Dopo un 2022 con due acquisizioni importanti e un bilancio che ha risentito della caduta della domanda, il 2023 di Italian wine brands si prospetta come anno di recupero e di razionalizzazione di una società che in 7 anni ha fatto 5 acquisizioni. Oggi il player milanese è il secondo gruppo vinicolo italiano a proprietà privata ed è una delle due società quotate in Borsa (l’altra è Masi Agricola). Nel 2022 il fatturato è stato di 430 milioni di euro (80% all’estero), un Margine operativo lordo di 37 milioni e un utile netto di 14 milioni. La società ha pagato, in termini di redditività, l’impennata di vetro, imballaggi e materia prima oltre che un eccesso di dipendenza dalla Gdo. Oggi si pone il tema del forte rallentamento della domanda dopo lo sprint dei prezzi. Quali sono i rischi? “Per quanto riguarda Italian wine brands – osserva il presidente Alessandro Mutinelli – siamo talmente diversificati in termini di mercati e canali commerciali, che riusciamo a ridurre il rischio di dipendenza da singoli trend di mercato. Quindi, anche in un contesto generale non semplice, guardiamo con ottimismo al futuro, perché stiamo sviluppando un’organizzazione che ci garantirà di essere più competitivi sul mercato e poter servire più clienti ovunque”.
Stati Uniti e vini premium
Recentemente Italian wine brands ha rilevato il controllo dell’importatore americano Enovation Brands e della cantina chiantigiana Barbanera. Con la prima, Iwb è atterrata negli Stati Uniti e, con l’altra, ha messo in portafogli i vini premium. La società opera nel B2c (con 140 tra vini e spumanti) e nel B2b con una netta prevalenza nella Gdo. Vende 180 milioni di bottiglie. Iwb non ha vigneti di proprietà e le uve, acquistate da terzi, sono lavorate nelle 2 cantine di proprietà. Principali azionisti sono Gruppo Pizzolo (14,8%), Provinco (7,1%), Barbanera (6,9%) e Otus (5,7%). Nel 2022 le vendite complessive di vino nella distribuzione moderna hanno perso il 5,4% dei volumi e le bollicine il 5%. Nel primo trimestre del 2023, rispettivamente, il 6,2% e lo 0,5%. “L’inflazione ha colpito in maniera pesante le tasche dei consumatori – sottolinea Mutinelli -, causando una diminuzione delle quantità acquistate, a fronte di prezzi crescenti. Le famiglie si stanno adattando, preferendo prodotti di fascia più bassa o acquistando nei discount. La Gdo in generale soffre anche la voglia delle persone di uscire, con il paradosso che si risparmia sulla spesa, ma si spende molto di più al ristorante. Ma il tema vero del 2023 è: cresceranno i redditi delle persone? Potranno permettersi di acquistare nuovamente quello a cui erano abituati”? Meglio riequilibrare nell’Horeca? “Nel canale Horeca, che tradizionalmente presidiamo nel Regno Unitoe Svizzera, abbiamo concluso degli accordi di distribuzione anche sul mercato domestico. E questa è una novità per Italian wine brands”.
Passepartout
La società milanese è il secondo produttore italiano di Prosecco con 60 milioni di bottiglie su 630 totali. Quale il miglior vino per entrare nell’Horeca? “Senza dubbio il Prosecco – risponde il top manager -, ma le materie prime per produrlo sono aumentate a tal punto da aprire la porta ai vini generici. Anche per questo motivo, secondo le ultime statistiche, il fenomeno Prosecco ha fermato la corsa”. Quanto al grande e ricco mercato americano, Mutinelli osserva che “rimane dinamico, ma forse ora sconta un overstock, costruito nei mesi scorsi, quando c’era un tema di disponibilità di container”. Infine, il cda di Italian wine brands ha deliberato l’acquisto di azioni proprie per 5 milioni di euro da utilizzare per eventuali aggregazioni. Avete qualcosa in vista o non si sa mai? “Non si sa mai” risponde Mutinelli.