L’uliveto Sicilia è assetato. Forse come mai. Irrigare adesso non è soltanto una scelta aziendale ma una necessità se ci si vuole difendere dai cambiamenti climatici. La prossima annata olearia in Sicilia si preannuncia piena di incognite per un inverno troppo mite e senza piogge. Bisogna iniziare a rivedere tutto il sistema di coltivazione in molte parti dell’Isola. E poi c’è il tema dei nuovi sistemi intensivi e super intensivi e quello dei prezzi che hanno subito un incremento importante nell’ultimo anno e forse il valore dell’olio di oliva di qualità non scenderà più.
Parla su tutto e di tutto in un’intervista a Cronache di Gusto Tiziano Caruso, docente ordinario di Coltivazioni arboree presso l’Università degli Studi di Palermo e docente di Olivicoltura presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali. Attacca subito Caruso: “In un anno caratterizzato dalla quasi totale assenza di pioggia, l’irrigazione permetterebbe di avere il giusto quantitativo di acqua che si aggira intorno a 1.500 metri cubi distribuiti nell’arco di 12 mesi con una produzione che arriverebbe così da 100 a 140 quintali di olive per ettaro con una certa costanza in un sistema mediamente intensivo”.
Quali sono i vantaggi dell’irrigazione?
“Innanzitutto, la costanza di produzione. Con l’irrigazione evitiamo l’alternarsi di anni più produttivi e meno produttivi nella raccolta delle olive. Inoltre, se irrigo dimezzo il tempo di attesa per la prima produzione. Con alcune varietà dopo tre anni si possono anche avere i primi frutti. Diversamente, in asciutto, bisogna capire quante precipitazioni ci sono durante l’anno, quindi probabilmente verrà impiegato il doppio del tempo per lo stesso risultato”.
Dove dovrebbero essere coltivati gli ulivi?
“Oggi si devono prediligere terreni di collina o di bassa collina. Io sono convinto che bisognerà passare da zone di pianura ad altitudini che raggiungono i 600/900 metri sul livello del mare, dove si troveranno le condizioni climatiche che prima si trovavano in pianura e dove l’olio prodotto è più ricco di polifenoli, quindi più nutriente”.
Come descriverebbe l’andamento climatico di quest’anno?
“La cosa più tragica e devastante è che quella poca pioggia che c’è stata si è verificata al momento della fioritura che è la fase più delicata per l’olivo. Il mese di maggio è diventato il mese più piovoso dell’anno, dunque l’acqua elimina il polline che si deposita sul fiore di olivo e i 30-32 gradi di scirocco che si intervallano alla pioggia, lo disidratano”.
E la quasi totale mancanza di freddo invernale come la dobbiamo valutare?
È proprio questo il motivo che mi fa dire che ci si dovrebbe spostare nell’alta collina. La pianta di olivo da noi ormai cresce sempre, non è come le altre piante in cui si verifica la dormienza e perde le foglie. L’olivo vive la cosiddetta stasi vegetativa quando va incontro alle basse temperature, che qui ormai si sono perse, quindi è come se fosse un individuo indaffarato a lavorare, che non si ferma mai e sotto stress, con tutte le conseguenze del caso. Altro problema poi sono i picchi termici, che addirittura hanno raggiunto i 50° due anni fa, nelle zone di Sciacca”.
In Sicilia gli ettari coltivati ad ulivo sono circa 156 mila. Cosa ci può dire a proposito dei sistemi di impianto e il relativo numero di piante per ettaro?
“Bisogna considerare che tra l’80% e 90% della nostra olivicoltura è di tipo tradizionale, quindi è difficile che vengano superate le 200 piante per ettaro. È molto più comune che arrivino a 150 piante per ettaro, parliamo quindi di circa 22 milioni e mezzo di alberi in totale nella nostra regione. Il problema però non è il numero degli alberi. Questo è solo uno dei parametri, perché sfruttando al massimo anche solo 20.000 ettari e adoperando le tecnologie di oggi, di fatto noi potremmo ottenere la stessa produzione che abbiamo oggi con 150.000 ettari”.
Che tipo ti piante ci sono solitamente in Sicilia a livello di età?
“Un oliveto tradizionale in genere è in asciutto, non irrigato, con piante disetanee (Non coetanee, ndr). Ciò significa che nello stesso appezzamento possiamo trovare piante di un secolo e piante molto più giovani. Questo perché quando in passato sono stati impiantati gli ulivi lo si faceva più che altro per consumo domestico e non si puntava ad un oliveto specializzato. Un esempio rappresentativo di impianto tradizionale è tutta la provincia di Messina, che risulta essere la più olivetata della Sicilia, ma anche quella che produce meno olio, proprio per la tipologia di impianto utilizzato.
Mentre gli oliveti intensivi?
Li possiamo distinguere tre subcategorie: bassa, media e alta densità. Nel caso degli intensivi ad alta densità, infatti, l’impianto si mette in parete, a formare una sorta di siepe, a distanze che possono andare da 4 a 5 metri tra le file e i 2 e 3 metri sulla fila. Il super intensivo rappresenta la terza categoria e quello con le prime varietà note è stato fatto con 1500 piante per ettaro. Oggi sono state selezionate nuove varietà, non autoctone, che vengono da miglioramento genetico con cui si può arrivare anche a circa 3000 piante per ettaro”.
Le varietà che conosciamo si adattano a qualsiasi tipo di impianto? Il diverso tipo di impianto utilizzato determina anche un diverso risultato a livello di qualità e caratteristiche organolettiche?
“Con il sistema tradizionale e intensivo, anche ad alta densità, si possono utilizzare alcune varietà autoctone. Con il super intensivo in questo momento non c’è nessuna varietà italiana autoctona utilizzabile. Oggi possiamo però considerare autoctone quelle che sono state costituite a Bari da miglioramento genetico in croce e selezione che hanno dato vita a delle varietà come la Lecciana e la Oliana. Il problema che io ho messo in evidenza, e che ormai è consolidato, è che ogni varietà si adatta a un particolare sistema di impianto. Non si può, ad esempio, utilizzare la Nocellara del Belice in un sistema intensivo ad alta densità. Partendo dal presupposto che, come dicono gli americani, la qualità è “fitness for use”, ovvero ciò che è adatto all’uso, noi abbiamo appurato che partendo dalla stessa varietà, un tipo di impianto intensivo a bassa, media e alta densità, non determina differenze nell’olio. Questo ovviamente a parità di varietà e quindi di caratteristiche organolettiche”.
L’anno scorso il prezzo dell’olio è arrivato a livelli record. Lei pensa che vi sarà la stessa tendenza anche quest’anno o il prezzo scenderà?
“Ritengo che se anche dovesse scendere il prezzo, lo farà di molto poco, basti pensare alle questioni metereologiche e alla quantità di olio disponibile che non è sufficiente a soddisfare la domanda. In più ho personalmente notato che nonostante l’incremento dei prezzi al litro, il consumatore pur di non rinunciare al prodotto, considerato anche importante nella dieta mediterranea grazie ai suoi effetti positivi sulla salute, è disposto a spendere”.
A un giovane che si avvicina a questo mondo, lei consiglierebbe di investire sull’olio in Sicilia?
“Sì, ovviamente sfruttando l’innovazione e la tecnologia moderna a nostra disposizione e quindi solo a patto che sappia digitalizzarsi innovarsi, e che vengano soprattutto implementate le infrastrutture in agricoltura ovvero l’invaso dell’acqua e le reti informatiche, con cui è possibile fare in maniera mirata il monitoraggio degli insetti, controllare lo stato idrico della pianta, i dati climatici, che risultano fondamentali quando si ha un’azienda con più ettari che si vuole gestire al meglio nel tempo. Oggi l’agricoltura ha fatto molti passi in avanti, il limite più grande sono le infrastrutture, e questa cosa va superata”.
Che tipo di problemi possono essere superati?
“Sappiamo, per esempio, che il nostro problema in Sicilia è l’acqua. Oggi quindi, con l’irrigazione di precisione, si mettono dei sensori nelle piante e in questo modo siamo sempre al corrente di come sta la pianta, di quando e quanta acqua ha bisogno. Nei progetti che stiamo sviluppando, la tracciabilità in campagna è su base sensoristica, ottenuta grazie ad una connessione internet e ovviamente al supporto degli ingegneri informatici. Vent’anni fa utilizzavamo dei sensori costruiti da un’azienda tedesca, installati su un pannello solare e collegati a un ponte radio. I dati venivano mandati in Germania e attraverso un programma brevettato ci dicevano come stava la pianta”.
C’è oggi in Sicilia una zona più vocata dove vale la pena investire o si presta tutta a questo scopo?
“Come dicevo, la nuova olivocoltura siciliana la vedrei in una fascia altimetrica che va dai 600 ai 900 metri, in cui peraltro anche gli insetti verrebbero fermati dalle basse temperature. Questo ovviamente variando le cultivar. La più grande area di pregio è rappresentata dalla Sicilia Sud Occidentale, che va da Sciacca fino a Paceco, e che ha una tradizione olivicola importante e i frantoi di grande capacità lavorativa. Notevoli anche la zona dei Nebrodi, le Madonie, l’Etna e tutte le catene montuose”.
Quante sono le cultivar certificate nel mondo?
“Nella collezione mondiale di Cordova ne sono state certificate circa 700, riconosciute e descritte attraverso analisi del DNA e con una loro carta d’identità. In Italia, di cultivar certificate ne abbiamo 200, di accessioni ve ne sono circa 700, e questo significa sicuramente che abbiamo una grande biodiversità”.