Una bella chiacchierata con lo chef Martin Lazarov, questo vi racconteremo dopo una cena impeccabile al Principe di Belludia, il ristorante gourmet de Il San Corrado di Noto, splendido relais immerso nella campagna della provincia siracusana, che lo scorso 11 marzo ha ricevuto il premio “Best in Sicily 2024” come miglior ristorante. Non vi racconteremo dunque del menu magistralmente eseguito, dei piatti equilibrati alla perfezione e mai scontati (ma che potrete ammirare nel carosello di foto qui sotto); così come non vi racconteremo dell’ineccepibile professionalità del servizio in sala capitanato dal mâitre sommelier Benito Scatà. Non vi racconteremo dunque della cena, ma neanche della lussureggiante colazione, delle suite da sogno, del paesaggio da cartolina che circonda la struttura, del silenzio, dei profumi di zagara e gelsomino e di tutto il personale della struttura sempre sorridente e disponibile. Non vi racconteremo nulla di tutto questo perché dopo colazione ci siamo seduti a chiacchierare con il “giovane talentuoso”, come si usa scrivere, executive chef e siamo rimasti impressionati dalla maturità e dalla serena determinazione di questo ventinovenne piemontese dall’aria aristocratica e dallo sguardo diretto e sincero. Una sorta di giovane Holden che però, al contrario del personaggio del romanzo di Salinger, ha le idee molto chiare su quello che desidera dalla vita.
Martin, questa è la tua seconda stagione al San Corrado di Noto. Dov’eri prima?
“Sono stato per un anno e tre mesi lo chef privato di Valentino a Parigi. Non era la carriera a cui aspiravo, ma visto che era una proposta importante, ho accettato con slancio. Prima ancora sono stato al Castello di Guarene, hotel di lusso del circuito Relais & Chateaux, dove ho conosciuto Rita Pili che ne era la direttrice. Rita è una delle persone più importanti della mia vita, il mio mentore, la seguirei in capo al mondo e infatti anche qui siamo insieme. Al Castello ero entrato come secondo, ma dopo appena sei mesi lo chef è andato via e mi hanno chiesto di sostituirlo. A 25 anni diventare executive di un cinque stelle lusso è stata sicuramente una sfida molto stimolante, ma anche non facile. Io provenivo dall’istituto alberghiero, non avevo altra formazione se non quella scolastica, per cui di giorno lavoravo e di notte andavo dal macellaio ad apprendere i tagli della carne, poi passavo dal fornitore del pesce e dai piccoli produttori per imparare cosa c’era dietro ogni prodotto. Dopo quattro anni ho capito che, nonostante fosse stato un bellissimo periodo per la mia carriera, era necessario che mi evolvessi. Avevo sentito che c’era la possibilità di venire qui, per cui sono andato a lavorare con Valentino finché non è stata definita la posizione al San Corrado, dove sono arrivato il 6 gennaio 2023.
E qui hai ritrovato Rita Pili…
“Sì e mi sono anche sentito da subito a casa perché ero già stato qui durante il Covid, ospite di Rita e del proprietario, Paolo Gionfriddo. Il rapporto che ho con loro va oltre l’ambito lavorativo. Io ammiro Rita moltissimo, lei ha creduto in me da subito, mi ha sempre dato consigli preziosi, è il mio punto di riferimento, perciò io ambisco davvero a forgiarmi “a sua immagine e somiglianza””.
Che bell’attestato di stima! Abbiamo capito che Rita Pili è la tua guida, ma in cucina chi ti ha guidato?
“In realtà non ho avuto un maestro perché sin dall’inizio mi sono ritrovato a ricoprire ruoli di grande responsabilità e, anche quando avrei potuto, ho scelto di non andare a lavorare da uno stellato perché volevo mantenere il mio pensiero, con estremo rispetto verso il lavoro dei colleghi, senza essere riconosciuto come lo chef “di”. Per fortuna sono molto curioso per cui studio tantissimo, guardo, cerco di capire, vado in tantissimi ristoranti. Ultimamente sono stato al Noma di Copenaghen ed è stata l’esperienza più formante della mia vita. Mi ha sbloccato alcuni concetti su cui non avevo mai riflettuto, perché io tecnicamente sono molto classico, provengo dalla scuola francese, ma personalmente mi piace molto lo stile contemporaneo e le contaminazioni con le cucine del mondo. In Italia mi piacciono Gaetano Trovato ed Enrico Bartolini, di loro e di tanti altri cerco di studiare i percorsi di crescita, ma restando fedele a me stesso perché il mio fine è quello di trasmettere il mio concetto di lavoro”.
E qual è il tuo concetto, se lo dovessi spiegare in poche parole?
“Userei le parole dedizione, passione, amore, cura, ma soprattutto felicità, perché io veramente vorrei trasmettere la mia felicità. E poi gioco, inteso come giocare con l’ospite in sala facendogli sperimentare tutti e cinque i sensi e coinvolgendo la sala nel servizio, attraverso il completamento o addirittura la preparazione di alcune portate al tavolo. E infine rigore: per me pulizia, ordine e attenzione nei confronti di ogni singolo dettaglio sono fondamentali”.
Com’è lavorare al San Corrado?
“Lo adoro. Quando sono arrivato era un po’ tutto da ricostruire in cucina, a cominciare dalla nuova brigata. Oggi, tra il Principe di Belludia, l’osteria Casa pasta e il beach club, il personale è composto da 28 elementi in cucina e 16 in sala. La nostra grande fortuna è che l’azienda è molto sana e crede davvero nel nostro progetto, per cui ci appoggia in tutto e ci fornisce tutto quello che ci occorre. Tutti noi viviamo questo posto come se fosse casa nostra; i ragazzi in cucina hanno sposato la mia filosofia che è quella che mi ha insegnato Rita: essere chef di albergo e quindi essere sempre presenti, sin dalla colazione in modo da conoscere l’ospite dal mattino, sapere come si comporta, i suoi gusti, le sue aspettative. I ragazzi vivono il posto come se fossero anche loro nella mia posizione e questa è una vittoria immensa, per quanto mi riguarda. Io davvero non manco mai perché sono sempre qui, dalle otto del mattino a mezzanotte tutti i giorni, anche solo per supporto, anche se sono in ufficio o provo piatti nuovi. E anche loro, a loro volta, vedendo ciò, sono sempre presenti e questo ci rende molto più forti. Sono contento che condividano questo senso di appartenenza. C’è anche un bellissimo rapporto con la sala, Benito è il mio punto di riferimento, noi lavoriamo insieme, c’è armonia, non ci sono mai discussioni. C’è un problema? Lo risolviamo insieme. Sono fortunato”.
Fortunato ma anche bravo, perché evidentemente sai trasmettere questo tuo sentire e i tuoi valori…
“Secondo me se sei innamorato di quello che fai, è automatico: la felicità si contagia. In più i ragazzi sanno che l’azienda investe su di loro: offre loro corsi di formazione, li porta a visitare i produttori, fornisce consulenti importanti, assume tanto personale e, siccome siamo stagionali, dà loro la possibilità di poter crescere anche nei tre mesi e mezzo in cui il relais è chiuso mandandoli a fare stage nelle altre strutture del circuito Relais & Chateaux. Il fatto di investire su di loro significa fargli capire che sono tutti importanti, dal lavapiatti al pasticciere, e che sono parti essenziali del progetto. Rincorriamo i nostri obiettivi insieme perché veramente per noi l’idea è di salire su qualsiasi palco tutti insieme. Io non voglio prendere il merito di nessuno di loro, sono al loro fianco perché cerco di accompagnarli nel loro percorso, però voglio che abbiano la possibilità di essere premiati per il loro lavoro”.
E il territorio come ti ha accolto?
“Sono sempre stato nelle Langhe perché sono di Alba. Lì c’è un’alta concentrazione di ristoranti e quindi c’è una sorta di competizione sana, ma anche una buona rete e la rete dà valore al territorio tutto. Mi sarebbe piaciuto trovare anche qui una situazione simile. Per fortuna ho tanto personale del territorio che mi dà supporto, ma all’inizio avrei desiderato conoscere colleghi che mi dessero il “benvenuto” facendomi anche da guide del territorio. Personalmente, ho girato tanti ristoranti della zona, sono stato felice di conoscere i colleghi e vorrei che anche loro venissero da noi. Ma io so che i siciliani sono ospitali per indole e questo si sposa col mio concetto di famiglia, quindi so che accadrà. Ho avuto già il piacere di conoscere Corrado Assenza, viene spesso e ha un bellissimo rapporto con la proprietà e con la direzione. È una persona che stimo da ancor prima di conoscerlo, famoso in tutto il mondo e infatti tanti vengono proprio per lui, per cui è una “meta”, ci rende orgogliosi, è Noto. Una persona amabile, umile, semplice, e la gente lo ammira per questo. In fondo, tutti noi, chef, pasticcieri, produttori, siamo artigiani che cercano di fare le cose nel miglior modo possibile, puntando sulla qualità e cercando la materia prima migliore. Se l’ospite ce lo riconosce, l’ospite ci segue. Ma questo non vuol dire che dobbiamo cambiare la nostra attitudine, perché l’ospite ci segue esattamente per quelli che siamo, per cui cambiare il nostro atteggiamento verso l’ospite stesso o, peggio, verso i dipendenti credo sia anche ridicolo. Perché non è necessario. Bisogna rimanere genuini. Ci sono cose che non si devono perdere, come domandare a chi lavora con te “come stai?”, o interessarsi se si vede qualcuno in difficoltà. Sono cose importanti e semplici, perché cosa c’è di più semplice che volere bene a chi ti circonda e ai tuoi collaboratori”?