Lavorano nell’ombra ma sono loro a garantire la perfetta efficienza della cucina di un ristorante.
I sous chef sono più di un braccio destro dello chef. Spesso diventano la sua mente e il suo palato e la loro abilità è importante nella riuscita di un buon piatto tanto quanto il tocco creativo dello chef.
Allora facciamoli uscire dall’ombra, perché i sous chef, in fondo, non sono secondi a nessuno. E iniziamo con Marco Corallo del ristorante Duomo di Ragusa Ibla.
Da ragazzino bazzicava nella pasticceria del padre a Vittoria, in provincia di Ragusa, ma senza troppa convinzione. Tra un dolce e una crema, si ritrovava a pensare che quella vita sacrificata, tutte quelle ore di lavoro anche nei giorni di festa, non facessero per lui. Ma si sbagliava, anche se alla siringa da pasticcere alla fine ha preferito il coltello da chef. “A 16 anni ho capito che avrei voluto fare il cuoco – racconta Marco Corallo – e così ho iniziato a lavorare nei ristoranti per imparare il mestiere”. Dieci anni passati a cucinare in Germania, a Monaco di Baviera, gli hanno fatto tornare fortissimo il desiderio di casa. “Si stava bene, ma non c’era mai sole e al posto del finocchietto selvatico mi propinavano l’aneto. Ho finito con l’odiarlo. Quando Ciccio Sultano mi ha offerto la possibilità di lavorare con lui al Duomo – racconta – ho accettato senza esitazioni”.
Da allora sono passati sei anni, “quasi sette – precisa – e così ho pareggiato il debito di famiglia”. Sultano e Corallo, infatti, si divertono a raccontare una vecchia storia, quella in cui il giovane Sultano lavora per sette anni alle dipendenze del padre di Marco, alla pasticceria Sweet. “Lui ha dato a mio padre sette anni della sua vita e io gliene ho restituiti quasi sette della mia. Tra poco saremo pari” dice sorridendo.
“Questi anni al Duomo sono stati favolosi e sebbene il lavoro sia molto impegnativo, mi ha consentito di crescere professionalmente. Non avrei potuto scegliere posto migliore. É come se stessi prendendo una laurea sul campo”.
Corallo segue Sultano quasi come un ombra: “sono con lui in molte trasferte e questo mi permette anche di avere un confronto costante con altri colleghi, cosa che trovo molto stimolante”.
“Al Duomo si fa una cucina complessa – spiega – . Ciccio è uno che ama aggiungere nei suoi piatti, non togliere e, in questi anni, penso di avere capito esattamente cosa desidera, come vuole che venga realizzato un piatto, cosa sulla quale mi trovo in assoluta sintonia. Conosco perfettamente il suo palato e questo mi permette di interpretare il suo gusto e anche il suo pensiero a riguardo. Ma nei piatti che presentiamo c’è anche molto di mio perché le ricette le costruiamo insieme ragionando su tutti gli aspetti, dal gusto alla presentazione, ai tempi di preparazione”. Un esempio di perfetta sinergia è “il capretto e il suo mondo”, un piatto creato da Sultano e Corallo pensando a cosa mangia l’animale e a cosa produce. “Il risultato è un capretto servito con crema di caprino e verdure di stagione”. E anche la pasticceria, in qualche modo, è rimasta presente nella sua vita oltre che nel suo dna, perché i dolci del Duomo passano anche dalle sue mani.
Corallo oggi ha 39 anni, una moglie e tre figli di 14, 10 e 3 anni, “tre maschi meravigliosi”, ci tiene a sottolineare, e sarebbe pronto a spiccare il volo. “Al Duomo sto benissimo, ma mentirei se dicessi che non penso ogni tanto ad un ristorante tutto mio”. Lo immagina nella sua Comiso, trenta-quaranta coperti, accogliente, con una cucina semplice dove a farla da padrone siano le materie prime di qualità. “Anche se il periodo che stiamo attraversando è difficile, io credo che possa diventare il momento giusto se ci si sente pronti. Io lo sono moralmente ma non economicamente”. E la butta lì: “ci vorrebbe qualcuno pronto a scommettere su di me. Ma in Sicilia. Perché dopo dieci anni di Germania senza sole e senza le nostre materie prime, so che è qui che voglio restare”.
Clara Minissale
nella foto Marco Corallo (foto di Franca Formenti)