Comincia una nuova era per la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, quella che tutti conoscono come Fivi.
Matilde Poggi lascia la presidenza dopo nove anni e non si ricandida. Anche perché dallo scorso luglio lei è presidente della Cevi, la Confédération Européenne des Vignerons Indépendants, che è la Federazione che raggruppa tutti gli organismi simili alla Fivi a livello europeo. Pertanto resta a pieno titolo a rappresentare in una dozzina di Paesi uno degli organismi che sempre di più ha fatto sentire la propria voce nel difendere l’identità e il ruolo del vignaiolo. Ma come sarà il dopo-Poggi? Se lo chiedono in tanti, soprattutto i circa 1.400 soci che sono chiamati a eleggere mercoledì 9 marzo il nuovo consiglio direttivo (leggi qui>) che a sua volta voterà il nuovo presidente. Registriamo un po’ di fibrillazioni perché, per esempio, un paio di candidati hanno ritirato la candidatura. È il caso di Enza La Fauci e anche di Claudio Conterno. Quest’ultimo tra l’altro con qualche strascico polemico. Situazioni che fanno emergere tensioni in un organismo, la Fivi, che di trasparenza, rispetto e correttezza ne ha fatto una sorta di fiore all’occhiello fin dalla fondazione. Su quest’argomento Matilde Poggi preferisce non parlare vista l’imminenza del voto. “Facciamo svolgere le elezioni, poi si vedrà”, dice. Ma è pur sempre l’occasione per tracciare un bilancio di nove anni alla guida della Fivi, una federazione che, ricordiamo, ha circa 1.400 iscritti, il 60 per cento al nord, 25 per cento al centro e appena il 15 per cento al sud, isole comprese. “Il nostro compito – esordisce la presidente uscente – è quello della tutela del lavoro del vignaiolo indipendente, inteso come colui che coltiva le sue vigne, vinifica la sua uva, imbottiglia il suo vino e in prima persona si occupa anche della commercializzazione delle sue bottiglie. Fivi è un portatore di interessi. Siamo accreditati presso il ministero delle Politiche Agricole, presso le commissioni Agricoltura della Camera e del Senato. Siamo inoltre accreditati presso i tavoli vitivinicoli di 8 Regioni e sono già partite le richieste di accredito in altre Regioni”.
Entriamo nel dettaglio?
“In questi anni abbiamo fatto numerose istanze verso una semplificazione burocratica; il carico burocratico appesantisce in modo gravoso le piccole aziende che non sono in grado, per le loro dimensioni, di avere risorse dedicate: il Vignaiolo indipendente vuole stare in vigna e in cantina e non vuole passare un terzo del suo tempo in ufficio. Spesso inoltre la pubblica amministrazione ci richiede informazioni che già ha obbligandoci ad una duplicazione delle comunicazioni che già potrebbero facilmente avere se mettessero in rete gli uffici”.
Cose portate a termine?
“Nel 2021, in linea con quanto richiesto dalla comunità europea con la strategia Farm to Fork, abbiamo avviato un progetto pluriennale “Fivi4Future”, ovvero i vignaioli coltivano la ricerca, volto ad una maggiore sostenibilità delle nostre aziende. Nel 2021 era teso alla riduzione degli insetticidi in vigna. Questo è il primo di progetti che intendiamo avviare per la formazione in collaborazione con il mondo universitario”.
Parliamo della presidenza Poggi in questi nove anni?
“Ho preso il testimone da Costantino Charrère nel 2013, ed ho lavorato sul solco tracciato da lui, in piena sintonia. Nel frattempo Fivi è cresciuta coprendo in modo più omogeneo il territorio italiano. È cresciuta anche la presenza di Fivi ai tavoli istituzionali e la presenza del sottosegretario all’Agricoltura GianMarco Centinaio alla nostra assemblea dello scorso novembre testimonia il fatto che Fivi sia un interlocutore affidabile, serio e concreto. Un rammarico lo abbiamo. Dal 2008 anno di nascita di Fivi ad oggi abbiamo visto ben nove ministri dell’agricoltura, senza contare gli interim. Questo rende l’idea di come sia difficile avviare un dialogo quando gli interlocutori cambiano cosi di frequente”.
A livello territoriale cosa è stato fatto?
“Si è estesa la rete delle delegazioni territoriali, imprescindibile collegamento tra il socio e il Consiglio. La rete conta attualmente 29 delegazioni, numero in continua crescita. Grande collaborazione ho avuto anche da tanti soci, che hanno segnalato al Consiglio problematiche locali o richieste che poi si sono trasformate in istanza della Fivi. Ho sempre detto che Fivi è una grande famiglia in cui ognuno deve dare il suo contributo. Con la crescita dei soci ci siamo anche dati un organizzazione più strutturata. È stata anche incrementata l’attività di comunicazione della nostra attività istituzionale e del nostro logo. Quel logo, che vorrei ogni vignaiolo con orgoglio avesse sulle sue bottiglie, dice molto; racconta di una filiera chiusa, che dietro a quella etichetta c’è il vignaiolo che ci mette la faccia. Quest’anno si è poi tenuta la decima edizione del nostro Mercato dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza, un grande successo di pubblico”.
Cosa porta dalla Fivi in Europa a capo della Cevi?
“Tutta l’esperienza che ho fatto in Fivi mi ha aiutato ad essere eletta presidente di Cevi. È un riconoscimento al contributo fattivo che Fivi ha dato a tutti i Paesi membri di Cevi dal 2009 ad oggi. La Francia aveva sempre avuto la presidenza, quindi ritengo che questo sia un passaggio molto importante. Intendo lavorare coinvolgendo maggiormente anche i Paesi più piccoli, mettendomi a disposizione alle richieste di tutti anche se Paesi con pochi soci e con numeri piccoli. La forza di Cevi sta proprio nell’avere al suo interno Paesi con storie così diverse e con un’imprenditorialità tanto diversa. Come in Fivi l’ascolto è dato a tutti i vignaioli e a tutti i territori, così deve essere in Cevi. La Francia, avendo avuto la presidenza per cosi tanti anni, aveva reso Cevi molto “francocentrica”. Con l’Italia alla presidenza saremo più europei”.
Quale l’identikit del vignaiolo socio Fivi oggi?
“Un artigiano del vino, con un’azienda medio piccola (la media si attesta sui 10 ettari), azienda giovane, molte sono aziende femminili. Ha un importante ruolo sociale, con importanti ricadute economiche sul territorio in cui opera. Mi piacerebbe che ognuno di noi calcolasse quanto contribuisce con l’indotto all’economia del suo territorio. Offriamo posti di lavoro, attiriamo enoturisti che poi si fermano magari qualche giorno in un agriturismo, visitano la zona e creano indotto. Si avvicina a Fivi per trovare un gruppo di colleghi, per condividere esperienze, problematiche con chi sente a lui vicino”.
Quali rischi corre oggi il vignaiolo? Cosa bisogna fare subito per difendere la sua identità?
“Il rischio è che non venga riconosciuta la specificità della nostra categoria. Sicuramente se si riuscisse anche a normare chi è il vignaiolo indipendente dal punto di vista giuridico, un po’ come fanno i nostri cugini francesi che mettono bene in evidenza in etichetta che tipo di azienda produce quel determinato vino, sarebbe meno difficile. Occorre inoltre vigilare affinchè le normative non penalizzino e non mettano in difficoltà le piccole aziende a vantaggio dei grandi gruppi. Una volta ho sentito dire che occorre favorire l’aggregazione di piccole aziende per creare gruppi più forti e piu competitivi. Non sono d’accordo, molte volte il piccolo vuole restare tale perché la sua dimensione si confa alla sua filosofia produttiva”.
Quali rischi corre oggi il vino italiano? Teme che l’Unione europea torni sulla questione delle indicazioni salutistiche in etichetta?
“Il rapporto del comitato Beca chiede che in etichetta ci siano indicazioni per un consumo responsabile e moderato, ci verrà quindi presumibilmente richiesto di integrare le nostre etichette. Il vino italiano va tutelato soprattutto per quanto riguarda le nostre denominazioni: la vicenda Prosek ci deve tenere in allarme, troppo spesso troviamo vini con nomi che alludono alle nostre denominazioni. I rapporti bilaterali vanno implementati, troppo spesso sono processi decisionali lenti influenzati dalla congiuntura politica; a volte si procede per scaglioni proteggendo solo poche denominazioni, questo vale in genere anche per tutto l’agroalimentare. Siamo leader nel mondo per prodotti Dop, dobbiamo pretendere che l’italian sounding venga combattuto”.
F. C.