Immortalato anche nella letteratura, sia cartacea sia cinematografica, ad opera di un fortunato romanzo dell’australiano John Birmingham (dal quale è stato tratto un omonimo film), il falafel – con l’accento sulla seconda sillaba – è una tra le ricette più note della cosiddetta cucina etnica. E ha, a veder bene, un legame naturale con la birra, data la comune ascendenza che unisce l’uno e l’altra: ambedue, infatti, vedono le proprie radici affondare nella storia e nella cultura del Medio Oriente. Il falafel in particolare, dato il suo Dna vegetariano (lo si prepara con di legumi, ortaggi e spezie), sostituiva la carne nei giorni di astinenza osservati dai copti d’Egitto; e in effetti il termine stesso è la fusione di tre parole la cui sequenza, appunto in copto, si traduce più o meno così: “con tanti fagioli”. Quanto alla birra, gli studiosi concordano che abbia avuto una nascita policentrica; che l’uomo si sia cioè imbattuto (imparando poi a replicarli) in episodi di fermentazione spontanea di cereali casualmente ammollatisi acqua, là dove si era organizzato in società dedite all’agricoltura lungo importanti corsi d’acqua: ad esempio il Fiume Giallo in Cina, il Tigri e l’Eufrate in Mesopotamia, nonché il Nilo nello stesso Egitto.
IL FALAFEL: ANZI, I FALAFEL
In sintesi, il falafel è una polpetta, speziata e fritta, a base di legumi. Tra questi, i più frequentemente impiegati sono le fave, i ceci e i fagioli; i cui semi (dopo essere stati lasciati a bagno per diverse ore) vengono tritati e riccamente conditi: con ingredienti quali sommacco, cipolla, aglio, cumino e coriandolo, più giusto un pizzico di sale. Dall’impasto, aggiungendo eventualmente uova (per renderlo più coeso e lavorabile), si ricavano piccole polpette, da poter impanare a piacere anche con semi di sesamo, per essere poi fritte in olio ad alta temperatura. Un boccone croccante; delicatamente sapido e ancor più lievemente acido; dotato di un discreto nucleo carboidratico (e in parte anche grasso, se si tratta di ceci); caratterizzato da una profumazione tostata e speziata. Quale l’identikit generale della birra candidata all’abbinamento? Corpo medio; aroma in linea, o almeno dialogante, con quello del piatto; discrete capacità di gestione lipidico-amidacea (bollicina, acidità, alcol…); gusto dal rotondo all’abboccato, evitando, in ogni caso, il rischio di note amaricanti o vagamente astringenti. Ed ecco qua tre proposte specifiche.
CON LA BIÈRE DE GARDE
Si parte già forte: in tavola atterra la “Sella del Diavolo” firmata in Sardegna dalle officine “Barley” (Maracalagonis, in provincia di Cagliari). Ambrata e ricca al naso, la birra intreccia, con gli aromi del falafel, uno scambio assai interessante: grazie alle proprie fattezze tostate (calotta di dolce da forno, nocciola), erbacee e pepate. Peraltro, sebbene al palato non proprio “paffuta”, risulta comunque più secca che effettivamente amara: dunque, al tirar delle somme, ri rivela abbastanza calibrata rispetto al profilo gustativo, leggermente sapido e piccante, della polpetta. Apprezzabile, infine, la capacità di scioglimento del residuo lipidico-amidaceo del boccone garantite dalla bevuta grazie ai suoi valori di alcolicità (6.5%) e carbonazione.
CON LA BELGIAN HONEY ALE
Il viaggio prosegue idealmente tra Fiandra e Vallonia; in pista ecco infatti la “Hey Honey” targata “Rurale” (Desio, provincia di Monza e Brianza): una Belgian Ale nel midollo, dorata e pulita. Che presenta, alla beva, un carattere abboccato (quindi già incline a un buon connubio gustativo con il falafel), nonché equipaggiato con efficaci funzioni di gestione lipidico-amidacea, grazie all’alleanza tra gradazione (6.6%) e bollicina. Quanto all’olfatto, le note mielate e maltate della sorsata (frolla, caramello biondo) interagiscono amabilmente con le tostature della polpetta; mentre la speziatura della seconda trova rispecchiamento nelle florealità e nelle tendenze fenoliche (chiodo di garofano, noce moscata) manifestate dal bicchiere.
CON LA DOPPELBOCK
Si chiude a quasi 8 gradi alcolici; 7.8 per la precisione: quelli della “Profanator”, la Doppelbock della scuderia “Shire” (sede legale a Porciano, Frosinone; produzione appoggiata all’impianto di Oxiana, a Pomezia, Roma). Qui la fluidificazione della materia grassa e amidacea raggiunge il livello migliore; così come la collimazione tra incursioni sapido-piccanti del boccone e levigatezze zuccherine (senz’altro ben tornite) del bicchiere. Manca, è vero, al naso, una sinergia speziato-campestre con il falafel: lacuna compensata, però, dal bell’intreccio delle tostature che sono patrimonio olfattivo tanto della birra quanto della polpetta…
SHIRE BREWING
Via Vaccareccia, 16 – Pomezia (Roma)
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BIRRIFICIO RURALE
Via Del Commercio, 2 – Desio (Monza e Brianza)
T. 340 2265986
www.birrificiorurale.it
info@birrificiorurale.it
BIRRIFICIO BARLEY
Zona PIP, lotto N.62/B
località Is Tramatzus, Maracalagonis (Cagliari)
T. 070 789496
info@barley.it
www.barley.it