(Oliviero Giberti, Birra 100Venti; Giorgio “Juni” Ferrari, Fratelli Macondo; Alessio Selvaggio, Croce di Malto; Andrea Camaschella – ph Maurizio Tosi)
di Andrea Camaschella
Si può parlare di birra in un museo? Ebbene sì, per svariati motivi. Anzitutto se il museo in questione è il Museo Civico Etnografico Archeologico C.G. Fanchini di Oleggio (NO), dove sono custoditi i reperti di Pombia (civiltà golasecchiana, VII-V secolo a.C.), tra cui il più antico boccale per birra d’Europa.
Un primordiale che risale a quasi 3 millenni. Entrando nel museo fa bella mostra di sé la ricostruzione di un’osteria di paese, con bancone, targhe e bicchieri, com’era un secolo fa. E poi via via attrezzi agricoli e altro che raccontano la vita delle popolazioni locali attraverso i secoli. Un museo che racconta un pezzo di storia vissuta. Senza dimenticare che l’immobile ospitò un convento francescano, fino alla soppressione in epoca napoleonica. I frati francescani non erano conosciuti per le loro produzioni birrarie, ma tante sono le birre – ancor oggi – legate indissolubilmente alla tradizione monastica. Se poi la serata è proposta da un pub-ristorante, il Fratelli Macondo di Oleggio, e promosso dal Comune di Oleggio e dalla Cna (Confederazione Nazionale dell’artigianato) del Nord Piemonte, è chiaro che si può, anzi si deve.
(Accoglienza dei partecipanti nel chiostro del Museo – ph Maurizio Tosi)
Soprattutto perché anche un boccale di birra, come un’opera d’arte, ha una storia da raccontare. Basta saperla ascoltare e cogliere tra i merletti di Bruxelles (la trama che lascia la schiuma nel bicchiere man mano che si beve la birra). E in affascinanti sale che risalgono ad alcuni secoli fa, in mezzo a utensili e pareti che grondano storie, come nelle sale del Museo, è ancora più facile. Nella fattispecie vi racconto della seconda birra presentata, la Rus di Croce di Malto. La storia comincia tanti anni fa e racconta della passione per le birre di due amici che man mano cresce, fino a farne un mestiere a tutti gli effetti nell’anno di grazia 2008 (una storia che già vi avevo raccontato in questo articolo), ma la Rus racconta molto altro, racconta dello sguardo al territorio che Alessio ha saputo fare.
(Jacopo Colombo, direttore del Museo, presenta i reperti archeologici – ph Maurizio Tosi)
Intanto il nome, in dialetto locale significa rosso, come il colore che ci ritroviamo nel bicchiere e come il colore di uno degli ingredienti, poco canonici nelle birre artigianali, il riso rosso Ermes. Il riso è un incrocio naturale tra una varietà indica e il riso Venere (o riso nero), tipico abitante delle risaie del novarese e del vercellese. Di norma la grande industria usa il riso (di qualità scadente) nelle proprie ricette come succedaneo del malto d’orzo, per abbattere i costi di produzione. Croce di Malto usa una qualità di riso costosa e tutt’altro che neutra, per colore, profumi, sapori e aromi, e lo sceglie proprio per caratterizzare la birra e per legarla al territorio. E Alessio l’ha scoperto a casa, in cucina, incuriosendosi per il colore rosso che rilascia nell’acqua di cottura e per i profumi che si sprigionavano dalla pentola. Niente di nuovo, in altri tempi i luppoli e i vari ingredienti erano locali, mentre oggi viaggiano da un continente all’altro e, al momento, l’Italia non produce un granché degli ingredienti base, acqua a parte.
(Marco Bonfà del Birrificio Diciotto ZeroUno, aiuta a servire la Rus – ph Maurizio Tosi)
La ricetta base guarda all’Inghilterra, alle tipiche birre da grandi bevute nei pub, le bitter: bassa gradazione alcolica (qui siamo a 3,9% Vol.) eppure ricche e appaganti. La Rus segue questa filosofia e il riso si sposa con i malti e i luppoli, ricreando profumazioni floreali che hanno un certo non so che di Oriente e si insinuano, intriganti, tra le note di caramello e in altre più terrose, sentori di sottobosco, di legno aromatico. In bocca il corpo è molto più generoso di quello che ci si potrebbe aspettare da una birra da meno di 4 gradi alcolici, ma comunque non invadente. Il sapore dolce non è particolarmente pronunciato, così come la nota amara: il bilanciamento è da manuale e il finale è secco e con una lieve nota piccante, appena sfumata, che la completa alla perfezione. Il retrolfattivo, non particolarmente lungo, ricorda quanto percepito all’olfatto, in apertura. Andrebbe servita con una carbonatazione molto bassa e a temperature piuttosto alte, ben sopra i 10°C ma si difende anche più fredda; il gas in eccesso invece può disturbare il suo delicato equilibrio. Va anche detto che per sua natura sta meglio in fusto – mera problematica di quantitativi: se ne beve parecchia… – che in bottiglia: convincete il vostro locale preferito a procurarsela, soprattutto per i mesi più caldi.
(Il pubblico della serata – ph Maurizio Tosi)
Per la cronaca, nella serata erano presenti anche altre due piccole aziende del novarese, Diciotto Zero Uno, con una Pils piuttosto canonica, e Birra 100Venti, con una personale interpretazione di Porter. Ho scelto di raccontarvi la storia più intrigante e più locale. E già che ci sono colgo l’occasione per ringraziare il Museo per la sua ospitalità e tutti gli attori che hanno contribuito all’organizzazione: è davvero bello far cultura (birraria) in luogo dedicato alla cultura. E forse è la volta buona che mia madre smetterà di pensarmi alcolizzato.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci
Birrifico Croce di Malto
Corso Roma, 51/A
Trecate (No)
Tel: 0321 1856101
www.crocedimalto.it
Fratelli Macondo
Via Novara, 14
28047 Oleggio (No)
Tel: 344 207 4515
www.fratellimacondo.it
Museo Civico Archeologico Etnografico “C.G. Fanchini”
Vicolo Chiesa, 1
28047 Oleggio (No)
Tel: 0321 91429