di Francesca Landolina
Continuiamo a parlare di Etna con Andrea Farinetti della cantina Carranco, che sta dando un grande contributo per far conoscere i vini del Vulcano nel mondo.
La storia di Carranco è recente. Nata nel 2018, quando Oscar Farinetti, papà di Andrea e patron di Eataly, ha rilevato un’azienda agricola in contrada Carranco a Castiglione di Sicilia, condividendo la scommessa etnea con un altro imprenditore di successo, Francesco Tornatore. Con Andrea parliamo di Etna e condividiamo i recenti risultati di una delle più belle sfide per un imprenditore con la passione del vino. “L’Etna sta in forma – racconta Andrea – Siamo davanti ad un territorio relativamente giovane e con tanto da dare, straordinario ed unico. Un territorio che, come altri nel mondo, ha accusato il colpo del blocco del Covid-19, ma credo che si stia già riprendendo e che si riprenderà velocemente”.
Tanto da dire sull’esperienza Carranco, ad un anno dal lancio dei primi vini. “C’è tanto da raccontare. La bellezza del lato umano, innanzitutto. La partnership con Tornatore ci permette di conoscere la gente del luogo, le persone ed è una crescita culturale per noi. Passato poco tempo dalla nascita dei primi vini, i riscontri sono entusiasmanti – afferma Andrea – Abbiamo cominciato benissimo con il lancio di giugno dello scorso anno. Un grande inizio c’è stato anche a gennaio e a febbraio. Con la riapertura del mercato Horeca, tra giugno e luglio, abbiamo già avuto risultati pazzeschi soprattutto con l’Etna Bianco. L’esperienza si racconta passo dopo passo, ciò che conta è l’investimento culturale, il rimettersi in gioco, a lungo termine. Per conoscere appieno quello che si fa, del resto, bisogna mettersi al passo con i tempi della natura”. Si trovano analogie con il territorio delle Langhe. “Tante, ma non nel gusto – spiega Farinetti – Analogie territoriali, sulle altitudini, sul clima. Quando pensi all’Etna non devi pensare alla Sicilia. Ci sono analogie sulla qualità e sulla biodiversità del terreno. Analogie sulla coltivazione del monovitigno. Nel gusto non farei paragoni, perché è un gusto a sé”.
Ma per quanto riguarda L’Etna, non ha dubbi sul suo futuro. “Futuro da vini grandiosi a prezzi alti per fare il grande vino della Sicilia – dice – Non vedo un Etna nei mercati cheap, ma un’Etna che ha bisogno di essere narrato, che si prende quel palcoscenico mondiale che solo poche denominazioni sono riuscite a conquistarsi. Negli ultimi decenni se l’Etna ha avuto successo è accaduto perché sono state fatte cose giuste. Chiaro è che non bisogna pensarsi arrivati. Si è al primo step. L’ultimo scalino, sempre, è il più difficile, perché bisogna lavorare sulle sfumature. Mantenere la costanza della qualità”.
Su cosa lavorare dunque per raggiungere e consolidare il successo? “Bisogna lavorare sulla ricerca della sfumatura, lavorare sul creare nuovi gusti e nuovi vini di Contrade, sui Cru, per accrescere il valore del vino. Non c’è qualcosa da cambiare. Bisogna solo dare uno sguardo al mondo e raccontare. Partendo da un punto di forza unico: lavoriamo e piantiamo viti sul vulcano più grande d’Europa e ancora attivo. Occorre raccontare l’intero territorio e dare un panorama mondiale di un territorio super fertile”. Sulla decisione del Consorzio, confermata, del porre dei limiti ai nuovi impianti per i prossimi tre anni, Andrea commenta: “La gestione del limite dei nuovi impianti è importante, è giusta. Non deve essere un diktat perenne, ma da riconsiderare, in futuro, anno per anno. Giusta decisione, per consolidare quanto si è fatto e per lavorare sulla qualità, per poi magari riaprire e per trovare di volta in volta una soluzione intelligente”.
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