(Josif Vezzoli al centro con i colleghi che hanno partecipato a questa edizione del Birraio dell'Anno)
di Andrea Camaschella
Birraio dell’anno 2017, come avete giù potuto leggere su Cronache di Gusto (leggi qui), è Josif Vezzoli, il birraio – e fondatore – del birrificio biellese, di Graglia per l’esattezza, di birra Elvo.
Lo teorizzavo già un anno fa, lo confermo adesso: le birre a bassa fermentazione sono tornate in auge, hanno pari dignità delle birre ad alta, belghe, anglosassoni o americane che dir si voglia. Ma non è questo il punto cruciale del birraio dell’anno 2017. Quello che mi colpisce, leggendo la classifica, sono la costanza qualitativa e la semplicità. Non è stata la vittoria del “famolo strano”, non si sono piazzati in alto quei birrifici che fanno delle “one shot” (le birre disponibili una tantum) il cavallo di battaglia né birrai famosi per produrre al meglio birre difficili e complesse, Hanno vinto i birrai che fanno birre per il popolo, facili da bere, appaganti, sempre presenti tra le referenze, che siano di ispirazione teutonica o nord americana.
(I primi cinque classificati)
E’ la conferma che i giurati si stanno avvicinando al pubblico e che il pubblico, il mercato, accetta che i birrifici artigianali producano anche le famigerate lager, fino a poco fa regno incontrastato delle peggiori birre industriali. E il mercato non richiede necessariamente continue novità, ma anche certezze e costanza. Certezza nel ritrovare la stessa birra, costanza nel ritrovarla sempre buona. Questa edizione ne è la conferma perché siamo al terzo vincitore di fila che si esprime su questi canoni. E chi non si distingue per questo, scivola fuori dalle 20 nomination. Analizzando la classifica è abbastanza evidente.
(Kuaska con Josif Vezzoli)
Il vincitore, Josif Vezzoli, è il campione delle basse fermentazioni di scuole tedesca, in grado di far “cantare” l’acqua più semplice del mondo (ne scrivevo qui). Quinto tra gli emergenti solo due anni fa, nono tra i big un anno fa. Una progressione impressionante per un birrificio che entra nel quinto anno di attività, ma che ha già raggiunto grandi risultati in concorsi nazionali e internazionali.
(Kuaska con Marco Valeriani)
Al secondo posto il birraio dell’anno uscente, Marco Valeriani del bergamasco Hammer: poliedrico, famoso per la sua capacità di plasmare i luppoli ai suoi voleri, produce per lo più birre semplici da bere, con una linea eclettica e costante. D’altronde non si sfiora la doppietta per caso, ma per lavoro e dedizione, con attenzione, maniacale nel suo caso, per ogni minimo dettaglio. Dimostrazione anche che la crescita produttiva e i volumi non sono un ostacolo, ma uno stimolo in più.
(Kuaska con Luigi D'Amelio)
Al terzo posto Luigi “Schigi” D’Amelio di Extraomnes, il birraio dell’anno 2013, passato indenne dalla caduta degli dei che gli sono succeduti, Simone Dal Cortivo di Birrone e Fabio Brocca di Lambrate, che non sono entrati nei 20 finalisti. Schigi produce birre di chiara ispirazione belga, con perizia e passione, guardando alla tradizione fiamminga, rispettandola, e portandola su un piano più attuale e moderno, tenendo a freno il carattere ma raggiungendo un livello decisamente alto e costante. Poteva tranquillamente essere il primo a centrare il bis, credo che abbia pagato il suo caratteraccio su social e forum, peccato, perché fuori da internet, nella realtà, è tutt’altra persona, e comunque si dovrebbe giudicare il lavoro, non la simpatia della persona.
(Kuaska con Mauro Salaorni)
Birre piacevoli e facili da bere, complesse da fare, pochi fronzoli e pochissimi voli pindarici per ottenere un prodotto finito che possa viaggiare e che regga tranquillamente fino alla data di scadenza imposta dal birraio. Questo il biglietto da visita del quarto classificato, Mauro Salaorni di Birra Mastino. Da ventesimo a quarto nel giro di un anno, gran risultato, non tanto produttivo in questo caso, visto che Mauro lavora così già da un paio di anni, quanto del lavoro del nuovo socio, Christian Superbi, il “socio rifondatore” – come lo definisco io – che ha saputo riorganizzare il birrificio in ogni suo aspetto, portare le birre di Mastino in tutta la penisola, senza mai togliere un attimo di tranquillità alla produzione e quindi a Mauro.
(Kuaska con Alessio Selvaggio)
Al quinto posto Alessio Selvaggio di Croce di Malto, tecnicamente uno dei birrai più preparati che io conosca, che raramente ha la possibilità di inserire nuove birre in linea, a causa di un birrificio che potrei definire sartoriale, cioè costruito attorno alla sua esile figura – un po’ meno a misura del suo socio – dove ogni angolo è sfruttato. Proprio in queste difficoltà logistiche e di spazio emerge la capacità di Alessio, che non sbaglia un colpo: una grandissima costanza qualitativa, birre base sempre presenti, carattere pur nella semplicità.
Invertite la classifica o mischiate i nomi e sorteggiatene altri, la nuova classifica sarebbe comunque credibile. Il livello dei primi 5, ma mi potrei allargare a tutti i 20, è mostruosamente alto. Conferma lo sono gli assaggi fatti a Firenze l’ultimo weekend: non ho trovato una birra non buona, magari che non mi piacesse, ma fatta male no. Non capita a tutti gli eventi. Tra l’altro, l’evento in sé, sempre molto piacevole nell’ormai consolidata sede del teatro Obihall, sul lungo Arno. Ben organizzato, con ottimo cibo di contorno, laboratori interessanti e di alto livello (non solo quelli che ho tenuto io, ma anche quelli condotti da Kuaska e Simone Cantoni) così come gli incontri tecnici, tra cui uno sui Cryo Hops® la probabile futura frontiera dei luppoli. Nicola Utzeri ogni anno cambia o aggiunge qualcosa, sono curioso di vedere cosa si inventeranno lui e Letizia Sarallo l’anno prossimo. Un evento che in soli 3 anni – prima c’era solo la premiazione, itinerante – è già uno di quelli da frequentare assolutamente.
Alte e basse fermentazioni, pure miste in qualche caso, ma sempre con un senso compiuto, una ricerca, un occhio alla tradizione e l’altro al proprio gusto e alle proprie capacità e possibilità tecniche. Una buona conoscenza del mercato, di cosa fare per conquistarlo e restarci. Attenzione ai dettagli produttivi, per alzare il livello qualitativo e restare il più possibile costanti verso l’alto. Rare, o comunque non fondamentali, concessioni a birre estreme e sperimentazioni fini a sé stesse. Farsi conoscere, quindi essere ben presenti lungo la penisola, è un altro punto fondamentale per quello che mi sembra essere il biglietto da visita per essere birraio dell’anno. E attenzione, questo vale anche per gli esordienti, conoscendo i 5 finalisti e vedendo anche quanti quest’anno erano tra i big dopo essere passati dagli esordienti negli ultimi due anni.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci