Vinitaly si avvicina e la Sicilia del vino è pronta a sbarcare a Verona. Ne abbiamo parlato con Tonino Guzzo, uno degli enologi più importanti del territorio siciliano.
Come arriva la Sicilia a Vinitaly?
Questi non sono anni brillanti, però vogliamo essere ottimisti. L’anno scorso l’annata era partita bene con una primavera sprint, poi è cambiato tutto. Non è stata una delle annate migliori.
Non è andata bene per colpa del clima?
Il clima ha giocato contro. Abbiamo avuto una primavera fredda e piovosa. La gente non usciva e i ristoranti lavoravano meno. Poi ha iniziato a fare molto caldo. Ottobre e novembre non sono stati per niente brillanti. In generale, il 2023 non si può annoverare tra i migliori anni né dal punto di vista produttivo né dal punto di vista delle vendite e del mercato.
Cosa ci si aspetta invece da quest’anno?
Speriamo di fare già meglio dell’anno scorso. L’annata commerciale non è partita brillantemente mentre l’annata produttiva è iniziata con un inverno dove non abbiamo avuto l’inverno e senza pioggia. Speriamo di riuscire a vendere il vino che abbiamo prodotto e di avere un’inversione rispetto all’anno scorso.
Nel resto d’Italia la situazione è diversa?
Con le precipitazioni e le nevicate che ci sono state nell’ultimo mese e mezzo penso che le altre regioni abbiano recuperato abbondantemente. I fiumi sono pieni, le Alpi sono innevate nonostante ci sia stato più caldo del solito. Però dal punto di vista idrico stanno meglio, mentre qui c’è una siccità potente.
Oggi come racconterebbe a un importatore straniero la Sicilia del vino?
La Sicilia del vino non è solo pianura e mare. C’è un entroterra altrettanto importante e con varie sfaccettature, per questo si parla di continente vitivinicolo. C’è la possibilità di avere tante tipologie di prodotto. Nell’ultimo ventennio l’Isola è stata probabilmente percepita come terra di rossi potenti ma non è così. Ha una storia di vini bianchi e di vini eleganti importante.
Per esempio?
Cito i bianchi che si ottengono da vitigni autoctoni che sono i nostri migliori ambasciatori come il Catarratto, Grillo, Zibibbo compreso quello coltivato a Pantelleria e la Malvasia delle Lipari. Poi c’è sempre l’Etna che è un’isola nell’Isola con il Carricante. C’è la possibilità di avere dei bianchi autoctoni che hanno forte personalità e sono dei vini fortemente orientati al mercato italiano di grande eleganza. Per passare poi ai rossi come il Nerello mascalese sull’Etna, i vari frappato, il Cerasuolo…
Cosa è cambiato nella produzione di questi vini negli anni?
Una visione nuova sul modo di produrli. L’eleganza è la nota distintiva per uscire da uno stereotipo che ci voleva quelli del vino alcolico potente e pesante.
Parlando del Grillo, forse oggi è un po’ troppo inflazionato in Sicilia?
Penso che il Consorzio DOC abbia fatto molto nella promozione. È una varietà in linea con l’aspettativa del mercato. Bisogna stare attenti a non inflazionarlo, bisogna investire più in valore che in volume rimanendo su con i prezzi.
La sua esperienza con questa varietà?
19 anni fa, quando ho iniziato con Gorghi Tondi che è stata la mia prima azienda, ho conosciuto veramente il Grillo. Ne ho potuto apprezzare le potenzialità, tanto che come azienda è diventato il vitigno di punta.
Invece a Vinitaly quale zona d’Italia vorrebbe “assaggiare”?
Mi piace navigare un po’ ovunque. In questo momento particolare sono di nuovo molto attratto dai vini a base Nebbiolo.
Cosa si può fare per affrontare il cambiamento climatico?
Ognuno deve fare la propria parte. Quest’anno mi ricorda tantissimo il 1990.
Perché?
Nel 1990 abbiamo avuto 100 millimetri di pioggia tutto l’anno, un’annata ancora più arida di questa.
Poi quell’anno come andò?
Abbiamo prodotto veramente poco, si diradarono le vigne per ridurre la produzione e per salvare il vigneto. Ma fu un’annata ancora più drastica di quella di quest’anno. Si produssero però dei vini di altissima qualità.
La Sicilia come affronta questo periodo?
A noi del Sud il cambiamento climatico fa meno paura di altre regioni perché siamo abituati alla siccità e al caldo. Bisogna però investire su invasi sia privati che pubblici. Quando l’acqua arriva dal cielo bisogna conservarla fino all’ultima goccia e non sprecarla. Può aiutare le aziende in termini di qualità e di produttività.