Irrigazione di soccorso? Perché no. Ma bisogna essere cauti e serve uno studio di fattibilità. Il segreto del successo di Barolo e Barbaresco? La loro unicità. Lo sbarco di investitori nelle Langhe che vogliono diventare vignaioli? Non c’è alternativa ma bisogna accoglierli. In queste poche righe la filosofia e il pensiero di Sergio Germano, 49 anni, dalla scorsa primavera il presidente del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani che parla del suo mandato e dei dossier più attuali. Germano si definisce un appassionato di vigna, di vino, di territorio. Un po’ timido ma che vince la sua timidezza con la voglia di condividere idee e opinioni.
Sono passati cinque mesi dall’insediamento. È possibile già fare un primo bilancio?
“Il bilancio lo faremo alla fine. La mia filosofia è quella di fare sempre gioco di squadra perché bisogna lavorare per il territorio. Credo nei consorzi, nelle associazioni di produttori che lavorano in team tutti nella stessa direzione. E questo è l’impegno che sto mettendo in questo lavoro”.
Come va a livello di Consorzio?
“C’è una bella armonia con una buona rappresentatività delle tipologie di aziende che abbiamo. Io non sono uno da facili entusiasmi, mi muovo con attenzione perché non voglio sbagliare”.
Dall’ultima consultazione con i soci rimane il divieto di impiantare vigneti di Nebbiolo atti a Barolo o Barbaresco nei versanti collinari esposti a Nord. È una questione chiusa?
“Lo è. C’è stata una consultazione tramite raccolta firme prevista dai disciplinari. C’è stato un quesito iniziato a febbraio e chiuso a metà giugno e tra questi è passato il limite della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco che dovrà coincidere con la zona di vinificazione e l’utilizzo di formati superiori a 6 litri e fino a 18 litri per il Barbaresco per la vendita. Per la questione dell’allargamento della zona di produzione a Nord forse non erano maturi i tempi o forse non è stata interpretata in modo corretto la proposta”.
Con il cambiamento climatico forse però qualcosa dovrà essere modificata?
“L’esperienza e la professionalità dei viticoltori è importante. La natura ha le sue variazioni, noi dobbiamo essere elastici per gestire il tutto. Bisognerà di certo fare ragionamenti e pensieri sull’irrigazione di soccorso”.
Oggi non è possibile farla?
“In questo momento non è prevista da disciplinare ma soprattutto manca l’acqua. Bisognerebbe pensare alla creazione di invasi, ma serve progettualità che va oltre il consorzio. Il trend climatico cambia e dobbiamo adattarci e guardare avanti”.
In cosa vedete cambiamenti sul clima?
“L’evidenza è la mancanza di inverni, le precipitazioni sono distribuite in modo diverso con eventi violenti come pioggia, grandine e una velocità del vento distuttiva. Oggi la stagione della grandine va dalla primavera all’autunno. Ci sono tanti mezzi da provare e ognuno deve capire quale è il più adatto alle proprie esigenze.
L’irrigazione sarà quindi uno dei temi da affrontare?
“Innanzitutto serve uno studio di fattibilità. È un discorso da portare avanti, come quello sullo fisiopatie, le malattie da combattere. Da una parte vogliamo essere più rispettosi dell’ambiente dall’altro per legge siamo obbligati a utilizzare determinati prodotti”.
Come si difende il territorio dallo sfruttamento alla manodopera, il cosiddetto caporalato?
“Gli episodi devono servire da insegnamento. Noi abbiamo iniziato a sottoscrivere protocollo d’intesa per sensibilizzare la zona per evitare lo sfruttamento. Non sono tanto le aziende viticole che sfruttano, ma le società che gestiscono i lavoratori stagionali. Siamo una zona ricca e potenzialmente di livello alto, dobbiamo essere alti in tutti i campo. L’etica del lavoro deve essere mantenuta, se produciamo benessere dobbiamo anche darlo”.
Qual è il segreto del successo del Barolo?
“L’unicità. Il Barolo, ma anche il Barbaresco, sono figli di vitigni molto aristocratici e sensibili che variano molto spostandoli da un ambiente all’altro, diventando generosi in diverse realtà. L’unicità fa sì che producano vini unici e preziosi”.
Come si gestisce un consorzio con tante anime dove ci sono vini che svettano nel mondo proprio per questa unicità?
“Il mio sogno è dare voce a tutti per filtrare, interagire e riuscire a mettere d’accordo i vari sentimenti. L’idea è muoversi in blocco ognuno con la sua etichetta e azienda per fare grande il vino che produciamo”.
Come accogliereste eventuali investitori che arrivano sul territorio e che non sono produttori di vino?
“Non abbiamo alternativa che accoglierli bene cercando di metterli insieme a noi a lavorare sempre nello stesso stile dando il massimo. L’importante è farli rendere conto che questa è una zona con un valore incredibile”.
Il Barolo è una delle zone più pregiate per valore fondiario…
“In questo momento sì, dal punto di vista della finanza. L’importante è che non diventi speculazione e che non si vada a a spersonalizzare il territorio. Chi calpesta questa terra lo deve fare per farla risplendere bene”.
Le giovani generazioni provano a cimentarsi con questo mestiere?
“Ci sono tanti nipoti di persone che anni fa avevano terreni che provano a cimentarsi. Lavorare la vigna è un mestiere non tecnologico. Qui c’è un lavoro di conoscenza, di storia, di mani, di esperienza vissuta sulla pelle. Un lavoro lungo da imparare, ci vogliono almeno dieci anni. I giovani non devono perdere entusiasmo. Per arrivare alla bottiglia serve impegno”.
Vi preoccupa la tendenza mondiale a bere bianchi?
“I gusti cambiano, le tradizioni sono importanti da mantenere. Il gusto personale non si può imporre. Abbiamo un territorio che si chiama Langhe: nell’alta Langa sulle colline più fresche si possono coltivare bianchi. Può essere un’aggiunta. Il territorio deve essere sfruttato quindi la preoccupazione non deve esserci”.