di Dario La Rosa
Se c’è una persona che negli ultimi anni è riuscita a mettere il timbro del Made in Italy di qualità nel mondo e a dare una precisa faccia identitaria a chi di agroalimentare vive, grazie ai prodotti della terra, questa porta il suo nome.
Proprietario di aziende vinicole sparse per lo Stivale, scrittore e, ultimo ma non ultimo, patron di Eataly, ecco a voi Oscar Farinetti.
Ci dica delle sue vacanze, la immaginiamo a tavola, attorniato dai tanti prodotti di qualità che si trovano nei suoi scaffali…
“Ho una casetta in Francia, in Costa Azzurra e sono stato lì ben diciassette giorni, forse le più lunghe vacanze da molti anni a oggi. Ho letto molto, scritto altrettanto e mi sono dedicato a qualche giro in barchetta. Grazie alla barca ho finalmente capito perché la Costa Azzurra si chiama così, ma lo avevano capito anche i grandi pittori che ne hanno dipinto le acque. Siamo stati per lo più in famiglia, con moglie e figli. A Ferragosto abbiamo organizzato come da tradizione un gran pranzo con tutti gli amici. Pranzo fatto in casa con prodotti naturali, ben inteso; diciassette portate di cose semplici: acciughe, salame fatto in Friuli da maiali allevati bene, le penne lisce con la colatura di alici e via dicendo. Il tutto accompagnato da vini italiani bio”.
Il vino ci interessa in modo particolare. Come trova lo stato di salute di quello italiano?
“Il vino sta molto bene e viaggia a gonfie vele. All’estero si sta vendendo molto, i consumatori li vogliono bio e di qualità. Anche la grande distribuzione va bene. Non possiamo lamentarci. Per quanto riguarda i grandi premium come il Barolo, l’Etna rosso, il Chianti Classico Riserva possiamo dire che di bottiglie ce ne sono poche, sono quasi tutte vendute. Forse quello attuale è uno dei momenti più belli per quanto riguarda le vendite del vino italiano”.
Oggi si stappa, potremmo dire. Però domani? C’è qualcosa di cui ci si deve iniziare a preoccupare?
“Il futuro è senza però, perché il più è da fare. L’agroalimentare è in crescita, la domanda spontanea di prodotti italiani in tutto il mondo è già di per sé un fatto straordinario. Quando ho iniziato a Eataly i numeri di oggi li sognavamo. Abbiamo superato i 50 miliardi di esportazione, ma la cifra si può aumentare. Si deve lavorare all’aumento del prezzo unito alla qualità. Non vedo grandi problemi perché questo accada, ma al contrario la possibilità di accelerare il processo per arrivare a quota 100 miliardi di export cibi di qualità. Il vino può dare una grande spinta. Dobbiamo fare in fretta, ma dobbiamo anche darci una vera identità. Oggi questa identità è il vino bio. Se potessi obbligherei tutti i produttori di vino, in tre o quattro anni, a uniformarsi al regime del biologico e puntare su questo. La vite è facile da coltivare rispetto ad altri prodotti della terra e come conduzione, anche in bio, non arreca grandi problemi. L’altro tipo di identità su cui si dovrebbe puntare è il terroir, ma in questo i francesi sono stati più bravi. Dobbiamo lavorare sul vino pulito. Sarebbe una bomba mondiale. Mi piacerebbe che si istituisse un istituto di certificazione pubblico e serio per seguire le aziende in questo senso. Questo vuol dire: banditi i concimi chimici e gli additivi, non si dovrebbero usare neanche i lieviti. Con il bio quelli naturali vanno benissimo. Ci possiamo riuscire in pochi anni se vogliamo, da tre a cinque. Ma occorre crederci”.
Visto che abbiamo parlato di futuro non possiamo non mettere Eataly nel piatto. Che ne sarà di questo mega progetto? Il futuro la vedrà ancora protagonista?
“Anche Eataly avrà un futuro meraviglioso. È condannato ad aprire in tutto il mondo, siamo già in 17 Paesi. Abbiamo la fortuna di essere italiani e di rappresentare questa faccia. La famiglia Farinetti sarà presente sempre, non usciremo mai da Eataly. L’interesse familiare nell’agroalimentare si è concentrato sul vino, che richiede cura e tempo. Mi è chiaro che il mestiere personale sarà più nella direzione del vino ma con almeno un piede nel mondo Eataly, mio o dei miei familiari”.
L’idea dell’ente statale di certificazione per il vino biologico comporta un passo nella politica. Pensava di dover votare adesso per la formazione del nuovo Governo?
“Spero fortemente che vincano degli interlocutori attenti. Non ho troppa fiducia perché ormai da decine di anni si fa propaganda e non politica. Mi auguro che non vinca un’idea di chiusura e sovranista. Dobbiamo comprendere che noi italiani siamo condannati a vendere bellezza, quindi dobbiamo star simpatici a tutti. Non possiamo pensare di dire “mangiamo solo italiano, ma dovete comprare tutto dall’Italia”. Per il resto non so ancora per chi voterò. Il futuro deve mirare a raddoppiare turisti ed export. Dobbiamo essere collegati col mondo. I problemi e le emergenze ormai sono mondiali, non possono più essere affrontati a livello nazionale, vanno risolti in armonia con gli altri”.
Torniamo a temi più estivi, prima di lasciarci. Ci diceva di parecchie letture e scritture. Che bolle in pentola? Che libri le hanno tenuto compagnia sul comodino?
“Il 28 settembre esce il mio “È nata prima la gallina… forse”, sono cinquantadue racconti in cui mi confronto con la narrativa sull’ottimismo. In estate ho riletto molto le bozze per il visto si stampi. Sul comodino invece ho avuto due compagni. Ho letto “I Buddenbrook, decadenza di una famiglia “di Thomas Mann e poi ho riletto “I vagabondi” di Olga Tokarczuki. Lo avevo già letto ma adesso l’ho ripreso perché queste letture mi servono molto per imparare a scrivere meglio”.
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