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L'intervista

L’estate di… Armando Castagno: bere Borgogna con poco e i miei vini del cuore…

12 Agosto 2022
Armando Castagno nel suo buen retiro estivo a Menfi Armando Castagno nel suo buen retiro estivo a Menfi

di Dario La Rosa

Quando hai una passione che ti fa battere il cuore, c’è poco da fare, quella casca giù a valanga trascinando chi si trova lungo il suo percorso.

Succede, ad esempio, se parli con Armando Castagno, non solo luminare, ma sincero amante di quel nettare che gli dei hanno voluto si chiamasse vino. Autore di una vera e propria opera monumentale relativa alla Borgogna e di tante altre pubblicazioni che parlano di vino ma anche e soprattutto di territori e delle loro meraviglie nascoste dietro ad un sapore, Armando è tra quelli che il vino lo rendono una cosa seria, ma anche dinamico e piena di sorprese.

La sua estate… vitigni e cantine o mare e relax?
“La mia estate inizia tardi perché sono operativo con corsi e lezioni fino a metà luglio. Poi mi prendo del tempo per stare a Roma, la mia città. Agosto lo passo preferibilmente in Sicilia. Faccio la cosa che mi piace di più ovvero leggere, fra campagna e mare. Amo frequentare le spiagge di Menfi e del suo litorale, ma anche il paese stesso, la sua gente”.

Ad occhio e croce anche guardare vigneti.
“Si, ho vigneti e uliveti in ogni direzione. L’occhio ci va, ma riesco comunque a staccarmi dalla mia dimensione lavorativa. Poi ci sono tante cose da vedere nei dintorni, quindi con la mia famiglia giriamo di continuo. Le vigne torno a guardarle con l’occhio di sempre a partire da inizio settembre”.

Accennava alle letture, cosa sta leggendo?
“Amo leggere veramente di tutto. Mi sono portato in vacanza otto libri e sto finendo il terzo. Ho portato due autobiografie leggere, una di Bruno Conti e una di Ligabue, scoprendo solo ora che sono nati entrambi il 13 marzo. Poi un giallo di Gianni Mura, un libro di arte di Ernst Gombrich, uno sulla lingua italiana che si intitola “Il libro delle parole altrimenti smarrite”; l’ultimo di Woody Allen, un romanzo breve di Enrico Brizzi…”

Dalla lettura alla scrittura il passo è breve. Dopo “l’enciclopedia” sulla Borgogna, cosa bolle in pentola sotto il profilo editoriale?
“Due libri in uscita. Uno sul comune di Castellina in Chianti, pronto a fine novembre, e che rispetto all’atlante racconta per così dire il territorio “abitato”, considerandone anche la componente antropologica. Un’idea venuta dai vignaioli stessi di Castellina; nel volume, racconto i luoghi e le loro vicende dal punto di vista umano, non solo aziendale. Lascio che i vignaioli si raccontino come meglio sentono. Il secondo progetto è in cantiere per Slow Food Editore. Un libro con le bellissime foto di Clay McLachlan e testi miei, che si intitola “Alle radici del Barolo”. Una specie di diario di viaggio, che rende conto della visita a dieci monumenti del vino di Langa e d’italia, come Fratelli Alessandria, Marcarini, Oddero, Burlotto, Rocche Costamagna, Cordero di Montezemolo, Borgogno, Marchesi di Barolo, Fontanafredda, Fracassi. Il prossimo anno invece lavorerò a un atlante dei vigneti del Barbaresco, nello stile del volume sulla Borgogna cioè molto testuale e rigoroso, per lo stesso editore, Paolo Buongiorno. Saranno circa 500-600 pagine, pronte alla fine del 2024.

Torniamo al vino e a quello francese… Si può bere Borgogna senza svenarsi?
“Certo che sì, anzi, ci sono cantine con rapporti qualità prezzo incredibili. L’importante è comprendere il luogo, capire che non c’è talento solo in alcuni centri sulla bocca di tutti, Gevrey, Vosne-Romanée o Volnay. La Borgogna è un territorio vastissimo con tante isole di grande vocazione e si possono fare veri e propri affari”.

Ma come scegliere se ci si vuole approcciare?
“La cosa migliore è sperimentare, la facilità con la quale si può comprare on line aiuta. Puoi anche sbagliare ma, in un certo senso, col paracadute. Penso a certi Bourgogne Aligoté ad esempio; se ne trovano di ottimi a meno di 10 euro a scaffale, o a certi Bourgogne-Hautes Côtes de Beaune rossi, a poco di più”.

Ci dica cosa beve in estate.
“In genere faccio un unico acquisto e lo faccio spedire qui in Sicilia. Ampia prevalenza di bianchi, ovviamente, ma un po’ di tutto come provenienza: Loira, Rodano, Borgogna minore, Provenza, Sud-Ovest, Jura, Campania, Marche, Germania, Liguria, eccetera”.

Tre vini del cuore non francesi?
“Il Fiano di Avellino è il mio bianco del cervello più che del cuore, penso sia una denominazione di livello mondiale ancora non da tutti percepita come tale. Forse fra i rossi è il Dolceacqua, che è anche uno dei più “francesi” come stile; ma ce ne sono troppi per sceglierne solo uno. Molti miei amici sanno che ho una vera passione per il Marsala, che considero la denominazione di origine più importante del paese insieme al Barolo, ma che se la passa male assai. Pochi produttori e soprattutto pochissimo appeal tra i giovani che aprono nuove aziende nel territorio, e che producono tutto tranne che il Marsala. Che invece io penso abbia una potenzialità spaventosa, anche con il disciplinare che ha, che obbliga alla fortificazione; è un vino che andrebbe ripensato, certo, ma non abbandonato”.

Visto che ci passa le vacanze, che ci dice della Sicilia?
“Sono un fan del Cerasuolo di Vittoria, che fuori regione trovo un po’ sottovalutato; secondo me è un grande rosso, con il problema di essere irresistibile da bere e agile di struttura, cosicché i grandi guru del vino mondiale sembrano avere qualche perplessità a collocarlo dove merita, cioè per me molto in alto. Ma nell’isola ci sono molte aree di eccezionale pregio qualitativo, praticamente in ogni provincia. E segnalerei anche uno dei movimenti più dinamici d’Italia in tema di vini cosiddetti “naturali”, diversi dei quali ho trovato di grande fascino, fattura competente, originalità e piena attendibilità territoriale e varietale; vorrei fare i nomi di aziende come La Chiusa, Virà, Antonio Gerardi, Stanza Terrena, Midia, Giuseppe Cipolla”.

Ecco le guide… hanno ancora un senso, vista la pressione dei social? E, in questo senso, come avvicinare i millennials al mondo del vino di qualità?
“Si è talmente persa l’abitudine alla lettura che non sai più quando hai in mano una guida o una sorta di depliant pubblicitario, questa è la verità. È vero che svariati editori, alle prese con vendite in calo costante e drammatico, si sono trovati costretti, pur di tenere il prodotto in vita, a scendere a compromessi con la produzione, e quindi il lettore si è visto un po’ abbandonato; è altresì innegabile che il lettore stesso abbia in massa abbandonato l’editoria, preferendo altri mezzo di informazione gratuiti, essenzialmente quelli disponibili in rete. Si è innescato un circolo vizioso; in pochi sono oggi disposti a pagare per un parere autorevole e realmente indipendente, perché questo viene sovente percepito come soggettivo, autoriferito, opinabile e finanche insidioso per – diciamo così – eccesso di promiscuità con l’oggetto della critica”.

Chiudiamo parlando di ciò che sarà. Come vede questa vendemmia e il futuro del vino?
“La vendemmia? È ancora presto per parlarne, siamo prima di Ferragosto. Ho letto di una probabile, forte contrazione quantitativa, e per quel che osservo in giro ci vuole coraggio ad essere ottimisti anche sulla qualità. Del resto non è più possibile ignorare il campanello d’allarme delle stagioni che cambiano. Come moltissimi viticoltori che conosco sanno bene, credo occorra iniziare a elaborare strategie che partano dalla campagna, non dalla cantina: sarà fatale imparare a riadattare alla situazione climatica di oggi i sesti d’impianto, i portainnesti, le potature, le varietà, le esposizioni. Ossia, in pratica, aggiornare un’ulteriore volta i disciplinari di produzione, perché ce ne sono di letteralmente fuori dal mondo e dai tempi, e certo non solo in Italia”.

LEGGI QUI L’ESTATE DI WALTER MASSA> 

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