Tra i piatti più gettonati da parte del consumatore italiano nei locali consacrati alla cucina cinese (e fin dai primi anni del loro affacciarsi sulla scena della ristorazione nazionale), il riso alla cantonese offre l’opportunità di consumare una portata non solo gustosa e appagante, ma anche piuttosto ben equipaggiata dal punto di bista nutrizionale: unendo carboidrati (il 59% circa), grassi (il 24% circa), proteine (il 15% circa) e anche qualche fibra (il 2% circa), oltre a una decisamente consistente quota d’acqua, pari a circa 58 grammi su 100 di prodotto. Sulle sue origini, si sprecano aneddoti e leggende: di certo si sa che la ricetta – in lingua madre “chao fan” – è molto antica, probabilmente nota già al tempo della Dinastia Sui, sul trono dal 581 al 618 dopo Cristo e capace di riunificare l’impero dopo quasi quattro secoli di dilanianti lotte interne. Tra le voci più suggestive che accompagnano la vicenda di questo piatto, merita di essere sottolineata l’ipotesi per cui si tratti del primo riso fritto della storia (o almeno il primo a esser stato documentato)
BASSA DIFFICOLTÀ, ALTA RESA
La preparazione è in effetti piuttosto poco complessa; vediamola in sintesi, partendo dalla scelta del riso: da “pescare” tra varietà – quali Basmati, Ribe o Jasmine – atte a mantenere una certa compattezza dopo la cottura. Una volta siano stati sciacquati bene sotto un getto freddo, trasferire i chicchi in una pentola e irrorarli d’acqua fino a sommergerli in altezza. Quindi coprire il recipiente, accendere la fiamma e alzarla, portare a ebollizione, cuocere tre minuti a fuoco allegro, poi altri 10 abbassandone invece il vigore al minimo: ad acqua totalmente assorbita, spegnere e lasciar riposare un quarto d’ora. Ora scaldare sul fornello uno wok, per versarvi nell’ordine: dell’olio di semi di arachide (facendolo “brillare” da solo per una decina di secondi); delle uova sbattute, da far rapprendere e da agitare per “strapazzarle” (il tutto in un minuto circa); il nostro riso, saltandolo per un altro minuto; dei piselli precedentemente sbollentati (2 minuti saranno stati sufficienti); del prosciutto cotto porzionato a cubetti; qualche granello di sale e qualche goccia di vino di riso. A quel punto, saltare ancora il tutto (tre minuti basteranno), impiattare e spolverare con erba cipollina.
IL BOCCONE IN RADIOGRAFIA
Al palato la consistenza è medio-tenera; la densità sensoriale elevata; la frazione lipidica, percettibile ma non impastante, è tuttavia saldata con quella amidacea, che invece risulta (ovviamente) ponderosa; la tendenza gustativa presenta un timbro dolce-sapido, con una chiara vena di umami (i piselli, il riso di vino); l’orientamento olfattivo viene stabilito dalla coabitazione “a tre” fra il tostato delle cotture, il vegetale dell’erba cipollina e il “carneo” apportato sia dal prosciutto sia dello stesso riso di vino (con la sua nota di brodo). Ciò detto, come contenersi nella ricerca delle tipologie birrarie da testare in abbinamento? Ecco di seguito tre diverse possibili soluzioni…
CON LA BLANCHE
Partenza a basso rischio: se nel piatto si hanno grassi o amidi (o entrambi) da dover sciogliere, una sorsata acida o acidula va di norma bene. E una Bière Blanche (o Witbier che dir si voglia) della tradizione belga figura conseguentemente tra le scelte plausibili. Così la prima convocazione la recapitiamo alla “San Lorenzo”, una delle etichette-bandiera della scuderia marchigiana “MC 77” (Caccamo di Serrapetrona, Macerata): canonico color paglierino velato, grandi alcolici 5 e 2, rituale speziatura a base di coriandolo e buccia d’arancia amara. La sua bollicina frizzante e la poc’anzi menzionata acidulità eseguono, in tandem, un buon lavoro sulle collosità lipidico-carboidratiche contenute nel boccone; l’assenza di amaro nella sorsata rispetta i paletti imposti dalle sapidità del risotto; le olfattività campestri del bicchiere (pera, banana, chiodi di garofano, fiori bianchi) dialogano positivamente, pur nella rispettiva diversità, con l’erba cipollina della pietanza. Insomma, un duetto ben riuscito.
CON LA BOCK
Con la seconda birra in abbinamento si cambiano coordinate geografiche: dal Centro Italia si passa alla Lombardia (il produttore è “Zona Mosto”, a Milano); dalle pianure tra Fiandra e Vallonia ci si sposta fino a varcare il confine con la Germania (lo stile di riferimento è quello delle Dunkles Bock). Lei, la protagonista del “corpo a corpo” con il risotto, si chiama “Ginger Goat”, sfodera una taglia etilica da 7.2 gradi e presenta in mescita un bel colore ambrato. Il quale prelude a sensazioni mielate, ma soprattutto caramellato-tostate (biscotto, nocciola) decisamente in linea con il Maillard del piatto. Quanto alle collimazioni gustative, di nuovo abbiamo una sorsata non amara: anzi, qui decisamente incline a una certa dolcezza che ancor meglio interagisce con il sapido del boccone. Infine la gestione di grassi e amidi del piatto: è vero, rispetto al primo “giro”, nella bevuta, viene meno l’acidulità; ma la carbonazione resta vivace e, in più, abbiamo un supplemento di due gradi alcolici tondi tondi…
CON LA SWEET STOUT
Per chiudere, l’accostamento più audace. Con una Sweet Stout, quella che esce a Genova – senza nome d’arte, ma con la semplice indicazione dello stile di riferimento – dalle officine del marchio “Maltus Faber”. Perché una scura? Perché si tratta di una scura dal carattere tutto particolare: l’amaro (derivante dalla combinazione tra cereale torrefatto e luppolo) è in realtà decisamente ai margini, in percezione: non a caso la designazione tipologica esibisce quell’aggettivo, “sweet”. E dunque, al palato, non c’è sostanzialmente conflitto, con le sapidità del boccone. D’altra parte il sorso, grazie ai malti torrefatti ampiamente utilizzati in ammostamento, è attraversato da una corrente acidula che – sebbene attenuata, a livello di “percepito”, dalla mole di malti destrinici impegnati nella miscela secca; e dunque incline ad agire sotterraneamente (tipo “effetto Coca Cola”: risulta dolce, ma il pH è sotto 3 – lavora tuttavia ben bene ai fianchi la massa amidacea e lipidica del risotto, compensando su questo fronte le minori vigorie sia della bollicina (le pinte britanniche tendono a una carbonazione sobria) sia della gradazione (fissata al 4,8%). C’è poi la dimensione olfattiva: in cui si rivela agevole il dialogo tra le tostature del piatto e le torrefazioni (cacao, crema di caffè) del bicchiere.
BIRRIFICIO MC 77
Via Mattei, 4 – località Caccamo – Serrapetrona (Macerata)
T. 0733 1998080
info@mc-77.com
www.mc-77.com
BIRRIFICIO ZONA MOSTO
Via Buzzi, 23/25 – Rho (Milano)
T. 331 7575879
info@zonamosto.it
www.zonamosto.it
BIRRIFICIO MALTUS FABER
Via Fegino, 3/G – Genova
T. 010 7401697
info@maltusfaber.com
www.maltusfaber.com