Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

“L’Europa ha abolito il Nutriscore, vittoria per l’Italia? Un passo avanti ma non servono le crociate sull’identità”

04 Marzo 2025
Alberto Grandi Alberto Grandi

Alberto Grandi, professore di Storia del cibo presso l’Università di Parma, conduce da anni una battaglia intellettuale contro i feticci gastronomici del nostro tempo, fra cui quei fantomatici “prodotti tipici”, che sembrerebbero aver vinto il braccio di ferro dell’etichettatura nutrizionale europea su pressione del governo italiano

Potrebbe esserci una svolta nell’annosa vicenda del Nutriscore, controverso sistema di etichettatura a colori ideato in Francia da un’équipe di ricercatori guidata dal nutrizionista Serge Hercberg e già adottato in una manciata di paesi europei, fra cui Belgio, Spagna, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, per qualche tempo anche il Portogallo. Cataloga i cibi in base a una doppia scala: cromatica e alfabetica, dal verde al rosso e dalla lettera A alle E, in base a specifici punteggi basati sulle tabelle nutrizionali della britannica Foods Standard Agency, che considerano il contenuto di vegetali, fibre, proteine versus zuccheri, grassi e sodio, finendo per penalizzare paradossalmente la dieta mediterranea. 

Ebbene l’emittente Radio France ha recentemente riferito che l’ONG Foodwatch alla fine dello scorso anno avrebbe visionato un documento, in cui il direttore generale dell’Agricoltura della Commissione Europea, l’austriaco Wolfgang Burtscher, rivolgendosi a rappresentanti della grande distribuzione tedesca assicurava che l’etichettatura comune non avrebbe copiato alcun sistema esistente, quindi nemmeno quello a semaforo. La marcia indietro secondo l’emittente sarebbe dovuta alle forti pressioni esercitate dal governo italiano, favorevole piuttosto al sistema denominato Nutrinform Battery, basato sulle porzioni e non sulla quantità standard di 100 grammi. Ma ancora mancano in proposito dichiarazioni ufficiali da parte delle autorità, che si sono limitate a ribadire l’esigenza di trovare soluzioni condivise volte a fornire ai consumatori informazioni trasparenti. 

Nella querelle non ha mancato di riaffiorare il consueto nostalgismo dei prodotti tipici, penalizzati da un approccio riduzionistico che obliterando la presenza di additivi e i processi di elaborazione, arriva a equiparare alimenti processati come le patatine fritte surgelate agli spinaci freschi, privilegia le bibite gasate contenenti aspartame su quelle dolcificate con zuccheri naturali e discrimina addirittura con una misera classe C l’olio extravergine di oliva, che non viene certo consumato un etto alla volta, per non parlare di formaggi e salumi (il Parmigiano Reggiano relegato in classe D e il Prosciutto di Parma in classe E a causa dell’elevato contenuto di grassi e sodio, senza considerare altri nutrienti benefici). A detta dei critici occorrerebbe piuttosto tenere conto dell’equilibrio complessivo dell’alimentazione e dell’uso corretto di ogni singolo prodotto, salvaguardando in ogni caso quelli regionali e tradizionali.

Professor Grandi, anche in questa polemica non è mancato il consueto richiamo alla dieta mediterranea e ai cosiddetti “prodotti tipici”, a marchio Dop o Igp, difesi da una strenua azione di lobbying. 

Non sono un esperto, ma mi sembra ci sia stata una forte strumentalizzazione della politica su questo strumento, che va sicuramente messo a posto. Non credo assolutamente che l’Europa voglia discriminare i nostri prodotti tipici. Non c’è stata nessuna offensiva in materia, visto che l’informazione riguarda il contenuto nutrizionale di qualsiasi cosa, senza intenti specifici. Piuttosto vedo un’operazione ideologica e come spesso accade, il mio dubbio è che dietro ci sia Coldiretti, con la sua difesa a oltranza di una tradizione inventata.

In questo frangente il governo italiano si è accreditato quale guardiano della tipicità, al contrario del francese e dello spagnolo. Come se lo spiega? 

Intravvedo un intento prettamente politico e di costruzione del consenso nell’idea che tutto il mondo si coalizzi contro le nostre eccellenze gastronomiche, di cui non si interessa affatto, se non al momento del consumo. Continuo inoltre a pensare che in Italia ci sia una sottovalutazione dei cittadini, come se fossero stupidi. È vero che il Nutriscore evidenzia numerose debolezze, ma non per questo il signor Mario smetterebbe di mangiare il lardo di Colonnata. In Francia forse c’è una maggiore considerazione dei consumatori. Per inciso questo riguarda anche l’italian sounding, la cui minaccia presuppone che nessuno sappia distinguere fra Parmigiano e parmesan, Asiago cinese e veneto. Di certo l’ideologia della tipicità da noi è stata più potente che altrove, rappresentando il mezzo per costruire un’identità nazionale e locale. Eppure gran parte dei prodotti tipici italiani ha un mercato meramente locale, servono quasi solo per le sagre, con l’eccezione di prosciutti, Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Aceto Balsamico. È davvero una guerra di retroguardia, di natura politica e ideologica più che economica. La Francia ha un atteggiamento orientato al mercato, l’Italia all’identità. Se facciamo queste crociate, infine, significa che i primi a non fidarci dei nostri prodotti siamo noi, come se la qualità non bastasse per resistere all’assedio del nemico. Se pure la candidatura Unesco della cucina italiana la spuntasse, nessuno mangerebbe una carbonara in più. Titilleremmo solo il nostro orgoglio.

Si tratta di una vittoria per l’Italia? Oppure dobbiamo aspettarci una vittoria di Pirro?

Ribadisco che lo strumento andava sistemato. Se l’affermazione del governo italiano è funzionale a creare uno strumento utile e trasparente, ben venga. Se serve a una fantomatica guerra con l’Europa, ci facciamo del male e ci isoliamo. Piuttosto avremmo tutto l’interesse ad allearci con la Francia e la Spagna. Poi resta da vedere cosa ne verrà fuori.