di Simone Cantoni
Un nome e, in sé, un “manifesto programmatico”.
Parliamo della “Tripelfoi” targata “Via Priula”, marchio artigianale lombardo che vede le proprie insegne stagliarsi sullo sfondo di un orizzonte “da cartolina” come quello godibile a San Pellegrino (Bergamo), centro termale al centro della Val Brembana, il cui abitato è cinto dal profilo delle Prealpi Orobie. È lei, questa belga ad alta gradazione (siamo a quota 9.5), dalla ricetta fortemente personalizzata in base al gusto del suo produttore, la protagonista del nuovo appuntamento con la nostra rubrica “Una per tutto, tutto per una”: una galleria di monografie, a cadenza (più o meno) mensile, volte a tracciare, ciascuna, il profilo di una singola birra, approfondendone in particolare le propensioni relative agli abbinamenti con la cucina.
MELAFOI: IL RITRATTO
Ebbene, perché abbiamo presentato la nostra birra di oggi definendone il nome come una sorta di “dichiarazione d’intenti”? Semplice, perché quel nome esprime in sé la peculiarità della ricetta stessa. Si tratta infatti di una “Tripel” aromatizzata con aggiunta diretta di achillea millefoglie, pianta aromatica dalle olfattività intriganti (tra talco e suggestioni Sauvignon Blanc), assai diffusa in montagna e chiamata, da queste parti, “melafoi”. Spiegata la genesi del suo “battesimo”, veniamo alla bevuta; una bevuta da avvicinare con attenzione, in tutti i sensi: relativamente sia alla stazza etilica sia alle complessità organolettiche. Di colore dorato pieno e schiuma bianca (abbondante, vie da dire “rocciosa”: sarà la suggestione delle vette locali…), la sua piattaforma aromatica esplora temi dalle molteplici direzioni: pasta frolla e caramello biondo (a gocce); frutta matura (banana, mela), ma anche sotto spirito (pesca) e secca (mandorla, con tendenza a farsi amaretto); prato falciato, spezie (ginepro, chiodo di garofano) e fiori in quantità (la varietà cardine della ricetta, ma anche il classico sambuco). È il preludio a una sorsata altrettanto ricca di sfaccettature (tali e tante da farne perdonarne quella che, a tratti, emerge come una certa esuberanza alcolica): il flusso della sua massa liquida, caldo e risoluto, si caratterizza per doti atletiche (il corpo è medio-leggero, la bolla pimpante, l’avvio abboccato ma il finale secco); e procede con passo filante verso un esito di asciutta amaricatura (37 le IBU), che evoca piacevolmente ricordi da infuso d’erbe. Insomma un temperamento fortemente scolpito: le cui doti (e specificità) abbiamo messo alla prova con tre pietanze diverse.
CON IL RISOTTO BIETOLE E STRACCHINO
Partiamo con questo primo piatto: semplice e ricco di gusto. Si tratta di cuocere, in una pentola, le bietole tagliate a listarelle con olio extravergine e acqua tiepida; aggiungere il riso e – versando via via brodo vegetale – portarlo al punto giusto perché resti “al dente”; spolverare di sale (con prudenza), quindi unire al tutto lo stracchino, amalgamare e servire in tavola. Il boccone ha una massa amidaceo-lipidica che sembra fatta su misura per essere diluita dall’approccio combinato di alcolicità e bollicina messe in gioco dalla birra; la quale, su un alto fronte, sovrappone la propria delicata amaricatura a quella del formaggio e della bietola, con esiti di attenuazione armonica; mentre le note erbacee dell’ortaggio riprendono quelle della sorsata, declinando, nel post-deglutizione, una nitida consonanza olfattiva.
CON IL FILETTO DI MAIALE ALLA MELA
Altra preparazione non problematica e, al contempo, di grande soddisfazione. Il filetto, preventivamente “passato” in un trito di spezie (pepe nero, chiodi di garofano, ginepro), viene cotto al forno in una pirofila; quindi il fondo liquido rilasciato dalle carni stesse viene raccolto in una padella per farvi rosolare qualche mela ben matura ridotta in cubetti; infine il maiale viene tagliato a fette spesse, portato nella padella e adagiato sulla dadolata di frutta, aggiustato di sale (senza spingere) e rifinito, sulla fiamma, portandolo a lieve brunitura. Anche in questo caso la frazione grassa del boccone (una dotazione “di serie” del suino) ben si presta all’incontro con l’effervescenza e la gradazione della birra; la cui amaricatura non va in urto con la sapidità del piatto, giacché, su quest’ultima, agisce in attenuazione la dolcezza zuccherina conferita dalla mela; la stessa mela che, unendo il suo timbro olfattivo a quello delle spezie tritate, costruisce le premesse per una collimazione decisamente precisa nei confronti del telaio aromatico della Tripel.
CON LE BANANE FRITTE ALLA BRASILIANA
Chiusura “esotica” ma altrettanto agevole da preparare. Le banane, tagliate a rondelle spesse, vengono passate in farina, uovo e pangrattato; quindi fritte in olio abbonante e ben bollente fino a esibire una brillante doratura; infine cosparse con zucchero e cannella in polvere, prima di essere servite in tavola (da annotare che, sostituendo, a questa guarnitura dolce, una spolverata di sale, il frutto può essere applicato come contorno, ad esempio su un secondo a base di carne). Il nostro dessert si presenta dotato di una certa materia grassa (conferita dalla banana stessa, dalle uova e dall’olio di cottura): elemento che, come si è già visto nei due passaggi precedenti, trova il giusto regolatore nelle funzioni di gestione lipidica della birra. Inoltre la natura zuccherina del boccone (dovuta al frutto in sé e alla rifinitura pre-impiattamento) genera un piacevole gioco dolceamaro nell’incontro con il finale della sorsata; mentre quest’ultima, con il suo ricamo olfattivo nel quale la banana figura esplicitamente, “tende la mano” verso la dominante odorosa del piatto, assecondandola in un post-deglutizione di gradevole armonia…
Birrificio Via Priula
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