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L'intervista

Salvatore Calabrese, “The Maestro”: “Il barman oggi ha un aspetto culturale. E senza ospitalità…”

17 Giugno 2024
Da sinistra Paolo Osanna, Giovanna Manganaro diretrice di Monaci delle Terre Nere, Salvatore Calabrese e Federica Tesoriero con Guido Coffa patron di Monaci delle Terre Nere durante la presentazione del drink Dolcemonaci Da sinistra Paolo Osanna, Giovanna Manganaro diretrice di Monaci delle Terre Nere, Salvatore Calabrese e Federica Tesoriero con Guido Coffa patron di Monaci delle Terre Nere durante la presentazione del drink Dolcemonaci

Cadenza british, con un accento che tradisce le origini campane, quella di Salvatore Calabrese meglio noto come “The Maestro”.
Dalla costiera amalfitana, dove batte ancora il cuore, all’arrivo a Londra nel 1980. Tanti i drink creati in circa cinquant’anni di carriera fra i quali alcuni iconici come il Martini Breakfast, diverse le consulenze prestigiose, incarichi di giuria per competizioni mondali, autore di best seller sui cocktail, raffinato conoscitore dei più prestigiosi liquori, in particolar modo il Cognac. Un’istituzione a livello globale il Maestro che ha firmato per Monaci delle Terre Nere, wine resort eco bio a Zafferana etnea, di recente insignito del riconoscimento della chiave della guida Michelin, il Dolcemonaci. Ed è qui che si è avuto modo di approfondire la sua carriera, l’arte della miscelazione e dell’ospitalità, il mondo della mixology e infine ma non meno importante la degustazione cibo cocktail. Maestro d’ospitalità innanzitutto.

Quali attitudini per un barman oltre la tecnica?
“Due sono le cose che io amo. L’arte della miscelazione l’ho incontrata all’età di undici anni, quando feci il primo Americano e l’anno successivo il primo Negroni, anche se in questa occasione ho ricevuto una sberla da quello che allora era il mio mentore. “Non cercare di fare una cosa che non sai fare, sii rispettoso” mi disse. Per me è stato un viaggio, iniziato in un piccolo bar a Maiori in Costiera. Quando ho iniziato negli anni ‘60 c’erano poche bottiglie, ora in tutti i miei bar ce ne sono almeno 600 rispetto alle 30 di quei tempi, pochi gin, una bottiglia di campari, un vermut. L’immaginazione del bar è cambiata, oggi ci sono tanti più distributori che creano distillati più prestigiosi, c’è più scelta, quindi il barman oggi ha un aspetto più culturale, devono sapere tutto. Il ventaglio della materia prima si è ampliato. Tutti possono incontrare il viaggio della miscelazione se lo si fa con passione e amore, come per gli chef, si inizia a cucinare cercando di diventare un grande. Ma per diventare grande, per esserlo, devi conoscere e amare anche l’arte dell’ospitalità. Oggi i ragazzi stanno sviluppando questa cultura del bar, per me dopo cinquant’anni che sto in questo “teatro” sono Maestro non solo per la miscelazione ma per ciò che ho creato nell’arte dell’ospitalità”.

Come è cambiato in questi anni il mondo dei cocktail?
“È cambiato molto, oggi c’è tutto di più. Si pensi al mondo del whiskey, negli ultimi vent’anni è diventato un’istituzione, oggi ce ne sono giapponesi, indiani. La cosa importante è che oggi come oggi è l’elevazione dell’arte della miscelazione che si lega a un’altra cosa. Per essere un grande non occorre sapere miscelare, per esserlo devi conoscere l’arte dell’ospitalità. Qualsiasi personaggio entra deve sentirsi a suo agio, quando riesci a chiudere queste due “mani” allora ti puoi chiamare un grande”.

Cosa fa oggi, dopo cinquanta anni Salvatore Calabrese?
“Oggi a Londra ho diversi locali. Il Donovan Bar, dove veramente incontri il teatro del grande bar all’interno del Brown’s hotel, qui l’ospitalità è al massimo. Poi c’è il Velvet aperto l’anno scorso, un locale bellissimo più notturno dove io dico che il bar è un grande teatro dove ogni sera c’è uno spettacolo. Ho creato un piano, il bar, chi suona è il barman che suona appunto lo shaker come il suo strumento. I miei barman per la maggior parte sono italiani. Alcune cose sono proprio nel nostro dna. Sappiamo cosa vuol dire ospitalità, sappiamo come accogliere. Quando la gente veniva a casa di mia mamma, in costiera amalfitana, si offriva subito qualcosa da bere, un limoncello un fragolino. Tutti mi chiamano maestro. Maestro nell’insegnare l’ospitalità, l’arte dell’ospitalità, della miscelazione, maestro come conoscitore di distillati prestigiosi. Nel 1982 ho avuto l’idea, per incrementare la vendita e la qualità, di vendere una storia in un liquido formato, fare delle ricerche, trovare bottiglie prestigiose dell’epoca napoleonica e di altre importanti date storiche. Vendere la storia attraverso un bicchiere per un’esperienza unica e irripetibile, questa è la “Liquid History”, il legame fra narrazione (storica)e la degustazione. Ogni drink comunque è una creazione speciale, l’ispirazione viene di volta in volta, inizi a sognare cosa creare”.

Come nasce Dolcemonaci?
“Ingredienti che crescono qui intorno in questo bellissimo territorio, ho pensato come creare una dolcezza che da sorpresa. Ho usato le clementine, le pesche. Le clementine danno acidità, la pesca quel sapore morbido e floreale, il campari quel tocco di amaro, e infine la freschezza delle bollicine”.

Esiste un giusto bilanciamento per un cocktail?
“Non esiste una regola in questo senso. Anche noi sperimentiamo esattamente come gli chef. Un barman pensa a un viaggio, si può pensare a due come a più ingredienti sperimentando su tanti sapori. Le cose che oggi i barman fanno sono incredibili, a partire da un odore o un sapore si inizia a pensare. Il mondo della miscelazione oggi è “sky high””.

Abbinamento cibo – cocktail. Cosa avete pensato nei vostri locali?
“La cosa bella è che una volta si parlava solo dell’abbinamento cibo-vino. Oggi si pensa anche a come creare cocktail per accompagnare una degustazione. Devi sognare i sapori a seconda di cosa vuoi. In questo senso ricordo il mio Spicy Fifty a base di peperoncino, una sensazione forte, piccante. Quando ho creato questo cocktail ho voluto che questa sensazione si riscontrasse alla fine dopo una prima nota dolce e agrodolce. Quello che il sommelier pensa lo posso creare anche io pensando alle stesse sensazioni di un vino. Pensare un abbinamento è sognare i sapori”.