“Onigiri”: la parola ha già, in sé, un bel suono. Musicale, agile, quasi aureo. Un’impressione, certamente, del tutto emozionale, che però trova conferma al momento dell’assaggio. Perché, in sostanza, si tratta di polpettine costituite da un “involucro” di riso, la “personalità” delle quali viene poi declinata in versioni molteplici e tuttavia accomunate dal un principio di fondo: nella scelta del ripieno (quale che sia), si esercita comunque un controllo assai vigile sulle quantità da utilizzare. Il risultato è dunque quello di un boccone dalla densità sensoriale delicata: garanzia di appagamento per il palato e, al contempo, di leggerezza nella digestione; il che rende questo spuntino, tipico della cucina giapponese, particolarmente (anche se non esclusivamente) adatto a un consumo veloce, per esempio in strada o in generale all’aperto.
ONIGIRI: LA LORO STORIA E I LORO “RITUALI”
Attestati dalla letteratura alimentare nipponica già prima del Mille, gli onigiri (al tempo di forma variabile: rotondeggiante, schiacciata a disco o parallelepipeda) sono oggi nella maggior parte dei casi sagomati secondo un profilo triangolare (anzi quasi “codificati” con quel disegno) e decorati esternamente con una strisciolina di alga nori, utile anche a impugnarli senza sporcarsi le dita. Tornando alle loro origini, nel medioevo i nostri fagottini si caratterizzavano e si facevano apprezzare, fin da allora (specie prima della diffusione delle bacchette da tavola), per la loro praticità e la grande versatilità. Non a caso figuravano come protagonisti in situazioni le più svariate, dalle scampagnate in allegria alle ore di preparazione che, in un clima interiore teso e concentrato, separavano i samurai dall’imminente battaglia: molti guerrieri infatti portavano con sé una piccola scorta di preziose polpettine avvolte, per conservarle, in foglie di bambù. Divenuti nel tempo compagni di un po’ tutte le classi sociali giapponesi, gli onigiri hanno via via accolto guarniture le più fantasiose e disparate, privilegiando però i ripieni di pesce a quelli di altra natura.
LA VERSIONE CON FILETTI DI TONNO
La polpetta si prepara – lavorando il riso bollito con le mani umide e cosparse di sale, così da insaporire i chicchi – attraverso un procedimento in quattro passaggi. Primo: impastare un pugnetto di cereale e appiattirlo su un palmo, come a modellare uno zatterino; secondo: sulla sua superficie, posare dei filetti di tonno precedentemente grigliati (dopo un condimento con olio, sale e pepe) e quindi spezzettati; terzo, coprire con una seconda dose di riso e, di nuovo, pressare, in modo da formare una sorta di valigetta; quarto, plasmare con le dita la valigetta stessa dandole una sezione a triangolo e infine applicare, su uno dei suoi lati, una strisciolina di alga nori, pressando bene affinché aderisca stabilmente. Gli onigiri, da consumare non caldi, si presentano all’assaggio evidenziando alcuni connotati salienti: la consistenza è tenera; la densità sensoriale leggera; il gusto è morbido, con una sapidità decisamente tenue; la direttrice olfattiva, di natura chiaramente ittica, risulta comunque a sua volta delicata; la componete lipidica si rivela morigerata (4,5 grammi su 100 di prodotto), mentre spicca, per corposità, la sostanziosa trama amidacea. Come orientarsi nell’abbinamento con la birra^ Di seguito ecco tre possibili direzioni da seguire…
CON LA WITBIER
Delicatezza per delicatezza, la prima prova di compatibilità è con una Witbier: la “Hesperia” della scuderia “Ventitré”, a Grottaminarda (Avellino), aromatizzata con coriandolo, buccia d’arancia e pepe rosa. Colore dorato pallido e trama sottilmente velata, la birra, con la sua bollicina frizzante, la sua pur modesta spinta alcolica (siamo al 4.5%) e l’acidulità tipica dello stile d’appartenenza, fluidifica senza grossi sforzi i grassi e i carboidrati del boccone; mentre la stessa, appena citata, acidulità, da un lato si rivela sufficiente a gestire la risonanza ittica dell’onigiri, dall’altro s’intreccia alla sapidità del pesce in un’interazione che (grazie alla sostanziale assenza dell’amaro nella sorsata) risulta piacevolmente armonica.
CON LA SOUR FRUIT BEER
Identica la gradazione (il 4.5%), ma diversa la tipologia della seconda birra “in scena”. Dal catalogo del marchio laziale “Hilltop” (a Bassano Romano, in provincia di Viterbo) peschiamo infatti la “Sour Fruit Guava rosa & Frutto della passione”, prodotto il cui nome d’arte è come una dichiarazione d’identità. In sostanza, si tratta di una ricetta basata su una Berliner Weisse (con i suoi fondamentali sensoriali di timbro lattico) e sviluppata aggiungendo una purea dei due frutti esotici indicati in etichetta. Introdotta da un colore dorato carico e da una lieve velatura, la sorsata esercita un’ovvia vibrazione acida (da yogurt variegato) che, prevedibilmente, scioglie in agilità il filamento lipidico-amidaceo del boccone. Mentre sul piano gustativo, la bevuta, rinunciando all’amaro, come la “Hesperia”, ne replica, al momento dell’incontro con la sapidità del piatto, uno schema di interazioni abbastanza simile. Infine, le compatibilità olfattive: in questo senso la nostra “Sour Fruit” recita da “piccolo vino bianco” (un mini-Sauvignon o un mini-Riesling, ad esempio), agganciando le odorosità del tonno in una combinazione che, per il consumatore italiano come per quello internazionale, risulta assai familiare e gradevole.
CON LA SOUR IPA
Si decide di correre qualche rischio in più (ma relativamente…) con il terzo e ultimo test. Per il quale viene convocata in campo una Sour Ipa, la “The Scientist” targata “Birra dell’Eremo” (a Capodacqua d’ Assisi, in provincia di Perugia): un’interpretazione dello stile affidata alla versatilità fermentativa del “Kluiveromices Thermotolerans”, lievito in grado di generare, dallo zucchero metabolizzato, non solo alcol, ma anche glicerina e soprattutto acido lattico. La ricetta, luppolata poi in aroma secondo il paradigma “American IPA”, si traduce in una bevuta di colore dorato carico e aspetto velato: i cui requisiti di acidità e gradazione (siamo al 6%) eguagliano, e anzi migliorano, in ordine allo smaltimento della sostanza grassa e carboidratica del boccone, i risultati ottenuti dalle birre precedenti. Quanto poi alle interazioni gustative, di nuovo abbiamo una sorsata sostanzialmente priva d’amaro, il che scongiura qualsiasi rischio di frizione con la peraltro delicata sapidità del piatto. Mentre sul piano degli intrecci olfattivi, come nel secondo round, il bicchiere “parla” di frutti esotici quali ananas, mango e pompelmo: facendo dunque ancora una volta le veci di un vino bianco dalle profumazioni tropicali e trovando, con l’onigiri, una “quadratura odorosa” assai interessante…
BIRRIFICIO VENTITRÉ
via Perugia, 23 – Grottaminarda (Avellino)
T. 0825 881074
servizioclienti@birrificioventitre.it
www. birrificioventitre.it
HILLTOP BREWERY
Via Roma, 315/A – Bassano Romano (Viterbo)
T. 333 2019407
info@hilltopbrewery.it
www.hilltopbrewery.it
BIRRA DELL’EREMO
Via Monte Peglia, 5 – località Capodacqua, Assisi (Perugia)
t. 075 8064602
info@birradelleremo.it
www.birradelleremo.it