“Muhammara” (con l’accento sulla prima “a”): un nome magari non difficile da pronunciare, ma certo poco comune, tale da evocare costumi gastronomici lontani da quelli del nostro Paese; e chissà quale complessità nella lista degli ingredienti, quale laboriosità nella preparazione. Invece, basta andare oltre il velo delle impressioni superficiali, per scoprire un piatto semplice e del tutto alla portata: anche per i “manovratori di cucina” meno collaudati. Le origini di questa cremina sfiziosamente piccante e agrodolce sembrano rimandare alla Siria, precisamente alla zona che si estende attorno alla città di Aleppo. Diffusa tuttavia nell’intero bacino orientale del Mediterraneo (documentato è il suo radicamento in Anatolia come nelle terre della “Mezzaluna Fertile”), la nostra salsa – utilizzata per guarniture varie: a partire dal semplice crostino – deve il suo battesimo alla parola “hammara”, che in arabo significa rosso. Niente di più logico, giacché protagonista della ricetta è il peperone ben maturo: accanto al quale recitano da comprimari la noce e l’aglio; le spezie piccanti (paprika o peperoncino) e non (cumino e coriandolo, ad esempio); l’olio d’oliva e il sale; il succo di limone, lo sciroppo di melograno, la granella di pane (o di un panificato senza glutine, volendo).
PRONTA IN POCHI MINUTI
Prepararla, dicevamo, non è difficile: vediamo come. Primo passo, cuocere in forno (a 180 °C per una quarantina di minuti) alcuni peperoni rossi, per rimuoverne la buccia, i semi e i filamenti interni di colore bianco. Lasciate insomma soltanto le polpe, la seconda operazione prevede di sistemarle in un frullatore, per farne un composto omogeneo amalgamandole con noci, succo di limone, sciroppo di melograno, sale, paprika e pangrattato: quest’ultimo precedentemente brunito in padella. Pochi giri di lama e il più è fatto: non resta – ultima manovra – che rifinire con coriandolo tritato, semi di cumino e una “C” di olio extravergine d’oliva, per poi servire in un vasetto, da cui pescare con (nel nostro caso) delle croccanti bruschette.
UN GUSTO VIGOROSO
Cos’abbiamo al palato? Una densità sensoriale più che notevole; una frazione grassa contenuta (siamo attorno al 13%), ma da non trascurare, nei criteri di abbinamento; una tendenza gustativa che innesta, su un telaio dolce, una serie di “incursioni” sia sapide sia (soprattutto) acidule e piccanti; un’odorosità fragrante e avvincente, di cui, però, non sono sottovalutare gli aspetti divisivi, determinati dagli apporti dell’aglio, del cumino e, a veder bene, dello stesso peperone. Quali le tipologie birrarie candidate ad accompagnare questa salsa così particolare? Procediamo dal generale al particolare; le parole d’ordine sono tre: una personalità organolettica a sua volta forte; una base di morbidezza ben solida; una rinuncia pressoché totale alle digressioni amaricanti. Dopodiché, se su questa impalcatura si riesce a installare anche una certa spinta acidula, tanto meglio: sarà più agevole tenere a bada quelle olfattività statisticamente problematiche alle quali abbiamo appena fatto cenno. Ed ecco tre possibili opzioni per declinare in termini concreti questo “schema di riferimento”…
CON LA BERLINER WEISSE
Il primo “corpo a corpo” è con un prodotto dal basso grado alcolico (siamo a quota 4.5), ma – secondo i requisiti sopra esposti – dal pugnace temperamento sensoriale. È la “Luci rosse”, una Berliner Weisse che il marchio veneto “Evoqe” (Trebaseleghe, Padova) arricchisce aggiungendo al mosto succo di melograno. Rosata nel colore e tagliente nella sua affilatezza lattica, la birra risponde ai criteri, poc’anzi sottolineati, di acidulità e assenza d’amaro; inoltre l’ingrediente-cardine della ricetta mira esattamente (centrando il bersaglio) a riprendere una delle traccianti olfattive espresse dal boccone…
CON LA FLEMISH RED
Si passa, con la seconda prova d’abbinamento, ai 6.2 gradi della “Duchesse de Bourgogne”, etichetta-bandiera della scuderia “Verhaeghe” (a Vichte, nella provincia belga delle Fiandre Occidentali). Una Flemish Red Ale tra le più iconiche: color granato con riflessi rubini; un gusto intensamente dolceacidulo (di nuovo ben calibrato sulle esigenze del boccone); un naso che vibra di richiami, netti, all’aceto balsamico e a speziature (noce moscata, ad esempio) tali da intrecciare un bel dialogo con quelle, pur diverse, della pietanza.
CON IL DRUIVEN LAMBIC
Minor dolcezza, compensata da una decisamente maggiore rotondità (siamo a quota 7.7); un livello d’amaro forse non propriamente nullo, ma decisamente vicino a esserlo. Questi i connotati salienti della birra convocata per la terza prova. È la “Pinot Noir” della “Guezerie Tilquin” (a Bierghes, nella provincia belga del Brabante Vallone); un Druiven Lambic confezionato assemblando un mosto di cereali trattato a fermentazione spontanea con una quota (si sta attorno al 30%) di pigiato d’uva: per l’esattezza acini di Pinot Nero, come esplicitamente riferito dal “nome d’arte” di questo prodotto decisamente interessante. Introdotta da un colore ambrato di tinta corallina, la bevuta spicca per la propria acidità ficcante (di timbro lattico, citrico e acetico): tale da replicare, nell’incontro col boccone, le stesse dinamiche apprezzate assaggiando la “Luci rosse” e la “Duchesse”. Mentre, al naso, la sorsata fa valere una decisa verve selvatica (cuoio, pelliccia animale) e legnoso-fruttata (corteccia, ribes, lampone) che, intrecciandosi al peperone della “muhammara” genera un curioso effetto da Cabernet Franc in versione “naturale”. Molto, molto intrigante…
BIRRIFICIO EVOQE
Via Castellana, 43 – Trebaseleghe (Padova)
T. 334-9985458 (Mauro); 320-1919968 (Hernan); 328-2710568 (Andrea)
info@evoqebrewing.com
www@evoqebrewing.com
BROUWERIJ VERHAEGHE
Beukenhofstraat 96 – Vichte (Fiandre Occidentali, Belgio)
T. 0032 (0)56 777032
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narratorpol@telenet.be
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GUEZERIE TILQUIN
Chaussée Maïeur Habils,110 (Bierghes, Brabante Vallone, Belgio)
T. 0032 472-918291
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