Formaggio con numerose epifanie lungo le latitudini della nostra Penisola (una sua versione è tipica, ad esempio, in Liguria), ma diffuso soprattutto nel Meridione (ben note le varianti abruzzese e, soprattutto, pugliese), la “giuncata” trova una tra le sue culle in Calabria: dove la sua produzione – attestata fin dal medioevo e tutelata come Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) – si concentra oggi principalmente nella provincia di Crotone e in parte di quelle di Cosenza e Catanzaro. Facilmente memorizzabile in virtù del suo nome simpatico e pittoresco (circolante anche con variazioni quali sciungata o juncata), deve il proprio battesimo alla consuetudine di utilizzare, come stampi, dei graticci o dei canestri realizzati appunto con steli di giunco: tali da conferire alla sua superficie un caratteristico disegno ondulato e rugoso, d’impronta decisamente rustica.
GIUNCATA: ANZI, GIUNCATE
Anche in Calabria, peraltro, la lavorazione di questa specialità casearia ammette opzioni diverse, dando luogo ad altrettanto diversi risultati sensoriali; non a caso la commercializzazione prevede il ricorso a diciture specifiche di provenienza: Silana, del Catanzarese, del Pollino, dell’Aspromonte, della Locride, della Piana di Gioia Tauro, di Cardinale, di Lamezia Terme, di Sibari e altre ancora. Andando a indagare appunto le molteplici variabili incluse nel processo produttivo, partiamo dalla scelta del latte. La quale, in conformità alla pratica più storica, ricade su quello di capra, utilizzato senza trattamenti termici (cioè crudo) né scrematura (intero); ma che, via via, ha esteso l’area di ammissibilità a mungiture di diversa varietà, la vaccina e l’ovina, volendo in forma mista di ovicaprina. Tipicamente, la coagulazione della massa liquida, riscaldata attorno ai 35 gradi, si effettua mediante aggiunta di caglio animale, richiedendo giusto poche decine di minuti: dai 40 all’oretta tonda. La pasta caseosa, una volta rassodata, subisce un frazionamento assai grossolano: i granuli restano a dimensioni variabili tra la noce e il mandarino; quindi viene trasferita nei cestelli (anche in felce o legno), dalle cui fessure, senza ricevere pressatura ma talvolta con qualche rivoltamento, lascia spurgare parte del siero residuo per un paio di giorni o tre. Seguono le operazioni della salatura (a secco, cospargendo le forme dall’esterno) e dell’asciugatura: quest’ultima destinata a protrarsi per una decina di giorni, avvalendosi, come superfici d’appoggio, di assi in legno o graticci di canne (i “cannizzi”); ed è ora che si può intervenire anche con un’eventuale affumicatura.
UNA PERSONALITÀ POLIEDRICA
Nell’uso locale più tipico, la giuncata – il cui contenuto in grassi, pur non enorme per un formaggio, sia aggira comunque attorno al 22% – era preparata dai pastori per il proprio sostentamento e consumata, spesso a colazione, ancora calda. Col tempo, i progressi della tecnologia produttiva e le opportunità di una commercializzazione più diffusa, hanno ampliato il campo di manovra in ordine alle modalità di stagionatura; cosicché oggi questo prezioso formaggio calabrese è reperibile in più varianti. Quelle “freschissime” sono maturate due o tre giorni appena, dopo l’asciugatura sulle canne o sulle tavole di legno: la loro superficie è priva di crosta; la consistenza è molle e umida; il colore simile alla porcellana; l’aroma latteo e lattico, con le note animali dei capi di mungitura; il gusto dolce e delicatamente acidulo. Le versioni “fresche” maturano una o due settimane (e i loro connotati tendono a non variare significativamente), mentre le “stagionate” arrivano fino ai due mesi: chiaramente, col passare dei giorni, si forma uno strato di crosta, che resta tuttavia sottile e non sposta eccessivamente la propria tonalità cromatica; cambia progressivamente la consistenza, che rimane comunque morbida; e cresce gradualmente la densità gustativa, che si arricchisce di toni tostati (cracker) e che comunque non perde contatto con il territorio acidulo, pur nell’accentuarsi dell’espressione sapida. Inutile dire che, invece, le modificazioni organolettiche sono più sensibili nel caso delle forme affumicate: che, se stagionate, presentano una crosta di tinta bruna; e che, ovviamente, vedono la propria impalcatura sensoriale determinata dalla specificità del trattamento ricevuto. Come regolarsi in abbinamento? Con un approccio necessariamente “elastico”, parametrato alle peculiarità del boccone in assaggio…
GIUNCATA FRESCA CON LA TRAPPIST SINGLE
Gentile il boccone, gentile il primo bicchiere. Quello della “Dorée” di casa “Chimay” (nello Hainaut, in Belgio); ovvero una Trappist Single che il monastero vallone – utilizzando solo malto d’orzo, ma una speziatura in tandem di coriandolo e buccia d’arancia amara – modella secondo le fattezze di una “quasi Blanche”. Di colore paglierino opalescente, il suoi 4.8 gradi alcolici e la vivace carbonazione se la cavano disinvoltamente nel gestire la materia grassa del formaggio; la cui acidulità e sapidità trovano, ad accoglierle, una sorsata morbida, sostanzialmente priva d’amaro e di qualsiasi intenzione conflittuale. Quanto alle relazioni aromatiche, il profumo fruttato (pesca, pera) e agrumato della birra si appoggia su quello lattico della giuncata, generando una piacevole suggestione di yogurt variegato.
GIUNCATA STAGIONATA CON LA MÄRZEN
Si sale di struttura e si cambia registro sensoriale. La seconda birra proposta in binamento è quello della Märzen (senza nome d’arte, ma con la sola indicazione tipologica) che il marchio “Soralamà” (a Vaie, in provincia di Torino) presenta in catalogo all’interno della linea “Bosio Caratsch”. Ambrata e sui 5.5 gradi alcolici, la bevuta consegna aromi tostati (nocciola, biscotto), che riprendono le analoghe note del formaggio; sciogliendone poi a dovere la consistenza lipidica (grazie a un sorsata mossa da bollicine pimpanti) e assecondandone le affilatezze acidulo-sapide con la carezza di una bevuta secca, sì, ma esente da amaricature significative.
GIUNCATA AFFUMICATA CON LA LICHTENHAINER
Bassa gradazione (siamo a quota 3.5%), ma alta densità sensoriale: a chiudere la serie di duetti è la “Puccio sterza”, una Lichtenhainer firmata, a Livorno, tra tre marchi locali: “Birrificio Clandestino”, “Degged” e “Mudita” (quest’ultimo nel comune di Collesalvetti, in frazione Stagno). Colore paglierino carico e velatura di rito, la sorsata – ovviamente dotata di robusta dorsale acidula, nonché di ficcanti spunti lattici e affumicati, secondo prescrizione di stile – da un lato lavora con destrezza la materia grassa del formaggio; dall’altro ne ricalca l’acidità, operando in sovrapposizione attenuativa e armonizzante; infine ne riprende le note olfattive da yogurt e da “camino” generando, tra piatto e bicchiere, una lineare e piacevole continuità aromatica.
BRASSERIE DE L’ABBAYE DE SCOURMONT – CHIMAY
Route Charlemagne, 8 – frazione Baileux, Chimay (Hainaut, Belgio)
T. +32 (0) 60 210311; +32 (0) 60 213422
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BIRRIFICIO SORALAMÀ
Via Nazionale, 14 – Vaie (Torino)
T. 011 9631977
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BIRRIFICIO DEGGED
Via Lamarmora, 35 – Livorno
T. 0586 321594
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BIRRIFICIO CLANDESTINO
Via Domenico Cimarosa 37/39 – Livorno
T. 0586 854439
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MUDITA BREWERY
via Aiaccia, 37/A – frazione Stagno, Collesalvetti (Livorno)
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