Il Danì Maison di Nino di Costanzo – ristorante due stelle Michelin ad Ischia – è uno di quei luoghi dove vale la pena andare anche solo per il viaggio. Non un caso, quindi, che sia l’unico ristorante italiano ad essere stato inserito nella prestigiosa top 100 di Forbes dei locali più cool del mondo. La vecchia casa familiare del nonno trasformata in un eden vegetale sembra essere uscita da un quadro di Dalì dove ogni varietà botanica presta il fianco alle più disparate opere dell’artista Lello Esposito: Pulcinelli, uova e vulcani che spuntano qua e là nel fascinoso giardino tedesco accompagnando la vista degli ospiti estasiati sino alla porta di entrata del ristorante. Da lì ad attenderli c’è poi la cucina e il viaggio onirico che di Costanzo riporta sulla tavola. Un viaggio che è per il cibo quanto per il vino.
Un intero menu dedicato alla spumantistica italiana in un percorso a ritroso tra le vecchie annate di Giulio Ferrari o il privilegio di poter scegliere quelle bottiglie date in assegnazione solo a chi fa parte del ristretto circuito dei Dépositaires Dom Pérignon di cui Danì Maison né è custode insieme ad altri 19 ristoratori italiani che dal calibro di Massimo Bottura arrivano a Niko Romito passando per i fratelli Cerea. Ma qui c’è da impazzire appena aperta quella piccola porticina che un tempo era la stanza dove il nonno di Nino allevava i conigli e che ospita oggi vini provenienti da tutto il mondo con un archivio storico difficile da eguagliare. La gestione è tutta affidata al giovane sommelier Roberto Riccardo Tornabene al quale sono state affidate le chiavi di questo scrigno dal 2022.
Come è arrivato al Dani Maison?
“La mia è tutta una formazione sul campo. Avevo 21 anni e vivevo in provincia di Milano, a Trezzano sul Naviglio. Ho iniziato a lavorare all’Osteria di Gaggiano, poco distante da casa, dove gestivo oltre 1100 etichette. Poi nel 2016 è arrivata la prima esperienza nel mondo della Michelin con Bartolini. Al Mudec ero il maître del bistrot. Poi il Gong (uno dei ristoranti fusion più alla moda della città che viene premiato nel 2017 per la sua carta vini dopo l’incursione di Tornabene, ndr) e il Bullona in via Piero della Francesca. Poi l’anno scorso sono arrivato al Danì Maison”.
Certo c’è una bella dose di responsabilità a gestire una carta che, proprio l’anno scorso è rientrata tra le migliori cento d’Italia..
“E’ un’eredità molto importante quella che mi è stata assegnata, frutto di un grande lavoro di ricerca. Ma sto cercando di arricchire la selezione portando anche le mie esperienze e il mio stile. Oggi siamo a 2.500 referenze dove trovano spazio i nomi dei grandi produttori accanto a quelli dei piccoli artigiani tra zone enoiche che fanno da cassa di risonanza a quelle meno note, ma di altrettanta forte vocazione”.
La cucina del Danì Maison è estremamente territoriale e un abbinamento per “concordanza” sembrerebbe la scelta giusta..
“L’intera carta è accumunata da una profonda linea di territorialità. Ampio margine è, quindi, riservato agli autoctoni campani. E’ una chiave di lettura – anzi direi una naturale prosecuzione – che permette ai nostri clienti di vivere le tradizioni enogastronomiche di questa regione durante l’intero percorso di degustazione. Chi viene qui, spesso, ha voglia di vivere l’isola in tutto ciò che può offrire”.
Non manca però un’ampia proposta internazionale, oltre che una ragionata selezione sulle referenze nazionali fuori Campania. Come fare per proporle allora?
“La proposta al calice è il mezzo più rapido per diffondere conoscenza. Cerco di proporre quante più referenze possibili sbicchierandole così da aprire il cliente a nuovi gusti oltre che, in questo modo, a garantire anche una roteazione in cantina”.
Molto spesso invece la proposta al calice è intesa per un ristoratore come un mezzo per acquisire più capitale e acquistare bottiglie blasonate…
“Bisogna averle però. E non è soltanto una questione di pregio. I grandi nomi hanno fatto anche la grande storia del vino e continuano a tracciare la qualità. E poi rappresentano sinonimo di sicurezza per molti clienti che preferiscono una bottiglia al percorso al calice”.
Sulla ormai “stancante” dicotomia dei vini naturali e convenzionali…
“Molti produttori stanno convergendo le loro conduzioni in biologico, qualcuno anche in biodinamico. Credo non si tratti più solo di una tendenza, ma di un aspetto culturale che sta diventando insito in chi produce vino. Personalmente sono favorevole, ma questo è solo uno dei tanti aspetti che prendo in considerazione nel mio lavoro di ricerca e selezione di un produttore”.
E se nell’alta ristorazione questa dicotomia è superata, ultimamente però pare essere aumentata la proposta di scelte poco “tradizionali” negli abbinamenti come distillati o pre-british serviti durante un pasto…
“Credo che il cliente sia sempre più preparato e comunque predisposto alle novità. Il Danì Maison ha un pubblico prevalentemente internazionale e dobbiamo essere pronti ad accettare ogni tipo di richiesta. Certo la maggioranza vuole vivere l’esperienza dell’isola con i vini del suo territorio, ma c’è anche chi ha voglia di aprirsi a gusti e sapori del tutto inaspettati. Tutto sta nel saper leggere e comprendere il cliente”.
Al Danì Maison si viene soprattutto d’estate. Quando le temperature esterne non sono proprio congeniali per i vini..
“La temperatura di servizio è essenziale per me. Noi serviamo i vini rossi a 15 gradi direttamente dalla cantina. Per alcuni clienti i vini sono troppo freschi, ma questa è la temperatura ideale per sentire di più il frutto. Ed è questo che provo a far capire quando mi viene chiesto una condizione più alta o più bassa. E’ un aspetto a cui tengo molto. Certo se poi mi viene richiesto esplicitamente qualcosa di diverso, il cliente ha sempre ragione”.