Dici “Scozia” e subito si apre, di fronte all’occhio della mente, tutto un ventaglio di simboli dalla grande, immediata, forza evocativa: cardi e cornamuse, kilt e tartan, Loch Ness e highlanders, William Wallace e Robert The Bruce… Un elenco assortito, al quale aggiungere, doverosamente, anche diverse voci tratte dal repertorio dei saperi e dei costumi alimentari tipici, come gli whisky, il pesce affumicato, il porridge; e ovviamente l’haggis. Ecco, è proprio di quest’ultimo che vogliamo occuparci oggi: delle sue peculiarità e delle sue possibilità di abbinamento con la birra; in particolare della capacità, da parte della “figlia dell’orzo e del luppolo”, di tenere alla briglia e in certa misura addomesticare il gusto di questo piatto tradizionale. Un gusto rustico, un insieme di odori acuti e di sapori marcati: di matrice sanguigna, animale e selvatica. Insomma un boccone, come si dice, divisivo; capace facilmente di spaccare la platea in tre fazioni: i sostenitori; gli “allergici”; i “traumatizzati” ma nondimeno curiosi, disposti a sospendere il giudizio, sapendo come quel che non piace oggi può non dispiacere domani. Ecco: la scommessa è spostare le percentuali verso il partito dei favorevoli, o almeno dei non sfavorevoli in assoluto, attraverso il connubio mitigante con alcune appropriate tipologie di “pinta”.
UN PIATTO DA PALATI FORTI
Ricco di proteine e grassi, perciò non proprio leggero in digestione, l’haggis è una pietanza solitamente consumata alla sera, per cena. Sotto il profilo della classificazione, si tratta di un insaccato: l’involucro (storicamente un budello di pecora, oggi spesso una pellicola di materiale sintetico ad uso alimentare) viene riempito con un impasto di interiora ovine (cuore, polmone, fegato), macinate con cipolla, grasso di rognone (cioè il rene) o strutto, farina d’avena, sale e spezie (pepe, noce moscata, semi di coriandolo), il tutto amalgamato con brodo di carne. Così come per altre specialità norcine (ad esempio la salama da sugo o il mallegato), il preparato subisce poi una bollitura alquanto lunga (tre ore circa) e quindi servito in tavola: da solo o, più solitamente, accompagnato da un contorno di patate e rutabaga (un tubero detta anche navone o rapa svedese; in effetti il termine deriva dallo scandivano “rottabaggar”). All’assaggio la consistenza è morbida; la frazione lipidica cospicua e pastosa; l’impatto complessivo notevole; l’odorosità intensa (carnea, ircina ed ematica in specie); il profilo gustativo di matrice dolce (incidono anche gli ortaggi) e in parte piccante (per via del pepe e della stessa rutabaga: la quale, se bollita, cede anche piccole dosi di amaro, qui però annichilite dalla palude di grassi e carboidrati in cui sprofondano). Come regolarsi allora nella sfida a questo pasto da “campioni della forchetta”? Ecco qua tre nostre proposte, pensate allo scopo…
CON LA FARMHOUSE
Si parte da una gradazione alcolica non vertiginosa (5.7%), ma da una densità sensoriale esplosiva e tanto rustica quanto quella dell’haggis. In mescita abbiamo infatti la “Istà”, una Saison in versione Farmhouse firmata, a Villaga (Vicenza), dalle fattorie “Siemàn”, realtà – birraria e vinicola – specializzatasi, tra altre in Italia, nei metabolismi misti e non convenzionali. In questo caso, abbiamo un mosto di cereali che viene prima avviato a una conversione alcolica ordinaria; e poi consegnato a una maturazione (per 5 o 6 mesi) in botti entro le quali sono state depositate le fecce nobili raccolte in cantina, appunto a margine delle lavorazioni condotte sui vini della casa: una madre fermentativa ricca di microorganismi vari e diversi, portatrice di ulteriori effetti contaminativi. Ne risulta una massa liquida di color dorato carico; dotata di un naso legnoso (corteccia), lievemente lattico (yogurt con frutta a pasta bianca), fenolico ed “equino”: un arsenale di sensazioni contadine in grado, quantomeno, di arginare e limitare l’esuberante olfatto animale dell’haggis. La cui materia grassa viene peraltro ben aggredita e scavata dalla ficcante acidità della sorsata (un’affilatezza con tratti anche acetici); mentre l’unghiosità sapido-piccante dell’insaccato non trova, nella bevuta, l’ostacolo (potenzialmente conflittuale) di alcuna amaricatura di rilievo, bensì solo l’incontro non disarmonico con l’appena citata corrente acidula, che s’incarica (tra l’altro) di smorzare ulteriormente le insistenti odorosità carnee del boccone. Prima ripresa in parità…
CON LA WEIZENBOCK
Si sale con il grado alcolico; si rincasa entro perimetri più consueti sul piano olfattivo: in pista c’è una Weizenbock, la “Augustus” della scuderia “Riegele” (Augusta, Baviera); una versione (della tipologia di riferimento) in abito ambrato, la cui mescita si corona un di una voluminosa torretta di schiuma beige. Al naso, ecco note di banana matura e susina sotto spirito, affiancate da un chiodo di garofano che ben aggancia sia il pepe sia (soprattutto) la noce moscata dell’haggis; al palato, poi, la sorsata sfodera bollicina ed energie etiliche in quantità ben sufficienti a smantellare le densità grasse del boccone: sebbene forse l’acidulità della bevuta non risulti qui così efficace (come invece lo era stata l’affilatezza lattica della “Istà”) nel diluire le insistenze retrolfattive, ematiche e animali, manifestate dall’insaccato. Tutto quadra invece sul piano delle collimazioni gustative: ché la sapidità e la piccantezza del piatto trovano sulla loro strada solo l’emolliente effetto prodotto dalla dolceacidulità del bicchiere. Altro round archiviato positivamente, insomma…
CON LA SCOTCH ALE
Come terzo, un abbinamento cosiddetto “territoriale”: scozzese la pietanza, scozzese l’ispirazione tipologica della birra scelta “a irrorare”. Si tratta infatti della “Sator Arepo Eccetera”, la Wee Heavy targata “Godog”, marchio con sede a Jesi (Ancona). Il suo colore bruno anticipa tostature e caramellature che riprendono in modo interessante le note analoghe rilasciate, sotto cottura, da cipolla e avena; i suoi 7.1 gradi alcolici, non supportati da un’acidità di spicco né da una bollicina ficcante, faticano invece un po’, da soli, nel lavoro di diluizione e di smaltimento della materia grassa del boccone; idem l’appena citata assenza di acidità vere e proprie fa mancare quell’argine prima apprezzato (specie con la “Istà”) contro le odorosità acute e selvatiche dell’haggis. Per fortuna la birra recupera terreno con la propria dolcezza rotonda e levigata: lo strumento migliore con cui trattare e accarezzare le incursioni sapido-piccanti generate dall’insaccato. Qualche asimmetria, in sintesi; qualche punto in più, sul “ring” a favore del piatto: ma tutto sommato un match proporzionato e piacevole…
BIRRIFICIO SIEMÀN
Via Croce Nera, 1 – Villaga (Vicenza)
info@sieman.it
www.sieman.it
BIRRIRICIO RIEGELE
Frölichstraße, 26 – Augusta (Baviera, Germania)
T. 0049 (0) 821-32090
info@riegele.de
www.riegele.de
ETERNALCITY GODOG
Via Acquaticcio, 5 – Jesi (Ancona)
329-0710013; 349-5143566
info@birragodog.it
www.birragodog.it