di Simone Cantoni
Quello di Sorrento è un nome di forte potere evocativo non solo per l’immagine turistica e paesaggistica, sia (in particolare) della Campania sia (in generale) dell’Italia intera.
Già, perché questa cittadina in provincia di Napoli, che dà il proprio nome a una celeberrima penisola e a un altrettanto famoso golfo (due “cartoline” ben impresse nella percezione collettiva legata al nostro Paese), ha anche a che fare – come vedremo tra poco – con i primissimi albori dell’esperienza brassicola artigianale nella Penisola. Oggi, dunque, volge proprio in direzione di quel magnifico tratto della Costa Tirrenica la “bussola” de “Le birre dell’anima”: la rubrica periodica con cui “Cronache di gusto” dirige, di volta in volta, la propria attenzione verso un singolo e specifico prodotto, illuminandone il suo speciale significato rispetto alla storia e alla “filosofia” del rispettivo produttore. Ebbene, l’etichetta “ospite” di questa puntata è la “Syrentum”, sorta di “bandiera” (anche nel “battesimo”) del Birrificio Sorrento.
UN PO’ DI STORIA; ANZI, PREISTORIA…
Dicevamo del posto avuto da Sorrento nella storia della birra artigianale in Italia; una vicenda le cui radici risalgono a ben quarant’anni fa. Ancor prima infatti del fatidico biennio 1995-96: quello del “big bang” innescato dall’entrata in scena dei nomi (“Baladin”, “Birrificio Italiano”, “Lambrate” e via dicendo) il cui “traino” ha poi aperto la strada alla successiva espansione del “movimento”. Ecco, appunto, ancor prima di quel punto di svolta, lo Stivale aveva già conosciuto, qua e là lungo le proprie latitudini, la nascita di impianti produttivi e brewpub ai quali occorre riconoscere un ruolo speciale: da “precursori dei pionieri”. Ebbene, tra queste realtà “dissodatrici” di un terreno allora assai refrattario, una aveva aperto i battenti proprio a Sorrento: era stato, nel 1982, il “St. Joseph”, probabilmente il primo, in Italia, a potersi chiamare “birrificio”; la cui attività sarebbe andata avanti più o meno fino alla metà del decennio successivo.
L’ATTUALITÀ: IL BIRRIFICIO SORRENTO
Una parabola che ha avuto un inizio e una fine, insomma, quella del “St. Joseph”; ma che, sul suolo, ha lasciato un seme: destinato successivamente a germogliare e a crescere, dando vita a nuove avventure imprenditoriali. È il 2009 quando – in una fase di forte crescita del settore “micro” – Giuseppe Schisano (alle spalle una “gavetta” da homebrewer risalente ai primi del secolo) unisce le sue forze con quelle del socio Francesco Galano, fondando il “Birrificio Sorrento”. Il marchio, ai suoi esordi, non è in realtà proprietario d’impianto: si tratta di una “beer-firm”, che per la produzione si appoggia alle strutture di colleghi operanti anche in conto terzi. Una fase transitoria, del resto; chiusa quando i due arrivano a dotarsi di una loro sede operativa: prima a Massa Lubrense; poi, nel 2018 (in locali più ampi e con una tap-room interna), giusto alle porte di Sorrento stessa. Questo è oggi il “laboratorio” in cui prendono forma le varie referenze di cui si compone la gamma “della casa”; una gamma nella cui compagine, il titolo di “birra dell’anima” – secondo il sentimento di Giuseppe (il “manovratore” in sala cotte) e di Francesco – spetta come dicevamo alla “Syrentum”, una Belgian Ale da 5 gradi e mezzo, aromatizzata con pregiati limoni locali, a sigla di qualità IGP.
UNA BIRRA, UN PEZZO DI CUORE
“Senza la Syrentum – spiega Schisano – probabilmente non esisterebbe neanche il birrificio. L’embrione della ricetta nacque durante il mio ‘stadio’ da ‘homebrewer evoluto’. Avevo cominciato subito a produrre con una buona frequenza: dopo qualche tempo mi ritrovai a farlo, con Francesco, nel limoneto della mia famiglia; con tutti quegli agrumi intorno, venne spontaneo provare a impiegarne le scorze. I primi risultati (di solito facevamo assaggiare le nostre cose ad amici e parenti, specie sommelier o ristoratori) non furono lusinghieri; ma testardaggine e curiosità non mi mancano. In particolare mi chiedevo perché quelle bucce, dal profumo così buono, facessero uscire, invece, sensazioni decisamente non piacevoli. Allora (chimica e biologia mi erano sempre piaciute fin dal liceo), ripresi in mano qualche libro e cominciai a studiare a fondo le materie prime per la birrificazione. La soluzione ai problemi che avevamo arrivò quando andai ad approfondire i ‘segreti’ dell’acqua. Capii il da farsi, corsi a comprare un impianto a osmosi inversa con cui rimodulai il profilo appunto dell’acqua e così nacque la ‘Syrentum’. Inizialmente, anzi, il suo nome era ‘Balumina’, in omaggio anche a un’altra passione, quella per la vela. Cosa c’entrava? Ecco qua: la balumina rappresenta il lato libero della vela, il cui bordo unisce due angoli fondamentali, quello di penna e quello di scotta. Con quel battesimo volevamo significare che la birra era ‘libera’ di unire due tipologie, la Blanche e la Saison”.
SYRENTUM, LA GENESI
“L’idea che avevo in testa, per la ‘Syrentum’ – prosegue Schisano – era quella di una sorsata di facile beva, ma riconoscibile e con personalità. Che facesse capire, in modo semplice e immediato, la differenza tra un prodotto artigianale e uno no. Che portasse dentro di sé le mie origini, il mio territorio e il mio retroterra. La sfida non era facile, perché si trattava di un progetto un po’ ‘matrioska’, un concetto di birra basato su tante altri concetti-pilastro. Punto di partenza fu la scelta di optare per i limoni freschi: avevo la fortuna di poter coglierli dall’albero poco prima della cotta e questo elemento di forza andava valorizzato. A patto, chiaramente (e questo fu chiaro da subito), di dosare bene un ingrediente tanto caratterizzante: pena, in caso contrario, la perdita di semplicità e, probabilmente, di piacevolezza. D’altro canto la fragranza ventilata delle scorze, minata dal calore del mosto in bollitura, doveva essere sostenuta: e l’ideale era ricorrere a qualche speziatura, tenendola chiaramente in sottofondo, in posizione di supporto. Insomma, tutto convergeva verso i ‘recinti’ delle Blanche e delle Saison appunto: ma quale scegliere? Alla fine decidemmo di non vincolarci rigidamente a uno steccato tipologico preciso, ma di muoverci con più libertà”.
SYRENTUM, LA COSTRUZIONE
La ricetta poggia su questo telaio. In miscela malto Pils più una porzione di destrinico e una di frumento. In luppolatura (sia da amaro sia da aroma) gettate di Cascade e Hersbrucker, coi loro toni, rispettivamente, agrumati e speziati. A fine bollitura l’aggiunta di semi di coriandolo e anice, oltre che (anzi, soprattutto) delle bucce dei limoni di Sorrento IGP, prelevate (rigorosamente) solo pochi minuti prima dell’utilizzo per evitarne l’ossidazione; “perché l’acido citrico – chiarisce Giuseppe – è sì un poderoso antiossidante: ma si trova esclusivamente nella polpa, quindi nel succo”. Quanto alla fermentazione, in tino ci si affida all’efficacia attenuante del lievito Saison, “con la sua capacità – prosegue Schisano – di conferire secchezza alla sorsata, suscitando subito il desiderio della successiva”. E poi, alla base, l’ingrediente di cui si è parlato fin dal principio: l’acqua. “L’elemento-cardine; quello – racconta ancora il ‘padre’ della “Syrentum” – studiando il quale il birrificio ha compiuto un salto di qualità che, guardando indietro, era indispensabile: diversamente il nostro sogno avrebbe rischiato di essere mandato a monte. Qual era il punto? Che, in una località turistica come Sorrento, l’acqua cambia probabilmente almeno due volte l’anno: quando aumenta l’afflusso dei visitatori e cresce la richiesta idrica, ci si approvvigiona presso altre fonti. Oggi, così come ho la ricetta dei malti e dei luppoli, allo stesso modo ho anche quella delle acque; mi avvalgo in particolare di una miscela tra acqua di rete, acqua osmotica e acqua addolcita: le cui proporzioni cambiano in base alle analisi effettuate a monte e in base alla birra da produrre”.
SYRENTUM, L’ASSAGGIO
Insomma, produrre questa birra, lo si è detto, rappresenta una sfida. E lo è ogni volta. Gli equilibri sono delicati: uno sbaglio lo si avverte immediatamente. E le variabili sono una sfilza. Si pensi ad esempio ai limoni: una mandata non è mai uguale all’altra. Quelli di Sorrento (da disciplinare IGP) si raccolgono tra 1° febbraio e 31 ottobre: “Chiaro – sottolinea Schisano – che i frutti prelevati in autunno, quando la pianta è ‘stanca’, non sono paragonabili a quelli di maggio-giugno. La quantità di bucce utilizzate nella ‘Syrentum’ cambia così durante l’anno; e la determiniamo basandoci soprattutto sul mio limoneto di famiglia (un prezioso, ‘barometro’), sull’esperienza e su alcune statistiche che aggiorno ormai da una ventina d’anni”. Quale, nel bicchiere, il risultato di questa preparazione così complessa nelle variabili? Ecco qua. Colore dorato, velatura leggera e coesa schiuma bianca; naso citrico (e ci mancherebbe…), fruttato (pesca, mela), floreale (sambuco), speziato (semi di papavero); bocca equilibrata, caratterizzata da corpo leggero e gradazione dosata (5.5), bollicina viva, partenza snella e finale secco, interessato da un pulito crescendo amaricante. “Questa nostra birra – conclude Schisano – l’ho sempre immaginata come quelle barche a vela che, con un soffio d’aria appena, riescono a planare sul mare: dietro quel movimento disinvolto, quasi naturale, ci sono tante idee e tanto lavoro. E quindi… Buon vento, Syrentum!”.
BIRRIFICIO SORRENTO
Via Casarlano, 11 – Sorrento (Napoli)
T. 081 8773708
info@birrificiosorrento.com
birrificiosorrento.com