di Andrea Camaschella
La Sicilia è un’isola meravigliosa, ogni volta che ho l’occasione di andarci scopro angoli splendidi, panorami unici, godo di un clima perfetto e anche l’ultima mia “discesa” non mi ha deluso, anzi, ho scoperto Cefalù, una perla sospesa tra il mare e la rocca che la protegge alle spalle.
Ovviamente il viaggio era per motivi “birrari”, ma altrettanto ovviamente le birre, i birrifici e i birrai sono espressioni di questo splendido territorio. In quest’ultimo viaggio ho colto appieno il forte legame che lega le birre alla terra in cui nascono. Devo ringraziare, per questo, il Beer Street Festival che si è tenuto appunto a Cefalù, in provincia di Palermo. Ben organizzato, in una posizione da favola sul lungomare e con una bellissima panoramica di birrifici tutti siciliani, accompagnati da street food, sempre locale.
Dapprima attraverso 3 laboratori, master class, ospitate nella più bella caserma che abbia mai visto, con la regia di Mauro Macaione e l’occhio attento di Simone Lazzara (assessore giovane e dinamico, come ne avremmo bisogno ovunque), poi chiacchierando – e assaggiando – con i birrai nei vari stand, ho trovato birre di qualità, nella maggior parte dei casi ben caratterizzate su sentori locali. Finalmente ho trovato il “gusto siciliano” che fa da filo conduttore, un insieme di ingredienti e un modo di farli interagire tra di loro per cui è la Sicilia stessa, con i suoi profumi, i suoi aromi, a fare capolino dal bicchiere. Sono gli stessi profumi che senti nell’aria. Federica Terrana, l’addetta stampa dell’evento, naso in un bicchiere di birra, ha colto nel segno, affermando che sentiva il profumo del suo tramonto. Vado oltre e anche nei sapori vado a ritrovare, in molte delle birre, il sapore della Sicilia, lo stesso dell’acqua della maggior parte dei posti, con una lieve salinità, che si riflette anche nella birra. Forse non è facilissimo accettarlo e capirlo, forse è ancora più difficile comprenderlo in un movimento giovane e ancora agli albori come quello siciliano: mancano pub e locali in generale che vogliano e poi sappiano trattare la birra artigianale, da questo punto di vista i pochi locali sono letteralmente delle mosche bianche.
Colpisce anche vedere così tanti giovani tra i birrai e imprenditori, in un paese, intendo l’Italia in generale, in cui fare impresa è molto complicato e faticoso, e in un contesto, la Sicilia, in cui fare impresa brassicola è ancor più complicato e intendo anche e soprattutto per il reperimento delle materie prime, che arrivano da molto lontano, per la mancanza di cultura di cui accennavo sopra, loro ci stanno scommettendo e lo stanno facendo in modo personale ma non stravagante o totalmente fuori dai canoni: producono birre, con carattere locale, ma pur sempre birre. Ci si aspetterebbe mancanza di esperienza e di confronti, con risultati eccessivi dal punto di vista del carattere o pessimi dal punto di vista della birra in sé (con problemi di fermentazioni o altro), come dicevo ho invece assaggiato una dozzina almeno di diversi birrifici e ho trovato tutte le birre (e ne ho assaggiata più di una per ogni stand) interessanti. Qualcuna nelle mie corde, cioè la birra che mi berrei una serata intera, qualcun’altra a me meno affine, ma ognuna delle birre corretta, ben eseguita, con un’idea e una realizzazione degne appunto di un birrificio.
Da almeno un paio di anni a questa parte ho osservato una crescita notevole, generale, non ho intenzione di stilare una classifica, che non avrebbe alcun senso, ma a Cefalù oltre a Yblon e Alveria, che conoscevo già particolarmente bene, ho scoperto che molti altri birrifici, come i 24 Baroni, Tarì, Bruno Ribadi, Rock Brewery, Irias, Epica, Kottabos, Ingargiola, Chinaschi (in ordine sparso e assolutamente casuale) hanno una marcia in più e un passo almeno nazionale. Sono però spesso difficili da comprendere fuori da questo contesto: un panorama di birre – nella maggior parte dei casi – così caratterizzate e particolari, fuori dalla Sicilia, possono incontrare molte difficoltà, perché la loro natura è molto locale e poco extra insulare, vanno spiegate, comprese. E se lo meritano in pieno, perché appena ne capisci la natura, ogni bicchiere sembra prendere luce e la bevuta ha una marcia in più, perché l’uso sapiente di spezie e frutta del posto è sempre bello da trovare, ovunque. Da un altro punto di vista si torna però a un concetto a me molto caro: il birrificio locale, che opera per la propria zona, grazie ai suoi affezionati clienti, vive senza l’affanno di dover vendere in tutto il mondo e con i rischi (di tenuta di qualità dovuta a trasporti e pessima conservazione) che un’esportazione comporta per una birra. Esempio perfetto in questo senso è Ballarak, un birrificio con annesso uno splendido pub, nel cuore di Palermo. Piano piano, lo prometto, tornerò a parlare di birre e, senza rubare il territorio a Mauro Ricci, vi parlerò anche io di qualche produzione più in particolare, anche perché ho il mal di Sicilia, ma per fortuna a breve avrò un’altra possibilità di venire in quel di Palermo e frenare un po’ di questa nostalgia a suon di birre.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci