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Birra della settimana

Il “panuozzo” campano e la birra: matrimonio perfetto… e in allegria

23 Giugno 2024
Panuozzo campano Panuozzo campano

Un classico in senso stretto? No, questo è chiaro. Ma un “nuovo classico” invece sì: lo si può dire eccome. Perché, sebbene la ricetta sembri risalire ai primi anni ’80 del ‘900, da allora ha scalato fulmineamente le classifiche della popolarità, fino a imporsi come una fra le tipicità alimentari più note, apprezzate e consumate: specie nell’ambito del cosiddetto “cibo di strada”. E come spesso accade alle preparazioni premiate da un’ampia diffusione, non solo si è ramificata in una quantità di varianti, ma si è anche fatta conoscere con alcuni nomi diversi. Parliamo del “panuozzo” o “panozzo” o anche “saltimbocca” (in questo caso da non confondersi ovviamente con quelli alla romana). Una “trovata” che ha preso forma grazie all’inesauribile estro palpitante nella cucina campana; e che, da un certo punto di vista, rappresenta un anello di congiunzione tra il panino e la pizza.

ORIGINI E “CARTA D’IDENTITÀ”
Oggi inserito nell’elenco dei Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) della Regione Campania, il “panuozzo” è protagonista di una storia recente il cui punto d’inizio vien fatto risalire al 1983. In particolare a un guizzo d’ingegno da parte del noto e compianto Giuseppe Mascolo (scomparso nel 2018): pizzaiolo Doc che, nel suo locale a Gragnano (Napoli), decide una sera – così si narra – di prendere il suo impasto per margherite, marinare e compagnia, facendone invece la materia prima di un panino stretto e lungo, farcito, nella circostanza, con pancetta e mozzarella. Bum: ovazione unanime. E inserimento “per direttissima” nel menù del ristorante. Da lì in poi, una strada scandita, come detto, da successo crescente; fino ad arrivare all’odierna “consacrazione ufficiale”.

ALLA PROVA DEL MORSO
Lungo la strada, peraltro (si è anticipato anche questo), il “panuozzo”, così come la pizza stessa, si colora di farciture sempre nuove, senza porre limiti all’inventiva degli autori. Nel nostro caso, si tratta di due fratelli appartenenti a una famiglia di panificatori napoletani “di lungo corso”, i Saviano, che negli anni si sono trasferiti in Toscana; nello specifico a Pontedera (in Provincia di Pisa), dove nel 2013, hanno aperto il Rewind, una risto-pizzeria e wine-bar, nelle cui sale si spartiscono i compiti: Arturo (il cuoco) sta al forno, mentre Raffaele (sommelier) presidia il banco di mescita. Con loro, del “saltimbocca”, abbiamo sperimentato una versione battezzata “del fattore”, perché imbottita con fiordilatte, prosciutto cotto e verdure grigliate (melanzane, zucchine, radicchio). Un ripieno che, grazie anche alla complicità dell’impasto lavorato davvero con giusto un tocco di sale, sposta il baricentro sensoriale del boccone verso una dolcezza “di fondo”, attraversata da delicate venature di amaro. Quanto alle strutture materiali del “morso”, considerevole (e ci mancherebbe) è la consistenza del suo “telaio” in carboidrati e grassi. Mentre gli indirizzi olfattivi, pur non escludendo del tutto le fresche timbriche vegetali degli ortaggi, “tirano” principalmente nella direzione delle tostature prodotte, in cottura, a carico delle componenti proteiche e zuccherine apportate dagli ingredienti in gioco. Ecco, partendo da questa personalità organolettica, ci siamo divertiti ad affiancarle, in abbinamento, tre birre di altrettante diverse tipologie…

CON LA PILS
Partenza al piccolo trotto, con i 5.2 gradi alcolici della “Zidor” di “Birra Gaia” (a Rho, in provincia di Monza e Brianza). Una Pils che segue, sì, il disciplinare di stili, ma con più di un punto di “interpretazione”. Ad esempio, tra i luppoli, accanto a una coppia classica come Perle e Saaz, abbiamo il rustico Rottenburger, sia in late- sia in dry-hopping; e però quest’ultima tecnica è gestita con grande senso della misura; così come l’estrazione di sostanza amara. Insomma, la bevuta è appagante, ma in tutta una cornice di delicatezze. Dorata e pulita in mescita, la massa liquida rilascia aromi floreali, erbacei e affienati: tali da saldarsi in allineamento con quelli delle verdure in dotazione al panuozzo. Quindi, nel passaggio lungo il palato, la sorsata, grazie alla bollicina pimpante, porta tutto sommato a casa un risultato apprezzabile nella gestione della materia amidacea e grassa del boccone. Infine le interazioni gustative: moderata la densità sensoriale del piatto, moderata quella del bicchiere; dosata la vena amaricante del piatto, dosata quella del bicchiere; in due parole: parità delle forze in campo e rispetto delle complementarità suffragate dalla statistica.

CON LA BRITISH STRONG ALE
Secondo atto con un deciso “salto in alto” in termini di “galloni alcolici”. I sette, tondi tondi, della “Bea” targata “Comedia” (a Rignano sull’Arno, in provincia di Firenze). Dichiarata in etichetta come “Red Ale”, incarna il paradigma delle “British Strong”: malto, morbidezza, calore etilico (il tutto sotto l’estetica di un ambrato profondo e lievemente velato). Rispetto al primo assaggio, abbiamo meno “bolla”, ma maggiore gradazione: quella che governa a dovere i filamenti lipidici e carboidratici del panuozzo. E poi un fondo più spesso di dolcezza latente: col risultato di “lisciare per il verso del pelo” anche le, peraltro contenute, digressioni sapide del boccone. Quanto alle interazioni olfattive, alle tostature del piatto corrispondono quelle del bicchiere (biscotto, caramello e nocciola in specie): a ritmare un valzer odoroso decisamente fluente e armonico.

CON LA TRIPEL
Reggersi bene al sedile: in arrivo un’altra bella accelerata nelle gradazioni. Si zompa a quota 8.8 con la “St. Simplicius”, la Tripel formata (ad Ancarano, Teramo), dal marchio “Humus”. Dorata all’atto di spillatura, la birra da un lato sparge note floreali (pera) e speziate (pepe) che agganciano per familiarità quelle vegetali degli ortaggi nella farcitura del panuozzo; mentre dall’altro consegna alle narici anche un bordone tostato che, in automatico, riprende le analoghe “basi” olfattive apportate dalla cottura in forno sia dell’impasto da pizza sia del formaggio sia del prosciutto cotto. Per quanto riguarda, poi, la gestione dei grassi e dei carboidrati in dote al boccone, è quasi inutile riferire come, sotto questo profilo, si migliori ulteriormente, in virtù della somma, nella birra, tra il suo già sottolineato slancio etilico e una carbonazione decisamente esuberante. Infine, le interrelazioni gustative: secca ma non così amara, la bevuta rivela sinceramente un buon comportamento, rispetto al profilo sensoriale del piatto; occorre tuttavia prendere nota di una parziale asimmetria, dovuta a una densità organolettica (intensità, complessità e persistenza delle sensazioni) che, nel bicchiere, risulta oggettivamente più elevata e pulsante rispetto a quella espressa dal “saltimbocca”.

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