(Marco Sabatti)
di Andrea Camaschella
Rimini, febbraio 2017, ascoltando la premiazione di Birra dell’Anno, salta all’occhio (e all’orecchio) un nome nuovo, un birrificio che vince un oro pesante, che mette in fila due dei favoriti naturali, Hammer e Cr/Ak.
Si tratta di Porta Bruciata, un birrificio sconosciuto ai più, della provincia di Brescia, aperto per altro lo stesso anno di Hammer e Cr/Ak, che mette in fila proprio nella categoria 9, quella destinata alle birre ispirate alle American IPA, categoria estremamente affollata, in cui ci si aspettava ben altri risultati. Categoria che io non giudicai, ma fino a quando non riuscii ad assaggiare la Orifiamma, non fui soddisfatto del lavoro fatto in giuria. Birra decisamente buona e meritevole dell’oro. Il dubbio però è un tarlo impertinente e l’idea che si trattasse di una meteora è rimasto a lungo. Almeno fino a pochi giorni fa. Rimini, febbraio 2018, la premiazione di Birra dell’Anno mi sorprende ancora. Molte più categorie, quindi molte più possibilità di medaglia, è vero, ma a partire dalla Categoria 9 (destinata alle Session APA e Session IPA) ecco che argento e bronzo sono di Porta Bruciata, stavolta alle spalle di Cr/Ak, ma intanto Shantung e Dusky Bay danno un bel segnale di conferma del birrificio bresciano. Non è però finita: nella categoria 13 (Double e Imperial IPA) la Larkin Street si aggiudica l’oro. Okay, non si tratta più di una meteora, però questa la voglio proprio assaggiare. Sono abituato a Double IPA italiane in cui si sente il tenore alcolico, con sentori di frutta candita che mi stancano nella bevuta e questo mi aspetto.
Allo stand di Porta Bruciata, presente a Rimini, resto invece sorpreso: la Larkin è secca, precisa, pericolosamente beverina, come si conviene a una vera Double IPA. Il colore, dorato chiaro (lievemente velato), denuncia subito l’assenza di fastidiose note caramellate, così come nei profumi è in tutto e per tutto una birra americana, senza profumi di panettone (tra il burroso e sentori di agrumi canditi), ma con un bell’agrumato in evidenza e una nuance di frutta tropicale e frutti rossi ben amalgamati. Un naso fresco e invitante. Il primo sorso è sorprendente: bilanciamento perfetto, amaro ben presente ma non eccessivo, corpo adeguato, secchezza finale da manuale e poi un piacevole retrogusto, su agrumi e una freschezza balsamica. La Larkin non stanca, ti invita al sorso successivo, nonostante i suoi 8% Vol. di alcol che si percepiscono molto poco, sotto forma di un lieve calore dopo che si è deglutito.
Mi vengono in mente, mentre la bevo, paragoni imbarazzanti, arrivo a scomodare Vinnie Cilurzo, l’estroso birraio italo americano del mitico Russian River e i suoi dogmi sulle IPA:
- “Don’t go Crystal crazy”: cioè non usare troppo malto crystal, evitando così di coprire con le note caramellate quelle più delicate dei luppoli
- “Dry it out”: che invita a rendere secca la birra (senza giocare sul corpo)
- “Utilize hop extracts”: in pratica invita a usare estratti di luppoli per l’amaro, migliorando la chiarificazione del mosto da ciò che il luppolo (in fiore o in pellet) può rilasciare durante la bollitura
- “Treat your water”: l’acqua deve essere trattata e quindi adeguata al tipo di birra che si ha intenzione di produrre
- “Dry hop and repeat”: un solo dry hopping (la luppolatura della birra durante la sua maturazione) non è abbastanza, va ripetuto più volte
Chiacchierando con il mastro birraio, Marco Sabatti – socio fondatore con la moglie Chiara – ho la conferma che queste regole la Larkin le ha “dentro”, se non tutte in buona parte, e scopro che la passione per le birre artigianali nasce una ventina di anni fa proprio a San Francisco. E che a San Francisco e nei suoi dintorni il nostro amico birraio ci va spesso, visto che la sorella vive là. Larkin Street è la via di San Francisco dove ha soggiornato in un’occasione. A Santa Rosa, la città dove si trova Russian River ci è stato e sicuramente ne ha tratto ispirazione, per la Double IPA e non solo: con l’uso del luppolo e le birre di chiara ispirazione angloamericana Porta Bruciata si distingue. La mano di Marco si fa sentire non solo nella progettazione della ricetta coi malti, ma anche nella scelta dei luppoli, nel loro dosaggio e quindi nella caratterizzazione e nella personalizzazione: non avrei nulla contro un clone, ma se il tema è centrato e la birra è a sé, meglio ancora.
In pratica Marco e Chiara hanno portato la California, la West Coast della craft revolution americana, in Franciacorta, e l’hanno fatto con un’idea ben precisa e anche il giusto studio: prima di partire Marco è andato “a bottega” al Birrificio Rurale di Desio, e con Lorenzo Guarino come consulente e “maestro”, ha capito come e dove mettere le mani, partendo direttamente in un birrificio professionale, anziché, come molti altri, dai pentoloni per prodursi la birra in casa. E in Porta Bruciata saltano subito all’occhio l’organizzazione rigorosa, l’ordine e la pulizia, tipici di Lorenzo.
Peccato solo che la produzione sia ancora molto limitata, attorno ai 300 ettolitri annui. Ma una speranza di crescita c’è: i primi due mesi di quest’anno vedono un incremento del 100% rispetto allo stesso periodo di un anno fa e sono in arrivo due nuovi tini per aumentare la cantina. E soprattutto sembra alle spalle il periodo più complicato, quello di farsi un mercato in una zona fortemente votata al vino, poco avvezza alle birre in generale e a quelle amare in particolare. Ora è tempo di di farsi conoscere in altre zone e conquistare anche altri mercati; le premesse ci sono tutte.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci
Birrificio Porta Bruciata
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