“Milo ha le carte in regola per poter essere di fatto una delle Città del Vino siciliane. Lo è già dell’Etna, senz’altro, però se penso a Porto, Saint-Emilion, Montalcino… credo che Milo abbia tutte le caratteristiche per poterlo essere”. A dirlo è il Master of Wine Pietro Russo, durante il suo intervento alla manifestazione ViniMilo.
Lo abbiamo così contattato, per approfondire questo tema e per capire il successo dei bianchi dell’Etna e del boom dell’Etna Bianco Superiore prodotto solo a Milo (+214% in quattro anni). “Si tratta di un centro che ha tanti aspetti positivi – ci racconta Russo – perché c’è contenuto, una storia importante di territorio e una cultura legata alla produzione di vino del posto, oltre a un aspetto paesaggistico non indifferente e favorevole”.
Quali sono, quindi, gli aspetti che l’hanno portata a realizzare questo pensiero?
“Penso anche alla posizione strategica del paese perché si trova vicino Catania, a due passi dal mare. È una zona comoda e piccola che ha grandi potenzialità per poter lavorare in termini di territorio, contesto e paesaggio”.
Come ha trovato i produttori, durante la sua visita?
“Sono molto consapevoli di ciò che hanno tra le mani. Da poco è stato per esempio inaugurato un wine bar che propone solo etichette dell’Etna. Questo dimostra che anche chi lavora in quella zona riconosce le potenzialità del territorio”.
Cosa manca invece a Milo per fare il grande passo? Su cosa si dovrebbe lavorare?
“Si dovrebbe fare un lavoro di posizionamento”.
Per esempio la zona di Montalcino cos’ha in più?
“In quella zona ci arriva il turista del vino altospendente. Oggi sull’Etna nel versante Est il turista passa, ma per fare lo step bisogna avere un cliente di un certo profilo che voglia andare oltre la conoscenza sporadica. È necessario avere un cliente consumatore che ricerca alternative ai classici”.
I vini dell’Etna possono essere quindi delle alternative?
“Secondo me sì, possono essere valide alternative a classici come il Riesling della Mosella o Chardonnay della Borgogna”.
Quali sono i consigli che si sente di dare per fare questo salto di qualità?
“Ai produttori l’ho già detto: devono essere coraggiosi e fare gli sforzi economici del caso. Stiamo parlando di prodotti che meritano e che possono affrontare il tempo. Il potenziale dell’affinamento è uno dei requisiti della qualità dei grandi vini come Brunello, Barolo, Montalcino”.
E in termini di enoturismo?
“Questo è un altro punto fondamentale. Sarebbe bello che si incrementassero sinergie, senza competizione, con i produttori del versante Nord. Bisogna trovare le competenze adatte perché non ci si può improvvisare in questo settore. E poi sarebbe necessario avere l’aiuto della politica. Ho visto entusiasmo anche da parte dell’amministrazione a voler fare bene ed è positivo, un qualcosa che fa ben sperare”.
Quali altri centri possono concorrere sui grandi Bianchi italiani per diventare come le zone di Montalcino o Barolo?
“Penso la zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi o Tortona con il Timorasso, Soave. Ci sono diversi piccoli centri che possono offrire tanto ai degustatori”.