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Il personaggio

“Vini italiani negli Usa, il boom durerà”

04 Aprile 2012
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Parla l’italoamericano Leonardo Lo Cascio, fondatore di Winebow.

“L’Italia, il primo Paese importatore negli Stati Uniti in termini di volume è l’unico in grado di comunicare la territorialità attraverso le proprie etichette. In più ha un grande vantaggio, quello di aver creato un binomio tra ristorazione e vini”.

A parlare è Leonardo Lo Cascio (nella foto), “chairman”, ovvero, capo del consiglio di amministrazione, nonché fondatore della Winebow, la più importante società di import e distribuzione di vini degli Stati Uniti, con un parco clienti che conta più di cento brand in tutto il mondo, la maggior parte italiani.

Fondata nel 1980, la società conta oggi 535 dipendenti e ha un fatturato complessivo di 270 milioni di dollari. Oggi Lo Cascio, che ha ceduto il posto di Ad a Jon Moramarco, si dedica alla gestione dei clienti italiani. 

Il “chairman,” parla di come sia cambiato negli ultimi trent’anni il consumo di vino negli USA.  “Le tipologie in America più apprezzate oggi sono il Pinot Grigio e il Prosecco – spiega Lo Cascio -. Il successo del Pinot Grigio altro non è che un’esigenza di mercato, perché è andato a sostiuire lo Chardonnay che, anche se amatissimo, ha una morbidezza che non si sposa bene con il cibo. Ma questo è il momento del Prosecco. Si è creato una nicchia destinata a durare nel tempo, diventando adesso l’alternativa economica allo Champagne, considerato sempre più un bene di lusso”.

Ma i bianchi non deterrebbero più il primato nelle preferenze dei consumatori. Come riferisce, se negli anni passati le vendite di vino bianco erano cinque volte superiori al rosso oggi si sono bilanciate. “Adesso – precisa – ha preso molto più spazio il rosso. La crescita di una conoscenza enologica è stata direttamente proporzionale alla sofisticazione del palato”.

L’aumento della richiesta sarebbe dovuta allo spirito di emulazione nei confronti dello stile di vita francese, o come lo definisce il manager il “paradosso francese” che starebbe determinando il cambiamento del gusto della gente. “Ricordo che quando ho iniziato – continua Leonardo- arrivava davvero poco dall’Italia, c’erano ancora i fiaschi di Chianti con la paglia intorno. Erano pochissimi i prodotti conosciuti e il Brunello di Montalcino era considerato una bevanda esoterica. Nessuno sapeva cosa fosse il Vino Nobile di Montepulciano. Oggi invece la situazione è ben diversa e l’Italia è il primo Paese per  volume di importazione negli Stati Uniti, seguita dall’Australia”.

Ad avere spinto il consumo delle etichette made in Italy sarebbe stato anche un appiattimento qualitativo dei vini australiani, che avrebbe finito per stancare il consumatore sempre più preparato e desideroso di sentire differenze e specificità territoriali. “Se si degustano 50 vini australiani alla cieca sembra di bere 50 volte la stessa bottiglia. Mancano d’identità e questo aspetto ha  contribuito alla ricerca sempre più frequente di vini italiani, che esprimono invece in toto la diversità dei territori e le peculiarità dei vitigni autoctoni”.
 
Fattore determinante per la crescita del vino  italiano è stata la ristorazione, che ha saputo creare una simbiosi con il vino unica al mondo. “Non c’è ristorazione forte come la nostra – dice- . La francese è ormai vecchia e non riesce a creare questo binomio. Inoltre con una popolazione in crescita del 2%, ovvero circa 6 milioni di consumatori potenziali l’anno, si avrebbe un consumo pro capite di circa il 35-40% in più. E questo ci spinge ad essere sempre più ottimisti”.

Per Lo Cascio quello che è mancato all’exploit del vino italiano all’estero è stato il debole supporto da parte delle istituzioni. E punta il dito contro le mosse sbagliate dell’Ice (Istituto per il Commercio Estero). “Negli anni quest’organo, invece di aiutare il commercio estero, lo ha inficiato. La prassi infatti  era quella di cercare di accontentare tutti. Il risultato?  Si creavano dei “carrozzoni” invitando tutti i produttori di una regione, inclusi quelli che non avevano neppure un importatore. Oltre ad essere uno spreco di denaro pubblico è stato anche un danno per le aziende che avevano creato un minimo di commercializzazione. Per non parlare poi dell’infelice idea di far pagare le degustazioni agli importatori: la stangata finale”!

Una piazza irrinunciabile per sviluppare legami con i mercati esteri per Lo Cascio rimarrebbe la fiera. Da quest’ultima edizione del Vinitaly l’importatore avrebbe colto una ripresa inaspettata. Positivo infatti il parere sull’esito del nuovo calendario. “Per noi  il Vinitaly è sempre stato un grande investimento e un grande appuntamento. Quest’anno abbiamo portato più di quaranta persone, alcuni in viaggio premio, altri per farli interfacciare direttamente con il panorama vitivinicolo italiano. Devono conoscere le nostre realtà, i nostri produttori, devono essere in grado di andare  in giro per gli stand per valutare tutte le nostre tipologie, dal Chianti Classico all’Amarone. È stata una bella idea quella di far iniziare la fiera la domenica.  E se per noi importatori ci fosse un giorno in più sarebbe ancora meglio”.

Maria Antonietta Pioppo