di Andrea Camaschella
Stefano di Stefano ha un passato e un presente che lo rendono credibile qualsiasi produzione decida di fare, qualsiasi birra decida di produrre, fosse anche uno stile totalmente inventato.
Stefano ha lavorato al Birrificio Italiano, di Lurago Marinone e a Lambrate, in quel di Milano, due tra i birrifici della primissima ora, quel 1996 che datiamo come anno “0” della birra artigianale italiana. Anche Stefano è un pezzo di storia della birra in Italia e la sua esperienza gli permette di cimentarsi davvero in ogni campo, anche se i birrifici citati sono famosi soprattutto per birre a bassa fermentazione. Il birrificio Argo, che ha aperto e conduce in società con Veronica Bianchi, è però defilato, come il carattere dei due protagonisti di questa storia. Le birre guardano, dai nomi agli stili scelti, ai viaggi, i tanti viaggi in giro per il mondo, per inseguire – anche ma non solo – la passione per le birre. Ecco perché in pochi ci aspettavamo una Italian Grape Ale e ce la aspettavamo pure molto buona sin dalla prima uscita. Una birra locale, con mosto di Malvasia e un nome che richiama altre suggestioni italiche, benché storiche e canore.
La Mille Bolle Gialle è limpida, di colore giallo paglierino, con una schiuma bianca ma evanescente, si confonde, all’aspetto, con un vino bianco. L’olfatto è ricco, appagante, con profumi ampi e profondi, si va dalla frutta acerba e si arriva alla frutta matura – polpa bianca e gialla, anche tropicale – floreale, erbaceo, miele, un tocco di balsamico. Si apre stando nel bicchiere e non decade ma anzi invoglia a cercare e riconoscere nuovi profumi prima di ogni sorso. In bocca la prima cosa a colpire è la bollicina: fine, piacevole accompagna delicatamente la bevuta, esaltando alcuni sapori e alcuni aromi, smussandone altri. Corpo tre l’esile e il medio, sembra in realtà lievemente più alcolica della realtà, ma fa parte del suo carattere vinoso, accogliente, il bilanciamento sui sapori è perfetto e il finale secco spinge al sorso successivo, mentre un lieve tannino, il sapore acido e l’astringenza, appena accennati, ne svelano il carattere e al tempo stesso la sua delicatezza. Birra piacevole da bere, un sorso tira il successivo, che può stare anche a tavola e anche con piatti impegnativi: io l’ho bevuta con un formaggio francese di alpeggio, il Beaufort – Savoie, a pasta pressata, grasso, ben stagionato, di gran carattere, ha creato un abbinamento per affinità e contrasto al tempo stesso, davvero piacevole. In attesa che i tempi migliorino e che il lavoro torni quello di sempre, per tutti i birrifici, questa birra si farà attendere, ma appena i ragazzi di Argo ne produrranno un nuovo lotto, non lasciatevelo scappare: non vi deluderà come non deludono le altre birre che producono.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci
Birrificio Argo
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