di Dario La Rosa
Quando pensi al vino e alle passioni che esso riesce a trasmettere, è d’obbligo andare in Toscana.
Terra di grandi viticoltori e grandi vini, proprio come il Brunello di Montalcino. Fabrizio Bindocci è l’amministratore delegato de Il Poggione cantina di riferimento di questo grande terroir del vino italiano e presidente del consorzio di tutela del Brunello.
Ci racconti prima di tutto la sua estate Toscana…
“La mia estate è stata principalmente al lavoro. Andrò in vacanza con la famiglia tra qualche giorno. Sono diventato nonno e accompagnerò figlia e nipoti al mare. Non mi sono mosso molto anche perché è stata un’annata un po’ difficile a causa del clima e del maltempo e ho preferito restare sul ponte di comando a controllare gli eventi”.
Maltempo, appunto. Parliamo di come si sta evolvendo la situazione
“Fortunatamente non abbiamo avuto problemi grossi. Nel comune di Montalcino abbiamo avuto tre o quattro piogge che per fortuna non hanno superato i 50 millimetri e che stanno facendo la differenza in termini di qualità delle uve. Ho visto scenari da paura in tv, quindi occorre sempre stare all’erta e sperare nel bene. Pioggia come quella che abbiamo avuto porta invece l’uva a maturazione. Abbiamo avuto fino a 38 gradi ma con una bella escursione termica. Le piogge hanno mitigato e migliorato l’andamento della vendemmia che verrà”.
Ce ne parli, che Brunello di Montalcino verrà fuori da questa annata?
“Ancora è un po’ presto. Non ho la sfera di cristallo. La qualità è buona, la quantità vedremo, ma qui a Montalcino la quantità interessa poco perché cerchiamo la qualità. Ci sarà meno uva ed è anche stato abbassato il disciplinare quantitativo da 8 mila chili a 7 mila chili per ettaro. Un segnale che va nella direzione di una qualità sempre più elevata e garantita”.
Questo spiega anche il grandissimo interesse verso le terre che stanno intorno a Montalcino. Ci racconti, chi sono e da dove vengono i milionari che provano a investire lì?
“Non ci sono tante aziende in vendita, quando capita ci sono gruppi e cordate internazionali intenzionate a prendere le redini. La richiesta è altissima ma la verità è che in vendita c’è poco o nulla. A volte capita che qualche ettaro venga ceduto per implementare qualche azienda. Si tratta di passaggi occasionali. Chi ha si tiene tutto stretto perché devi lavorare ma la nostra terra è fonte di redditi importanti”.
Redditi importanti a fronte anche di prezzi che sono elevati o comunque in crescita. Pensa che il Brunello diventerà nel tempo un vino per pochi?
“Il Brunello in realtà è un vino per tutti. Ci sono ottime bottiglie anche a 40 euro. Nella grande distribuzione, poi, troviamo bottiglie meno care la cui qualità è comunque garantita. Nel 2015 o 2016 ci sono state annate blasonate che hanno fatto salire il prezzo. Cerchiamo comunque di non inflazionare il mercato ma di mantenerci su prezzi che salgono in maniera controllata. Potremo tutti bere buone bottiglie di Brunello senza fare mutui. Occorre considerare che fare qualità a un vino che invecchia cinque anni comunque ha dei costi non indifferenti, ma dobbiamo essere fiduciosi”.
Abbiamo parlato solo di lavoro, ci racconti le sue giornate allora…
“Purtroppo sono una macchina da lavoro, sto sempre in campagna, anche oggi dopo la pioggia. Mi piace leggere ma anche stare molto con la famiglia. Stare a piedi scalzi sull’erba o ascoltare musica sono grandi piaceri. Adesso il piacere è il nuovo nipote”.
Sarà dunque il futuro capitano de Il Poggione?
“Me lo auguro. Montalcino è un territorio solo agricolo, il Brunello è stata la fortuna del territorio. Il tutto grazie alla lungimiranza di un sindaco che decise negli anni Sessanta di non aprire alle industrie”.
Ci racconti dell’azienda, in che direzione va? A cosa mira adesso? Quali sono i progetti sul tavolo?
“L’azienda sa da sempre che i grandi vini rossi si producono nel vigneto e non in cantina. È l’agricoltore l’artefice della qualità e non l’enologo che deve solo sovrintendere i processi di lavorazione e fermentazione delle uve e seguire l’affinamento fino alla messa in bottiglia. Siamo sempre stati attenti al territorio curando i terreni, nella convinzione di lasciare quanto ricevuto dai nostri avi in condizioni migliori. Per questo sono anni che non usiamo concimi chimici, pratichiamo un biologico non ufficializzato e dal 2023 inizieremo il percorso per la certificazione bio”.
I rapporti con la famiglia Franceschi, rispetto a Il Poggione?
“La famiglia Franceschi è proprietaria delle tenute Il Poggione dal 1890: oggi ci sono Leopoldo e Livia ma poi verranno i figli. Una famiglia che ha sempre creduto nell’agricoltura. Abbiamo sempre condiviso il percorso che ci ha portati dove siamo arrivati senza cercare compromessi. La famiglia Bindocci, invece, ha lavorato da sempre per i Franceschi. Mio nonno e il mio babbo erano contadini. Poi io ho fatto una bella gavetta ricca di soddisfazioni, fino a diventare l’amministratore de Il Poggione”.
Ci racconti qualche altra curiosità legata alla sua attività
“Posso dirvi che verrò in Sicilia, a Taormina Gourmet, ma ne approfitterò anche per visitare alcune aziende dell’Etna all’interno delle quali vorrei anche vendemmiare in prima persona. Voglio stare tra i filari per sentire l’uva e assaggiarla sulla vite. Ho da tempo questo sogno. Abbino l’utile al dilettevole. Anche perché sull’Etna ci sono grandi vini e grandi vignaioli”.
L’ESTATE DI FRANCESCO LIANTONIO>