di Mauro Ricci
Nell’antica Fano, Fanum Fortunae ricca di storia dagli antichi piceni ai galli ai romani, punto di arrivo della consolare Flaminia, con il bell’arco di Augusto, difeso e protetto dalle mura romane, dalla bella austera rocca dei Malatesta, si apre il grande spazio, grande all’esterno grande all’interno, di casa Renton l’esaltante birrificio che in pochi anni, è cresciuto sorprendentemente non solo in dimensione, ma in qualità e personalità.
Il nome, Renton è quello del protagonista, Max Renton di un film inglese degli anni '60 che insieme ad alcuni amici aveva come religione di vita l'evitare di studiare, pensare alla famiglia, alla vita di tutti i giorni che lui scandiva con altre scelte meno ovvie. Elia Adanti, il birraio dice che casa Renton per lui è solo la sua casa, il suo lavoro è forse la bella grafica della sua insegna. Poco importa se raffigura la sagoma di Max e del suo cane. Eppure la via alla birra di Elia qualche somiglianza con il modo di scegliere del personaggio del film, c’è. Studia all’Itis, si diploma, si iscrive con due amici a ingegneria, ma si accorge di avere intrapreso una via poco stimolante, monotona per lui e si lascia attrarre dalla possibilità di frequentare un corso per fare il birraio, percorso più breve e tutto inesplorato, tutto nuovo con prospettive di lavoro personale creativo.
Lascia ingegneria, segue il corso e intanto si fa assumere da una ditta che commercia in birre che lo manda in Belgio a fare tirocinio e lo aiuta a formarsi affidandogli l’incarico di commerciale. Se in passato Elia era rimasto freddo davanti alla sirena della birra fatta in casa, è adesso che la passione e la malattia per la birra si impadronisce di lui e la “scimmia” si poggia sulla sua spalla e non lo lascia più. Riprende i suoi pentoloni, sforna e realizza ricette sempre nuove e impiega tutto il tempo libero per studiare approfondire creare. Conosce i soci del birrificio Pergolese e li tormenta perché gli facciano fare almeno una birra sul loro impianto, ma c’è molta diffidenza e deve aspettare.
(Elia Adanti e Kuaska)
Finalmente capita la possibilità di fare la sospirata prova. Il risultato è tale che i diffidenti soci chiedono a Elia di aiutarli a rivedere le loro birre che escono incostanti e spesso zoppicano. In poco tempo Elia diventa il birraio del piccolo birrificio Pergolese forse per lungo tempo fra i più piccoli birrifici in Italia. La produzione aumenta, ma sopratttutto la qualità cresce. La creatività ha lentamente sempre più spazio e la tecnica si affina. Elia vuole che nel bicchiere ci sia quello che per primo avrebbe voluto bere lui. La linea guida è di mettere a punto ricette del tutto originali o se ispirate a uno stile, farne una libera personale interpretazione. Il tempo passa e i soci del Pergolese sono sempre più distratti fino a che abbandonano l’impresa. Elia rileva tutto con una nuova società fatta con gli amici ingegneri, si trasferiscono a Fano, l’impianto cresce i soci nuovi lavorano ciascuno con incariche definiti e Elia si può dedicare solo alla produzione. Nel 2014 compare anche la figura di un commerciale, Andrea Caverni.
Oggi ci sono nove birre in produzione di cui due stagionali. La finezza produttiva continua a crescere anche con produzioni in collaborazione con altri birrifici italiani (marchigiani) MC77, i norvegesi di AEgir, gli spagnoli (catalani) di Guineu, che hanno collaborato anche per un concorso indetto da Renton, in occasione della presentazione della loro birra di collaborazione in 30 locali d’Italia per il migliore slogan.
Fra le birre in menu Lola rappresenta la realizzazione di una ricetta secondo uno stile di riferimento saison in cui la base è presente nel lievito e nel coriandolo ma poi la composizione è piuttosto libera. Peraltro caratteristica dello stile. Profumi e aromi, la salvia in particolare, le conferisce una sensazione balsamica che nella bevuta inizialmente dolce viene sorretta da un corpo discreto e un aroma in bouquet verso l’amaro che la salvia alleggerisce in una coda che svanisce lentamente. La birra, comunque che mi appare più rappresentativa del modo di sentire e di fare la birra di Elia è la Jacaranda che rappresenta probabilmente la realizzazione più indicativa del modo odierno di intendere la birra da parte di Elia. E’ una interpretazione di uno stile, la Ipa, che Renton fa con una modalità molto personale in cui la mano del birraio è evidente nella proporzione fra i luppoli australiani e americani. La precisione nella creazione del bouquet degli aromi, giocando abilmente nella bevuta con un inizio dolce e morbido del malto che prosegue con sapori aromatici di frutta esotica ottenendo un finale fra amaricante e di resina da ricordare la mirra e la liquerizia in una coda che invoglia a fare presto un altro sorso per convincersi di una sequenza cosi coinvolgente. Lo studio del tempo che il bevitore impiega fra il primo sorso e quello successivo è oggetto di attento esame da parte di Elia che valuta da questo quanto vicino è andato all’obiettivo di una facile e accattivante bevuta.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci
Renton (Pub e Brewery)
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