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Birra della settimana

Stoccafisso e patate “alla messinese”: le birre perfette da abbinare per non sbagliare

27 Agosto 2023
Stoccafisso con patate Stoccafisso con patate "alla messinese"

Messina e lo stoccafisso: un sodalizio secolare. Un legame che, certo, s’inquadra nella più generale simbiosi tra la città dello Stretto e il mare; ma che è figlio di una storia tutta particolare. Una storia il cui inizio risale al Quattrocento, quando i vascelli recanti merci dai Paesi dell’Europa settentrionale iniziarono a far conoscere anche qui, sulle coste della Sicilia (come della Calabria, peraltro), le virtù del merluzzo conservato per essiccazione, al calore del sole. Virtù che conquistarono il palato locale, tanto da fare dello “stocco” una voce classica del ricettario di questo territorio. Diverse perciò sono le preparazioni alle quali ha dato vita, da primo attore, accompagnandosi, di volta in volta, a diverse batterie di ingredienti coprotagonisti. Oggi vogliamo parlare appunto di una di queste preparazioni: quella in bianco con le patate; ovvero il “pisci stoccu a tutt dintra chî patati”.

IL PIATTO E LA SUA “ARCHITETTURA”
La “gestazione” risulta tutto sommato non difficile. Si parte dalle patate; da sbucciare, da tagliare in tocchi piuttosto voluminosi e da lessare in pentola, dopo aver avuto cura di trattare l’acqua: salandola, insaporendola con succo di limone e aromatizzandola aggiungendole foglie d’alloro. Una volta ammorbiditi i tuberi (ben prima della loro completa cottura), nello stesso recipiente si tuffano anche le polpe di stoccafisso e si continua a tenere il tutto sulla fiamma per una decina di minuti. A quel punto, si scolano patate e pesce, li si sistema in una ciotola e li si condisce: con ulteriore succo di limone, rondelle di sedano fresco, foglioline di prezzemolo tritate, due colpetti di pepaiola, un filo d’olio extravergine. Il piatto è così pronto per volare in tavola, dove farà apprezzare la propria consistenza tenera, la propria complessiva leggerezza (consistente il contenuto amidaceo, ma basso quello lipidico), il proprio profumo mediterraneo, il proprio gusto fresco: lievemente acidulo, sapido e piccante (molto lievemente, in realtà, in virtù della compensazione esercitata dai carboidrati tendenzialmente dolci delle patate).

LA RICERCA DEL BICCHIERE-PARTNER
Quali le regole d’ingaggio per un abbinamento sensato con la birra? Evitare tipologie orientate all’amaro è una buona premessa. Una seconda può consistere nel chiedere, anche alla sorsata, requisiti di affilatezza acida: per andare in sovrapposizione attenuativa su quella del boccone; per fluidificarne la massa amidacea e la sua (pur relativa) componente grassa); e infine per smorzare il fisiologico sentore ittico della pietanza, un tratto la cui persistenza dopo la masticazione può risultare, al palato, statisticamente insistente. Ecco, assunto questo tipo di approccio, lo abbiamo concretizzato in tre prove pratiche…

CON LA BERLINER WEISSE
Partiamo annaffiando stocco e patate con una birra dalla corporatura e dalla stazza alcolica leggere (siamo al 3.4%): la “Ryzhik”, una Berliner Weisse “in purezza” (ovvero senza aggiunte, rispetto al telaio di base dello stile), firmata, a Pavia, dal marchio “Muttnik”. Di colore dorato e di bollicina briosa, la sua acidità ficcante esegue con diligenza il compito che le viene attribuito, nella “spallata” con il boccone; la sua rinuncia all’amaro impedisce frizioni con le descritte affilatezze dello stoccafisso; la sua aromaticità citrica riprende il profumo del limone utilizzato come ingrediente nella nostra ricetta siciliana.

CON LA SOUR IGA
Il secondo abbinamento è con un ulteriore esempio di carattere graffiante e gentile insieme: la Sour IGA (acronimo che, come noto, sta per Italian Grape Ale) battezzata “Free Bird” e prodotta ad Albano Romano (la provincia è quella della Capitale) nelle officine “Radiocraft”. Si tratta di una birra il cui mosto di cereali (malto d’orzo, frumento, avena, segale), dopo una breve acidificazione, riceve l’abbraccio, a fermentazione in corso, di un pigiato d’uva (acini di Bombino e Moscato); e il cui corredo aromatico è completato da un dosato dry hopping da luppoli di varietà oceaniche (il neozelandese Nelson Sauvin e l’australiano ed Enigma). Il tutto a costruire una bevuta a sua volta introdotta da una luce dorata; a sua volta filante e leggera nella gradazione (siamo a quota 5); a sua volta incisiva nell’acidità ed esente da tratti amaricanti. Insomma, una serie di prerogative speculari a quelle della sorsata precedente; elemento di divergenza è invece la dominante olfattiva, segnata da percezioni di agrume, sì, ma anche di resine e frutta esotica (uva spina, ad esempio): connotati che comunque dialogano assai bene con le balsamicità del piatto.

CON LA GUEUZE
Più audacia nel terzo e ultimo test; che porta in tavola il grande Belgio delle fermentazioni spontanee: in particolare la “Oude Geuze” (da 6 gradi alcolici) di casa “3 Fonteinen”, a Beersel, nel Brabante Fiammingo. Un assemblaggio di tre partite di Lambic di età diversa (tre anni, due e uno), tutti ricavati da un mosto al 60% di malto d’orzo e al 40 di frumento crudo, completando l’opera con l’applicazione di luppolo “suranné” ossia esso stesso invecchiato. Inutile ripetere lo spartito già ascoltato nei due round precedenti: acidità aitante e amaro (sostanzialmente) non pervenuto garantiscono, nel corpo a corpo col piatto, gli equilibri fondamentali; certo, poi, il naso esuberante e rustico della birra (con note animali, di cuoio, di cantina…) tende ad aggredire un poco le delicate traccianti olfattive dello “stocco”: ma siamo comunque di fronte a una Geuze tra le più misurate ed eleganti in assoluto…

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