Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar Lazio che ha visto contrapposti Duca di Salaparuta e il consorzio Doc Sicilia.
La “guerra”, a colpi di carte bollate, era iniziata sulla questione delle modifiche ai disciplinari della Igt Terre Siciliane e della Doc Sicilia che modificava rese di produzione, ma soprattutto impediva, ai produttori dell’Igt Terre Siciliane, di inserire in etichetta i nomi dei vitigni Grillo e Nero d’Avola. I giudici, come raccontavamo in questo articolo>, avevano concesso alla Duca di Salaparuta di poter indicare in etichetta i nomi dei due vitigni in attesa dei pronunciamenti da parte di Bruxelles. Ora arriva la sentenza del Consiglio di Stato che stravolge quella del Tar e delinea perfettamente i nuovi disciplinari della Igt Terre Siciliane e della Doc Sicilia. Duca di Salaparuta era rappresentata dagli avvocati Stefano De Bosio, Andrea Manzi, Antonio Papi Rossi e Romano Vaccarella, mentre la Doc Sicilia dagli avvocati Ferdinando Albisinni e Sandro Amorosino. I giudici chiariscono intanto un punto importante. Sia i vini a DO che quelli a IG possono utilizzare nell’etichettatura nomi di vitigni o loro sinonimi, menzioni tradizionali, riferimenti a particolari tecniche di vinificazione e qualificazioni specifiche del prodotto “e che “le specificazioni, menzioni e indicazioni, fatta eccezione per la menzione “vigna”, devono essere espressamente previste negli specifici disciplinari di produzione, nell’ambito dei quali possono essere regolamentate le ulteriori condizioni di utilizzazione nonché definiti parametri maggiormente restrittivi rispetto a quanto indicato”.
Poi un altro passaggio importante: “La collocazione di un vino tra gli Igt o i Doc è dovuta essenzialmente a scelte commerciali dei viticultori e produttori”. Il disciplinare Igt è meno restrittivo rispetto al disciplinare Doc. “Le caratteristiche del prodotto Doc sono strettamente connesse all’ambiente naturale ed ai fattori umani e tradizionali dell’ambito geografico – si legge nella sentenza – per i prodotti Igt è rilevante il solo collegamento con la zona geografica di produzione, collegamento preponderante ma non necessariamente esclusivo, potendo essere utilizzate in piccola parte (15%) anche uve di altra provenienza geografica (e questo consente anche di sperimentare nuovi tipi di uvaggi, grazie proprio alla maggior libertà di azione). Diversa è poi la previsione di resa per ettaro e di resa uva/vino, vale a dire che è consentito un maggiore sfruttamento intensivo dei vigneti rivendicati a produzione Igt”. Dunque “i disciplinari Doc e Igt prevedono diversi livelli di “identità” dei vini, determinati essenzialmente dalla diversa percentuale e qualità di vitigni autoctoni utilizzati per la produzione e dal carattere più o meno delimitato e ben individuato e/o ristretto della zona geografica di produzione delle uve, caratteristiche che fanno sì che i vini Doc risultino più specificamente correlati alle caratteristiche uniche del territorio, superiori in qualità e più rinomati proprio in ragione del carattere pregiato dei vitigni utilizzati e della loro stretta caratterizzazione geografica”.
Considerazioni che erano state già evidenziate dal Ministero, ma che, secondo i giudici, sono “a tutela non solo della competitività in campo commerciale dei detti vitigni, ma a tutela, tra l’altro, del consumatore, specie del consumatore meno accorto, che potrà così non essere tratto in inganno dalla indicazione “Nero d’Avola” e “Grillo” tanto nell’etichetta dei vini Igt che dei vini Doc (come avveniva prima della modifica), nonostante i relativi protocolli di produzione seguiti siano diversi, nell’uno e nell’altro caso, in ordine alla provenienza esclusiva o meno dei vitigni dalla zona geografica, al tipo di controlli eseguiti, circa l’intensità di sfruttamento dei vigneti e delle uve prodotte”. Per i giudici, dunque, dopo la modifica dei disciplinari, il consumatore “dovrebbe potenzialmente essere in condizione di compiere le proprie scelte più consapevolmente”. Lo scopo della proposta di modifica del disciplinare dell’Igt Terre Siciliane non è quello “di svilire il ruolo della stessa indicazione geografica, che mantiene, comunque, il ruolo di importante Igt regionale per tutte le altre tipologie di vini qualificate o meno con il nome di altri vitigni, ma è quello di perseguire l’innalzamento dell’immagine e l’ulteriore valorizzazione qualitativa dei vini derivati dai due vitigni autoctoni inserendoli nel sistema di controllo delle Doc”.
Tra l’altro, dicono i giudici del Consiglio di Stato, “la modifica è frutto di una valutazione condivisa dalla filiera (non avendo altri produttori presentato osservazioni alla modifica oltre la Duca di Salaparuta), tale da far ragionevolmente presumere il consenso di una larga maggioranza della vitivinicoltura siciliana al progetto di valorizzazione dei due vitigni, sia sotto l’aspetto qualitativo, sia sotto l’aspetto dell’immagine che essi hanno nel mondo. Poi si torna sulla questione chiarezza agli occhi del consumatore “che assocerà l’indicazione dei vitigni “Nero d’Avola” e “Grillo” soltanto con i vini del relativo territorio che appartengono alla categoria gerarchico qualitativa più elevata (Doc Sicilia)”. Secondo i giudici, “la modifica richiesta al disciplinare di produzione dei vini Igp “Terre Siciliane”, riguardante il divieto di utilizzare in etichetta i soli nomi dei vitigni, Grillo, Calabrese e sinonimi (Nero d’Avola), è pienamente legittima, in quanto consentita dalla norma nazionale, la legge 238 del 2016. Né dal testo della norma, né dalla sua ratio è desumibile che una volta prevista dal disciplinare l’indicazione del vitigno non possa essere successivamente vietata”. Lo scopo delle modifiche, è quello, riconosciuto anche dalla comunità europea, di valorizzare i prodotti agro-alimetari di qualità, a tutela sia dei produttori che dei consumatori. Invece, scrivono i giudici, “l’esclusione dell’utilizzo in etichetta dell’Igt del nome del vitigno Nero d’Avola e Grillo ha come finalità quella di preservare ed elevare la qualità del vino prodotto con tali vitigni, le cui peculiarità qualitative, quantitative e di mercato sono la base del valore storico-produttivo ed economico della vitivinicoltura siciliana, valorizzandolo esclusivamente come Doc”. Il consumatore medio non conosce molto bene le differenze tra un Doc e una Igt e si lascia guidare negli acquisti dal vitigno che trova in etichetta o dal rapporto qualità/prezzo. “L’indicazione del vitigno Nero d’Avola e Grillo indifferentemente nell’etichetta del vino Doc e dell’Igt è idonea, in effetti, ad ingenerare confusione nel consumatore, ovvero la convinzione di un’apparente equivalenza dei prodotti – prosegue la sentenza – Senza nulla togliere alla specifica qualità del prodotto Igt “Terre Siciliane”, e specificamente dell’Igt prodotto da Duca di Salaparuta la cui tradizione è stata egregiamente rappresentata in giudizio, è tuttavia innegabile che la produzione e commercializzazione dei vini che utilizzano Nero d’Avola e Grillo, vitigni pregiati, secondo il disciplinare Doc garantisce che la produzione avvenga secondo il più rigoroso disciplinare Doc e con un sistema di controllo più incisivo (con analisi anche organolettiche, e per di più di tipo sistematico). I prodotti Igt e Doc non si equivalgono. E’ bene che l’etichetta non induca confusioni nel consumatore”.
Né si può parlare di sleale concorrenza, in quanto “la ratio della disciplina in materia è quella di preservare le particolari caratteristiche di qualità dei vini, e non quella, se non indirettamente, di favorire il confronto e la libertà concorrenziale tra produttori”. E rientra nella libera scelta dei produttori “aderire all’uno o all’altro disciplinare di produzione, essendo in Italia i vigneti contemporaneamente iscritti allo schedario viticolo ai fini della produzione sia dei vini Doc che dei vini Igt della zona di riferimento”. Nella stessa area di produzione possono coesistere vini Do e Ig, anche derivanti dagli stessi vigneti, ma devono essere i produttori a scegliere, ogni anno, a quale disciplinare aderire.
Per quanto riguarda le rese, i giudici chiariscono anche questo punto. “Le rese per ettaro previste per il Nero d’Avola e Grillo nel disciplinare della Doc Sicilia erano e restano, comunque, molto più basse di quelle previste per i medesimi vini nel disciplinare della Igt Terre Siciliane- si legge nella sentenza – Per i vini Igt la produzione massima di uva per ettaro, con o senza specificazione del vitigno, non deve essere superiore a 18 tonnellate per ettari per i vini bianchi, come il Grillo e di 16 tonnellate per ettaro per i vini rossi, come il Nero d’Avola. La resa massima dell’uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore all’80% per tutti i tipi di vini, dunque, con una resa ammessa di vino per ettaro di 144 ettolitri per il Grillo e di 128 ettolitri per il Nero d’Avola. Per i vini Doc Sicilia, con le modifiche, la produzione massima di uva ad ettaro è di 14 tonnellate per ettaro sia per il Grillo che per il Nero d’Avola con una resa di uva in vino che rimane ferma al 70%. Si aggiunga che i vigneti potranno essere adibiti alla produzione del vino a denominazione di origine controllata “Sicilia” olo a partire dal terzo anno dall’impianto e che “nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione di detti vini devono essere riportati nei limiti di cui sopra, purché la produzione complessiva non superi del 20% i limiti medesimi, fermo restando i limiti di resa uva/vino di cui trattasi. La resa massima dell’uva in vino, e la produzione massima di vino per ettaro a denominazione di origine controllata sono le seguenti: 70% e 98 ettolitri per ettaro. Permane, dunque, anche dopo le modifiche, la resa ad ettaro e di uva in vino minore rispetto all’Igp, che caratterizza normalmente il Doc. Pertanto, non vi è sviamento alcuno, né un’operazione commerciale che tende a rendere simile il vino Doc all’Igt”.
C.d.G.
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