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L'intervista

L’evoluzione della cucina di Elia Russo a Villa Neri: “Ricerca costante sulle materie prime”

04 Luglio 2024
Elia Russo Elia Russo

Siamo stati al ristorante Dodici fontane, all’interno del Villa Neri Etna Resort & Spa di Linguaglossa, sul versante nord dell’Etna, e abbiamo trovato una grande maturità nei piatti di Elia Russo, executive chef della struttura. Lo diciamo da suoi fan, lo ammettiamo, visto che già nel 2019 avevamo ravvisato un talento in via di sviluppo, tanto da attribuirgli il Best in Sicily come miglior ristorante proprio quell’anno. Oggi Elia ha una consapevolezza da chef adulto, sebbene la sua giovane età, che emerge netta nei suoi pensieri durante la chiacchierata che abbiamo fatto con lui al termine di una cena davvero notevole, i cui piatti si possono ammirare in foto in coda all’articolo”.

A noi risulta molto evidente, ma riconosci anche tu che la tua cucina si è evoluta tanto in questi anni?
“Provengo dalla scuola di Mantarro e poi ho lavorato anche con Gennaro Esposito, ma finalmente adesso credo che nei miei piatti ci sia la mia personale impronta, senza richiami ad altre mani. Quindi sì, mi rendo conto che la mia cucina si è evoluta soprattutto negli ultimi quattro anni e questa evoluzione è frutto di un continuo lavoro di ricerca e di studio. La ricerca riguarda la materia prima, con un focus sul territorio di prossimità. Lo studio è anche attinente al territorio, soprattutto dal punto di vista storico e culturale, ma riguarda in particolar modo la tecnica, prediligendo quella che permette l’alleggerimento delle preparazioni. In cucina siamo in sette e lavoriamo sempre insieme. Generalmente io sono quello che dà l’input, ma i ragazzi sono sempre sul pezzo, pronti a recepire la mia intenzione e al contempo dandomi il loro punto di vista creando un confronto stimolante. A volte, specie con quelli che sono con me da più anni, come Giovanni Torrisi o Salvo Di Mauro, succede che mi aiutino a rimanere saldo al suolo, in particolare quando io spingo per andare troppo oltre seguendo la mia fantasia. Oggi la mia cucina vuole essere diretta, vuole semplificare il gusto per renderlo preciso e pulito. Studio le diverse tipologie di cottura, ma anche le preparazioni, al fine di lavorare gli ingredienti nel modo più “giusto”, meno invasivo”.

Cosa intendi per studio, quello sui libri o quello esperienziale?
“Entrambi. Leggo moltissimo, sono curioso per natura, ma prediligo lo studio pratico quindi la sperimentazione. Ho la fortuna di avere un’intera stagione in cui la struttura chiude e io posso viaggiare e questa fortuna la sfrutto ogni anno. Vado fuori dalla Sicilia, investo tempo e denaro per crescere culturalmente, ampliare il mio bagaglio, scoprire prodotti nuovi. Faccio un esempio: nel mio menu c’è un’ostrica Gillardeau con bernese di zucca, caviale e sommacco siciliano. Ecco, il sommacco è una new entry nella mia cucina e, nel caso specifico, è l’ingrediente perfetto per esaltare il piatto grazie alla sua nota acida che smorza la dolcezza della zucca e, al tempo stesso, esalta la salinità e l’umami dell’ostrica. Inoltre visito altre cucine, sperimento differenti tipologie di piatti. Una cucina che ho amato molto per la sua semplicità e schiettezza, forse perché la trovo molto in linea con il mio pensiero, è quella di Michele Cobuzzi, executive chef di Enrico Bartolini nel duplice progetto Anima e Vertigo, rispettivamente ristorante e osteria contemporanea all’interno dell’hotel Milano Verticale. Un’altra esperienza per me formante è stata quella da Franco Pepe che utilizza molte spezie nei suoi impasti. Posso dire che questi sono stati due momenti che hanno lasciato un’impronta in me”.

A noi è piaciuto molto il tuo “Seppia, foie gras e mandorla”, ma qual è il tuo piatto preferito e quello più apprezzato dai clienti?
“Il mio è il cosciotto di coniglio porchettato col suo fondo piccante, tartufo e polvere di capperi. Un piatto di grande impatto a livello gustativo. Mi fa piacere che capiti spesso che i clienti che si fermano più a lungo e lo assaggiano in degustazione, in seguito lo scelgano alla carta in porzione normale. Anche qui c’è tanta sperimentazione dietro per ottenere una carne tenera e sugosa, perché un grado in più o uno in meno fanno davvero la differenza, fermo restando che il merito principale va alla materia prima da cui molto dipende la consistenza finale. Per quanto riguarda invece i clienti, senza dubbio un piatto che mediamente sorprende è il risotto al nerello mascalese, un vino che tra l’altro la proprietà produce con molto successo, per cui avevo proprio il desiderio di utilizzare questo prodotto eccezionale. La gente si avvicina titubante perché non tutti conoscono la versatilità del vino e un riso al vino rosso per loro è abbastanza inusuale. La bella sorpresa per loro, dunque, sta anche nello scoprire il vino sotto un altro aspetto, valorizzandolo così nel bicchiere e nel cibo. Nel piatto si trova sia come liquido di cottura, che come guarnizione in forma di riduzione, quasi un caramello. A completamento del piatto salsa di yogurt che regala acidità e salsa di noci con le sue note astringenti. Un piatto talmente gradito dal pubblico che non toglieremo dal menu nemmeno quando, tra qualche giorno, introdurremo la carta in versione estiva”.

Che rapporto hai con la famiglia Neri, proprietaria del resort e dell’azienda vitivinicola omonima?
“Un rapporto di grande stima che va avanti da dieci anni. Potrei dire che siamo cresciuti insieme in questo periodo perché loro venivano da un altro ambito e hanno costruito questa splendida realtà e io ero molto giovane e ho imparato tantissimo dalla mia esperienza qui. Ovviamente può capitare che ci siano visioni diverse in alcuni ambiti, ma devo riconoscere loro che mi hanno sempre dato carta bianca e hanno sempre creduto in me. Se oggi abbiamo raggiunto questi risultati così soddisfacenti, si deve senza dubbio a questa unione reciproca. Abbiamo fatto tanta strada insieme e continuiamo a farne. E per me è un piacere”.

Stesso sentiment anche da parte di Santo Neri, appartenente all’ultima generazione della famiglia Neri: “Con Elia abbiamo un rapporto molto bello di stima reciproca. Condividiamo obiettivi comuni e si crea sempre un confronto molto costruttivo nel rispetto dei ruoli e delle persone, anche quando non condividiamo le stesse visioni. Alla fine, volendo fare un parallelo col mondo del calcio visto che per ora ci sono gli europei, Elia è il grande campione della nostra squadra. Sta a noi metterlo nelle condizioni di potersi esprimere al meglio e da parte nostra c’è totale disponibilità. Ecco, per proseguire con la metafora calcistica, Elia è il fantasista di casa. Per me che tifo Milan, è il nostro Rafael Leão”.