“Sportina”, “sportellina”, “schiacciata di Pasqua”. Tre dei diversi nomi con cui, in Toscana, ci si riferisce a un’unica ricetta; ovvero quella della torta tipicamente preparata appunto per la festività della Resurrezione: in sostanza un dolce da forno ben lievitato che, tra i suoi ingredienti, include rigorosamente i semi di anice.
TANTI NOMI, TANTA FANTASIA
Diffusa in specie nei comprensori costieri (Pisa, Livorno) e in quelli che risalgono il corso dell’Arno verso le sue sorgenti, cioè verso Est, questa ricetta molto tradizionale (le origini rimandano almeno alla metà del XIX secolo), assume, come abbiamo appena detto, varie denominazioni tra loro ben differenti; e, cosa ancor più importante, tali da poter risultare fuorvianti. La parola “schiacciata” farebbe ad esempio intendere un panificato dalla forma appunto spianata, simile a quella di una focaccia; tanto più che, nel Granducato, la voce “schiacciata” (senza specificazioni) indica esattamente questo: una focaccia salata e ben oliata. E invece il dolce di cui parliamo oggi ha una sagoma sviluppata in verticale, simile a quella di un panettone; perché, in questo caso, il verbo “schiacciare” allude alle uova: quelle che, in primavera, le galline consegnano in gran numero; tanto grande che, al fine di gestire l’eccedenza, i contadini le rompevano, appunto, per farne l’impasto di una torta (a proposito: nei territori in questione, accanto ai termini italiani “schiacciare” e “schiacciata”, continuano a coabitare i dialettali “stiacciare” e, quindi, “stiacciata”). Più pertinenti, a livello semantico, sono al contrario le designazioni “sportina” e “sportellina”: giacché il nostro dessert, immaginandolo rovesciato, ricorda, e molto da vicino, giusto la fisionomia di una piccola borsa della spesa.
L’ANICE AL POTERE
Vediamo a questo punto i dettagli e la messa in opera della preparazione. Che include (insieme a possibili altri) gli ingredienti di seguito elencati: farina bianca, zucchero, latte burro, olio extravergine d’oliva, uova, lievito, buccia d’arancio (o di limone o di entrambi), liquore (scelto un po’ a piacere di chi prepara), vin santo e immancabilmente i semi di anice. Ed ecco come si procede. Prime operazioni: unire lievito e farina con acqua, quindi far fermentare per tre quarti d’ora sotto un canovaccio; nel frattempo, ammollare i semi di anice in una miscela di liquore e vin santo, aggiungere la buccia d’agrume e mescolare. Seconda fase: integrare il primo impasto (quello lievitato naturalmente sotto lo strofinaccio) con altra farina e poi con uova, zucchero, olio, burro, latte e un po’ dell’infuso di anice; dopodiché amalgamare ben bene e infornare a temperatura bassa per un’oretta e mezza almeno. Terza fase. A questa massa, calda e malleabile, aggiungere ancora farina, uova, zucchero, olio, burro, latte e la quantità rimasta del liquore all’anice e agrume; mescolare il tutto una volta di più; riempire, con il composto ottenuto, uno stampo cilindrico di carta da forno; e far lievitare, appunto in forno (sempre a bassa temperatura), per tre ore circa. Quarta manovra: prelevare la torta dallo stampo, spennellarne la calotta con un tuorlo d’uovo, portare il forno a 170 °C e far cuocere per un’altra oretta.
UN’ESPLOSIONE DI GUSTO
All’assaggio il boccone si rivela morbido ma di alta densità sensoriale; la componente grassa si fa sentire in modo deciso; il gusto è intensamente zuccherino; le direzioni olfattive improntate al “dettato” delle ovvie tostature e dell’altrettanto ovvia dominante speziata determinata dai semi di anice (con agrumature e liquorosità ossidative a supporto). Quali le birre da candidare all’abbinamento? Di certo devono far valere, esse stesse, una personalità organolettica vigorosa; inoltre dovranno esibire opportune funzioni di gestione della materia lipidica (ovvero bollicina, acidità e alcolicità: da sole o in combinazione); infine dovranno manifestare una tendenza gustativa dolce (o almeno anche dolce) e un orientamento olfattivo tale da poter riprendere e prolungare, in continuità, quello della nostra torta. Queste le regole d’ingaggio generali; ed ecco come le abbiamo tradotte in tre concrete soluzioni di “accompagnamento in tavola”.
CON LA BELGIAN GOLDE STRONG ALE
Partenza già “su una ruota”: con i 7.5 gradi alcolici della “Malacoda”, una Belgian Golden Strong Ale targata “Mezzavia” (Selargius, Cagliari). Dorata all’occhio, in olfazione la birra consegna note da frutta matura (pera, banana), pastafrolla e spezie (noce moscata, pepe): tali quindi da dialogare in affinità con le timbriche aromatiche del boccone. Boccone i cui spessori lipidici vengono fluidificati con disinvoltura dallo slancio etilico e dalla bollicina della sorsata; mentre, al palato, interessante è la proporzionalità tra i livelli zuccherini del piatto e quelli del bicchiere: quest’ultimo segnato da una chiusura secca, ma non amara.
CON LA DOUBLE IPA
Ecco: l’amaro. Questo uno dei punti di divergenza tra il primo e il secondo “corpo a corpo” tra boccone e sorso. La birra in pista è infatti l’ambrata “Freewheelin” della scuderia “Foglie d’erba” (a Forni di sopra, Udine): e si tratta di una Double Ipa. Come se la cava? Andiamo per gradi; in senso (anche) letterale: intendendo ad esempio quelli alcolici. Che sono 8,5: ovvero abbastanza, in alleanza con la vivace carbonazione, per gestire con efficacia la materia grassa del boccone. Poi ci sono le relazioni olfattive: e su questo fronte il bicchiere (che include, tra altre, venature da ananas, pasta frolla e agrume) aggancia, com’è evidente, almeno un paio delle dominanti aromatiche espresse dal dessert. Infine le collimazioni palatali: una dimensione in cui la bevuta, segnata appunto da un assertivo taglio amaricante, vede quest’ultimo prima ammansito dal binomio dolce-grasso ben presente nella torta e, alla lunga, risucchiato in una spirale “bittersweet” tale da evocare con ancor più vividezza le sensazioni da agrume a scorsa rossa. In sintesi: una combinazione rischiosa ma avvincente…
CON IL BARLEYWINE
Atterraggio più prudenziale: con il paracadute, via. Ché nel calice abbiamo un Barlewine, benché, esso stesso, improntato a un finale dotato di qualche amaricatura. Si tratta della “Quinto anniversario”, firmata a Carate (provincia di Monza e Brianza) dalle officine di “Birra Gaia”. Qui il colore è un ramato profondo, dai riflessi rubino; e i gradi alcolici sono ben 11: facile, perciò, il compito di smaltire i depositi lipidici del boccone. Sul piano palatale, poi, le regole d’ingaggio non sono dissimili da quelle registrate in riferimento al secondo abbinamento; ma con i rapporti di forza (tra dolce e amaro) che, internamente alla sorsata, premiano le morbidezze zuccherine: il che evidentemente facilita le relazioni con il dessert. Quanto alla piattaforma aromatica, nel bicchiere sovrabbondano sia le tostature (in pieno allineamento con gli analoghi profumi della sportina) sia sensazioni da frutta disidratata (fichi) o sotto spirito (ciliegie): un filone odoroso esso stesso consanguineo con l’anima olfattiva del la torta, nelle sue componenti liquoroso-ossidative. Chiusura col botto: ma senza feriti…
BIRRIFICIO MEZZAVIA
Via del Lavoro 34/36 – Selargius (Cagliari)
T. 070 7513075
info@birramezzavia.it
www.birramezzavia.it
BIRRIFICIO FOGLIE D’ERBA
Via Nazionale, 14 – Forni di Sopra (Udine)
T. 347 3555197; 366 7599113
info@birrificiofogliederba.it
www.birrificiofogliederba.it
BIRRA GAIA
Via Emilia Vergani, 16 – Carate Brianza (Monza e Brianza)
T. 0362 1730160
info@birragaia.it
www.birragaia.it