di Andrea Camaschella
Beer Attraction 2017 si è appena conclusa (leggi qui), io ho quasi recuperato la voce, il mio fegato credo stia chiedendo asilo politico in un Paese dove gli alcolici siano vietati per legge, ma soprattutto è tempo di fare una piccola analisi sulla Fiera e sul concorso di Birra dell’Anno, visto che la premiazione del concorso organizzato da UnionBirrai si è svolta proprio lì.
Sabato è stata una giornata strana, primo giorno di fiera, in cui sono riapparsi stand e marchi industriali, ha riportato alla mente altri tempi e altre situazioni, quando a Rimini convergevano tutti i gruppi industriali e orde di persone interessate solo a bere fino a ubriacarsi senza interessarsi con cosa. La quantità di ragazzi, maggiorenni d’accordo, ma comunque molto giovani, ma non solo, anche adulti, palesemente ubriachi e in molti casi anche molesti era qualcosa che non si vedeva più da parecchi anni.
Il comparto artigianale non elimina gli ubriachi ma, forse perché è ancora un piccolo mondo, forse perché la consapevolezza è evidente, li contiene e comunque è rarissimo vederne di aggressivi. In un modo o nell’altro il rientro delle birre industriali saranno un problema per le edizioni future. Detto questo entro nel tema della premiazione di Birra dell’Anno, giunto oramai alla dodicesima edizione. Il concorso di UnionBirrai viaggia su binari consolidati, con una crescita costante per quanto riguarda ogni aspetto: il numero delle birre iscritte (ben 1.367 quest’anno, circa 300 in più del Bruxelles Beer Challenge, mentre l’European Beer Star ne conta circa 700 in più, ma sono entrambi concorsi aperti a tutto il mondo brassicolo e non alla sola Italia), il numero di giudici, salito a 72, lo staff dietro le quinte che sovrintende il servizio ai tavoli e, da quest’anno, uno steward per ogni tavolo.
Assaggiare alla cieca, in un concorso così importante, è una bella responsabilità, può sembrare una sottigliezza ma da capitano di tavolo è una sicurezza avere sempre qualcuno vicino cui chiedere delucidazioni sui tempi e sui modi e per questo ringrazio Vincenzo Neglia, che ha lasciato per 3 giorni il suo locale di Ancona, il Mugnaio, per seguire le mie richieste e farmi da intermediario con il servizio. Al di là della crescita e del consolidamento proprio, Birra dell’Anno ha anche offerto un interessante spaccato della crescita del movimento nel suo insieme. Tante, tantissime le novità già a partire dalla categoria 1, quella delle Pils, dove la Milledue91 del Birrificio Mastino ha sbaragliato la concorrenza in una categoria dove tutti davano per scontata la vittoria, a mani basse, di Birra dell’Elvo o un ritorno di fiamma della TipoPils del Birrificio Italiano. Elvo, che resta uno dei migliori interpreti, in assoluto, non solo italiano, delle basse fermentazioni di ispirazione teutonica, ha raccolto le briciole, rispetto al valore delle sue birre, segno che altri in Italia stanno lavorando bene.
Il concorso fotografa un momento, un istante, su costanza e qualità in tanti hanno ancora da dimostrare molto, ma resta che di sorprese, tra i premiati, se ne sono viste eccome. Il regolamento prevede, come accennavo, l’assaggio alla cieca, cioè i giudici ricevono le birre direttamente nei bicchieri e sanno soltanto che appartengono a una determinata categoria, di cui hanno le specifiche generali. Non si sa null’altro. La prima cosa che ho imparato, in giuria, è evitare di pensare a chi potrebbe averla prodotta o addirittura tentare di ricondurre il bicchiere all’etichetta: dare nomi durante la degustazione è molto pericoloso e potrebbe portarti a sbagliare clamorosamente tutto il giudizio. A fine screening però, una volta che hai restituito i risultati, mentre aspetti che il tavolo venga sparecchiato, lavori un po’ di memoria e ci provi. Quest’anno mi sono trovato in molte occasioni non solo senza certezze – che mi capita molto spesso – ma proprio senza alcuna idea. La premiazione mi ha confermato che non è (solo…) la demenza senile: pur girando come una trottola per lo stivale, molte delle birre che il mio tavolo ha mandato a premio non le avevo mai assaggiate. Cosa che ho scoperto appunto solo il sabato durante la premiazione o, per le menzioni d’onore (quarto e quinto posto), anche dopo.
Il nostro è un piccolo mondo, ci si conosce in molti, ci si frequenta spesso, incrociandosi in varie manifestazioni, ecco perché vedere alcune birre premiate fa particolarmente piacere. Nella categoria 14 – birre scure ad alta gradazione, di ispirazione angloamericana – è però arrivata alla medaglia d’oro una birra davvero speciale e che ancora non avevo avuto occasione di assaggiare: la Hop'n'Hel di No Tomorrow Craft Brewery. È speciale non perché dietro alla ricetta ci sia, oltre ad Andrea Semilia, una vecchia conoscenza del nostro mondo come Maurizio Cancelli. È speciale perché è la birra dedicata a un grande amico, sempre presente ai principali eventi, con i suoi lunghi capelli biondi, i suoi occhi azzurri e quel sorriso sempre pronto per gli amici. Con il suo amore per le birre e la sua passione per la musica Metal ci aveva conquistati tutti e che ci ha lasciati anzitempo poco meno di un anno fa. E con questa birra Adriano – AdriMetal per tutti – Ventura mi ha commosso, lì, davanti al palco.
La Hop’n’Hel è una birra scura, nera, con schiuma color cappuccino. All’olfatto si presenta con una bella vena di malti tostati e torrefatti su cui si inseriscono profumi di luppoli. In bocca è parallela al naso, con un corpo deciso e una luppolatura importante che, contrariamente a quello che potrei aspettarmi, si integra alla perfezione con le note tostate e torrefatte, si avverte anche una piacevole ossidazione, che la arrotonda. Il finale, lungo, appagante, ripropone note tostate, torrefatte e una bella presenza di aromi di luppolo. Due giorni prima era proprio il tuo compleanno, non è che ti sei fatto il regalo? D’altronde è proprio una birra perfetta per te, Adri: brindo alla tua memoria con Elena, la tua coraggiosa moglie, e i tuoi splendidi figli, Vanessa e Alessandro. Che la terra ti sia lieve, come la schiuma della tua birra.
Rubrica a cura di Andrea Camaschella e Mauro Ricci