(I venti partecipanti al concorso)
di Andrea Camaschella
Oggi cambio un po’ il punto di vista di questa rubrica “La Birra della Settimana) per raccontarvi di un evento che si è tenuto il fine settimana scorso e di cui abbiamo parlato qui.
Al teatro ObiHall si è tenuto il festival dove è stato proclamato il Birraio dell’Anno 2016. Venti birrai, con le loro birre, si sono ritrovati a Firenze da venerdì a domenica, hanno chiacchierato con appassionati e avventori occasionali, con molti addetti del settore, da publican a distributori e degustatori, in un’atmosfera rilassata, condita da ottimi stand di cibo di strada, tra cui segnalo le fantastiche pizze gourmet di Francesco Oppido del Ranzani 13 di Bologna.
(Lorenzo Dabove “Kuaska”)
La domenica è stato “incoronato” Marco Valeriani del Birrificio Hammer di Villa d’Adda in provincia di Bergamo. I giochi in realtà erano già fatti, visto che i venti erano stati selezionati a inizio dicembre da una giuria di esperti, circa 90 tra degustatori, publican, scrittori che abbiano il polso della situazione del movimento italiano e la stessa giuria li ha messi in ordine poco più tardi. Al secondo posto troviamo Emanuele Longo del birrificio Lariano dalla provincia di Lecco, al terzo, da Alessandria, il birraio di Canediguerra, Alessio Allo Gatti.
(Agostino Arioli, Birrificio Italiano)
Classifica ineccepibile, così come se la ribaltassimo: chiunque dei venti avesse vinto, non avrei avuto da ridire. Marco Valeriani, maniacale nel suo metodo lavorativo, ha saputo dimostrare di non dipendere soltanto da birre che stupiscono per le miscele di luppoli, ha creato solide basi in ogni ricetta, lavorando anche sulla conservazione e sugli aspetti minori, ben supportato da tutto il gruppo di lavoro di Hammer, il tutto in pochissimo tempo, grazie a organizzazione, preparazione e tantissimi altri aspetti che spiegano il risultato sul mercato e il premio.
Tutto questo lo dico, come si conviene, bicchiere alla mano: ogni birra che ho assaggiato all’evento era davvero ben prodotta, poteva piacere o non piacere a livello di gusto personale, ma tecnicamente non si poteva discutere. Considerato anche che il concorso guarda alla produzione annuale, sono birrifici che durante tutto l’anno hanno mantenuto costanza e qualità. Ci sono molti esclusi da questi venti che ci sarebbero potuti essere, per gli stessi motivi, ma i posti erano, appunto, solo venti. Comunque lo si guardi, un fantastico “spaccato” della scena brassicola italiana.
(Francesco Oppido e lo staff di Ranzani 13)
Da due edizioni a questa parte da un momento in cui si procedeva semplicemente alla premiazione, Birraio dell’Anno è diventato un vero e proprio festival ben organizzato da Nicola Utzeri, che nel 2009 creò il premio, con ampio spazio alla cultura, attraverso laboratori di degustazioni e introduzione di tutti i birrai, a turno, sul palco e, come accennavo sopra, grande attenzione alla scelta degli stand di cibo ma anche all’aspetto degli stand, e all’atmosfera. Sono rimasto particolarmente colpito anche da un altro fattore, che voglio condividere con voi: ho trovato una serie di birre a bassa fermentazione di ispirazione boema e tedesca, davvero di livello altissimo. In un’epoca in cui il luppolo sembra dominare supremo l’immaginario popolare, la riscossa di queste birre che guardano alla semplicità e al bilanciamento sembra finalmente essere arrivata.
(Josif Vezzoli, birra Elvo)
Fino a poco fa erano appannaggio di pochi birrifici, perché la maggior parte di loro teme o temeva le basse fermentazioni, costose per la tecnologia e il tempo che richiedono per la loro produzione. Oggi possiamo dire che quasi tutti i migliori birrifici hanno in catalogo ottime basse fermentazioni e molti di loro sfoderano meravigliose pils e helles.E non è un caso se Marco Valeriani ha già prodotto in Hammer una bassa fermentazione, ora in maturazione, che sarà presentata ufficialmente l’11 febbraio. E a volere essere precisi Marco ha già creato un’altra pils, solo che fu un evento occasionale al quale ora, con qualche ritocco, darà un seguito.
(A destra Lorenzo Guarino)
Appena arrivato al festival, nemmeno il tempo di salutare tutti e mi sono imbucato a un laboratorio proprio sul tema delle basse fermentazioni, così che la prima birra bevuta è stata una pils e purtroppo mentre Simone Cantoni conduceva la discussione ho dovuto allontanarmi per altri impegni, ma tra una chiacchierata e l’altra, tra un mio laboratorio e un intervento mi sono sempre trovato con pils e simili nel bicchiere, occasionalmente intervallate da assaggi di alte fermentazioni. La facilità con cui si bevono queste birre, per cui ti trovi sorpreso di avere già il bicchiere vuoto e pentito di non averne ordinata già un’altra sta tornando vincente. In molti mi hanno fatto notare quanto questa pils o quella keller fossero davvero eccellenti e me le consigliavano (arrivando per altro quasi sempre in ritardo…).
(Conot Gallagher Deeks di Hiltop Brewery e Marco Valeriani di Hammer)
Ecco, oggi cambio un po’ il punto di vista di questa rubrica e anziché una birra nel bicchiere, ci metto un po’ di Pils, Keller (birra tradizionale della Franconia, sempre a bassa fermentazione, che risale ai tempi in cui le pils ancora non c’erano) o ancora Helles (bassa fermentazione bavarese, più maltata che luppolata). Insomma, questo vuole essere l’elogio della semplicità: produrre una bassa fermentazione come queste è complesso, un minimo difetto risalta subito, un ingrediente non perfettamente dosato sbilancia tutto il percorso degustativo. La lavorazione è lunga e costosa, occorre lavorare molto con i sistemi di refrigeramento, la conservazione è complessa e comunque la vita di queste birre è molto corta, ma i lieviti a bassa fermentazione – se usati bene ovviamente – hanno la capacità di mettere in evidenza i singoli ingredienti nel modo migliore possibile. Ogni birra ha una storia antica da raccontare, a differenza delle imitazioni fatte dalle multinazionali con le loro pallide lager.
(Mauro Salaorni, Birra Mastino)
Tra i birrai presenti – e poi giunto quarto – il primo che voglio citare è Agostino Arioli, che si è presentato con una delle birre che hanno fatto la storia della birra artigianale italiana, una delle prime nate del Birrificio Italiano (oggi a Limido Comasco, CO), nel 1996, la Tipo Pils, con accanto nelle spine la Extra Hop, sempre una bassa fermentazione più luppolata e leggermente meno alcolica. La Tipo Pils ha davvero aperto la strada a una modernizzazione dello stile, con un intrigante gioco di luppoli di grande qualità ma rigorosamente tedeschi, usati anche nelle fasi finali di maturazione, in dry hopping, ma con la base maltata perfetta compagna dei luppoli. Cambiata negli anni, soprattutto nella scelta dei luppoli, me sempre fedele a sé stessa, resta uno dei capolavori che hanno contribuito a rendere celebre, anzi a far sapere che l’Italia fa birre di grande spessore, anche e soprattutto ai tedeschi.
(Pietro Fontana, Carrobiolo)
Sempre dal 1996 i milanesi possono bere la Montestella del birrificio Lambrate, la birra è cambiata, negli anni, così come si sono avvicendati in tanti alla produzione, oggi saldamente nelle mani del birraio dell’anno 2015, Fabio Brocca. La Montestella da alcuni anni a questa parte è una pils di ottima fattura e soprattutto da grandi bevute, perfetta nel pub così come in un evento come quello di Firenze: la fase finale della premiazione l’ho seguita proprio con questa birra nel boccale. Il birrificio Lariano (Siriano, LC) sin dall’apertura, nel 2008, ha prodotto una pils, la Grigna. Emanuele Longo, l’eclettico birrario poi giunto secondo al concorso, produce birre di stili molto differenti, di scuola tedesca come inglese, belga o ancora americana, mettendoci sempre la sua interpretazione e il suo carattere. La sua Grigna si segnala per pulizia e per carattere, pur restando perfettamente nel novero delle birre da grandi bevute e mi ha accompagnato per la prima parte della premiazione. Anche qui sono evidenti l’ottimo equilibrio tra gli ingredienti, la continuità tra olfatto e gusto e il carattere presente ma mai fastidioso.
(A destra Emanuele Longo di Lariano)
Pietro Fontana, del Birrificio Carrobiolo di Monza, che produce a sua volta un’ottima ma più canonica pils, proponeva invece la sua Keller, anche in questo caso in grande forma. L’ispirazione alle birre della Franconia è evidente, ma la realizzazione, mi tocca ammetterlo, è molto più elegante e meno rustica delle mie amate birre franconi. Anche il corpo è meno pronunciato e sottolinea al meglio la freschezza. Birra Mastino oltre alla Cangrande, un’ottima Helles, proponeva la Milledue91, una pilsner prodotta con il tradizionale metodo della decozione, ancora oggi tipico dei più antichi birrifici della Boemia. Questo rende la cotta più complicata, ma nel bicchiere ottiene il suo scopo, con una birra più piena sia di corpo sia di aromi e sapori. Ovviamente lo scopo si raggiunge solo se il lavoro è fatto al meglio anche in cantina, altrimenti il disastro è assicurato, ma non è il caso di Mauro Salaorni che dimostra, con questa produzione così come con le altre, quanto il ventesimo posto finale gli vada stretto.
(Nicola Utzeri)
Le Pils sono nate nel 1842 a Pilsen (Plzeň in ceco) per mano di Josef Groll, bavarese, che usò solo ingredienti locali e soprattutto l’acqua locale, particolarmente leggera. Il suo quasi omonimo Josif Vezzoli ha avuto la sfortuna di nascere oltre un secolo e mezzo più tardi altrimenti le pils sarebbero probabilmente nate a Graglia (BI) – il nome dello stile avrebbe potuto essere un problema… – dove l’acqua è straordinariamente leggera e il nostro nel suo birrificio, Birra Elvo, produce una pils pressoché perfetta e canonica, con un corpo slanciatissimo che ne sottolinea ulteriormente la facilità di bevuta. Certo l’acqua aiuta, ma bisogna anche saperla usare e questo spiega la sua presenza tra i migliori 20 birrai d’Italia. Il Birrificio Rurale (Desio, MB) in linea proponeva la 405040, la pils nata dalle sapienti mani di Lorenzo Guarino; è più tedesca che boema, forse meno elegante e un po’ più di carattere rispetto all’ispirazione originale, ma non perde colpi su nessun fronte. Da Codogno, Brewfist e il suo birraio Pietro di Pilato proponevano la Bassa, che sottolinea già nel nome una birra che fermenta guardando alla tradizione mitteleuropea. Pietro si è sempre distinto sulle alte fermentazioni e sul generoso quanto ricercato uso dei luppoli, ma la sua ecletticità tecnica, basata su una grande preparazione, emerge anche in questa birra, curata e beverina, in linea con lo stile.
(Marco Valeriani, Hammer)
Allo Gatti, di Canediguerra, con la sua Bohemian Pilsner adotta lo stile originale ma lo esegue molto pulito, perseguendo più gli aromi erbacei dei luppoli e quelli dolci del malto alle classiche note burrose che di solito si trovano a Praga e dintorni. Ne guadagna enormemente chi la beve, trovandosi nel bicchiere una birra che sorso dopo sorso conquista, il problema è capire quando si è appagati… E quello che mi ha fatto più piacere è stato vedere tanti avventori gustarsi queste birre; alcuni sono anche venuti a dirmi che avevo ragione, quando tempo addietro, a qualche corso o qualche degustazione, sostenevo che anche loro sarebbero tornati ad apprezzare (anche) birre come pils o helles, se ben fatte.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci