa. I quali, in fase di maturazione, determinano lo sviluppo, sulla superficie delle forme, di un sottile strato di muffa bianca o grigio perla; si tratta, insomma, di una specialità a “crosta fiorita”: crosta edibile, e deliziosamente. Tornando alla partenza, ovvero al latte (che può derivare da una o più mungiture), la sua coagulazione si compie ai 36-40° C, aggiungendo caglio di vitello; quindi la pasta caseosa che ne deriva viene frazionata grossolanamente, in glomeruli aventi le proporzioni di una nocciola, per poi essere sistemata in stampi, lasciata spurgare e rassodare; infine le forme, insaporite con salatura a secco o in salamoia, seguono una maturazione breve, oscillante tra le due e le quattro settimane.

L’IDENTIKIT ORGANOLETTICO
All’assaggio, la pasta della scimuda si rivela molle e, come si è detto, discretamente grassa; l’aroma si presenta arioso e delicato, con impressioni da yogurt, da latte o burro molto freschi, da erbe di campo, da funghi champignon; ugualmente contenuta risulta l’intensità gustativa, che si caratterizza per un sostanzioso fondo di dolcezza, per una sottile acidulità e per impercettibili venature di timbro sia sapido sia, talvolta, amaricante, condensate peraltro nel sottocrosta. In sintesi, si tratta di una personalità sensoriale piuttosto versatile, capace di adattarsi a più “bicchieri”, benché incline a prediligere comunque alcuni connotati: birre di stazza ugualmente leggera; che siano tuttavia provviste di una buona capacità nella gestione della materia lipidica; e che si qualifichino per un profilo tendenzialmente morbido, privo di spigolosità vere e proprie. Quali birre? Ne abbiamo provate tre, di altrettanti marchi artigianali; tutti, in questo caso, di appartenenza territoriale: espressione del movimento brassicolo valtellinese.

CON LA BIÈRE BLANCHE
Partenza in surplace, con una Blanche: la “Birra del conte”, che il marchio “Legnone” (a Dubino, Sondrio) registra sui 5 gradi alcolici, al termine di un processo produttivo il cui svolgimento prevede l’uso, in aggiunta diretta, di coriandolo, scorze arancia e bucce di bergamotto. Il suo color paglierino introduce aromi di frutta (pera, pesca) che ben dialogano con il latteo e il lattico del formaggio, generando suggestioni da frappè e yogurt variegato; la sua acidulità di sorsata, da un lato va in sovrapposizione attenuativa sull’analoga nota palatale del boccone, dall’altro provvede a smaltirne la materia lipidica; la sua sostanziale assenza d’amaro evita urti con le eventuali, e molto limitate, ruvidità annidate nel sottocrosta della scimuda.

CON LA FESTBIER
Secondo giro e cambio di tipologia birraria: in campo una Festbier, la “Sberlusc” targata “Pintalpina” (a Chiuro, Sondrio). La sorsata – di colore dorato e alcolicità al 5.5% – esegue, sulla materia grassa del boccone, un lavoro analogo a quello operato dalla birra precedente; i suoi profumi (miele, prato falciato) riprendono ancora più da vicini quelli del formaggio, creando un piacevole ponte di continuità; il suo assetto gustativo, decisamente incline alla dolcezza (appena 18 le IBU), accarezza e non provoca alcun attrito con le possibili pungenze della scimuda.

CON LA HONEY ALE
Ultima tappa e ulteriore piccolo salto in alto nelle gradazioni. Si approva infatti a quota 6.5 con la “Revertis 25”, una Belgian Blond al miele (di castagno) firmata, appunto, dal marchio “Revertis” (a Caiolo, Sondrio); e tarata giusto sulle 25 IBU, da cui il suo nome di battesimo. Il colore della birra è dorato; il suo aroma marcatamente intonato al miele e alla frutta matura (tale da ricreare evocazioni già apprezzate con le due birre precedenti); il suo impianto gustativo di nuovo morbido (e gli esiti in abbinamento risultano in linea con quanto registrato fin qui); la sua taglia etilica sufficiente a consentirle un lavoro più che agevole nello smaltimento della materia grassa di cui è intriso il boccone…

BIRRIFICIO LEGNONE
Via Milano, 24 – Dubino (Sondrio)
T. 0342 681456; 333 8503252
info@birrificiolegnone.it
www.birrificiolegnone.it

BIRRIFICIO PINTALPINA
SS 38, via Stelvio, 9 – Chiuro (Sondrio)
T. 340 5235430
www.pintalpina.it

BIRRIFICIO REVERTIS
Via Valeriana 6/a – Caiolo (Sondrio)
T. 339 1511007; 340 6458522; 349 3185349
info@revertis.it
www.revertis.it