di Stefania Petrotta
Direttamente dal ristorante una stella Michelin “Vespasia” di Norcia, in Umbria, è Valentino Palmisano il nuovo chef de “La terrazza degli dei”, ristorante all’interno dell’hotel “Villa Athena” ad Agrigento.
Ce lo racconta in anteprima mentre ancora si trova in Svizzera dove sta ultimando una consulenza. Lo raggiungiamo al telefono e ci sembra davvero entusiasta “Sono sincero – spiega – mia moglie Ottavia è siciliana di Termini Imerese, i miei figli sono cresciuti più in Sicilia che altrove, complice la pandemia, e io stesso penso che la Sicilia sia una terra bellissima in cui piantare finalmente le tende, quindi, quando mi è stata prospettata quest’occasione, in tutta onestà, non ho avuto molti dubbi”. Ben si comprende la voglia di “trovare casa” di questo chef girovago dando una scorsa al suo percorso professionale. Classe 1981, 100% napoletano, come ama autodefinirsi, Valentino inizia a lavorare in cucina, appena diplomato all’Istituto alberghiero, a “La sacrestia”, noto ristorante dell’epoca in città, sotto la guida di Felice Ponari. Da qui in poi lavora sempre in ristoranti di altissimo livello sotto la guida di chef che hanno fatto la storia della cucina: al Four Seasons di Milano con Sergio Mei, al Capri Palace, nell’omonima isola, sotto la guida di Oliver Glowig, al bistellato “Don Alfonso” di Sant’Agata sui due Golfi con Alfonso Iaccarino, al “Rossellinis” di Palazzo Sasso a Ravello, insieme a Pino Lavarra che considera uno dei suoi due maestri, insieme a Glowig. Ancora, è con Bruno Barbieri al ristorante due stelle Michelin “Arquade” dell’Hotel Villa del Quar in provincia di Verona, al Badrutt’s Palace di St. Moritz, in Svizzera, e al “La torre”, il ristorante del Castello del Nero in Tavarnelle Val di Pesa, nel cuore del Chianti, che lo vede finalmente protagonista come chef. E ancora, seguendo la moglie Ottavia, general manager della Camera di Commercio Italiana in Cina, sbarca dapprima a Shanghai al ristorante “Sabatini” per spostarsi, successivamente, in Giappone al Ritz Carlton di Kyoto dove viene chiamato per aprirne il ristorante italiano “La locanda”.
Nel 2017 ha la possibilità di rientrare in Italia, in una Norcia ancora sofferente per i terremoti della seconda metà del 2016, alla guida, appunto, del “Vespasia” di Palazzo Seneca, ristorante con una stella Michelin che, grazie al suo lavoro e all’impegno della proprietà e dello staff, ha la soddisfazione di vedere confermata fino ad oggi. “Sono rimasto fermo un anno a causa della pandemia – racconta – fatte salve alcune esperienze, come quest’ultima in Svizzera. Nel frattempo mi sono arrivate varie proposte, alcune anche molto lusinghiere, ma quest’anno mi è servito a fare delle riflessioni che mi hanno portato a decidere di far prendere un’altra direzione alla mia vita e quindi, quando Stefano D’Alessandro, proprietario del Villa Athena, mi ha offerto di diventare l’executive chef del suo hotel, ho pensato che fosse l’occasione giusta per sbarcare finalmente in Sicilia”. Questa novità porterà alcuni cambiamenti logistici e strutturali. Innanzitutto saranno due i ristoranti: uno più propriamente gourmet, 25-30 coperti, un solo menù degustazione esperienziale; l’altro un ristorante di cucina più semplice, ma sempre di qualità che punta alla tradizione e si concentra sui prodotti locali, dove poter gustare le classiche ricette siciliane. Inoltre, si procederà al rifacimento della terrazza e al rinnovo dell’arredamento in chiave più essenziale.
“Al Villa Athena sei in un posto unico – spiega Palmisano – Il tuo vicino di casa ha 2.400 anni, non hai bisogno di esagerare perché il contesto è già di per sé “tanto”, non hai bisogno di abbellimenti perché hai il Tempio della Concordia come sfondo. E tutto questo da un lato ti rende unico, perfetto, inimitabile, dall’altro crea un’aspettativa enorme nei confronti dell’offerta. Occorre essere all’altezza. Di più: occorre essere così bravi da riuscire a distrarre l’ospite dal contesto. Anche la scelta di offrire un solo menu degustazione, declinato in una versione più piccola e una più grande, nasce dalla necessità di offrire un’emozione cucita su misura, sì, per il cliente, ma in quella determinata cornice”.
Quello che non cambierà, invece, è la cucina di Palmisano. Due le regole base: con mezzo bicchiere d’acqua la bocca deve tornare pulita e il buono assoluto non esiste perché il gusto è soggettivo. Per il resto una cucina che si basa sulla stagionalità, sull’armonia del susseguirsi delle portate, sulla naturalezza ma, soprattutto, sul territorio. L’esperienza sarà dunque quella che lo chef ha sempre offerto in qualsiasi luogo geografico si trovasse, perché la sua è sempre stata una cucina che legge il territorio nel quale opera. “È chiaro – continua – che gli ingredienti che avevano un ruolo chiave a Norcia, l’animella, il piccione, il tartufo nero, non avrebbe senso riproporli qui. Sarebbe infatti stupido da parte mia pensare di offrire lo stesso prodotto in due località così diverse. Sicuramente manterrò lo spaghetto al pomodoro perché è il mio signature dish, ma per il resto sto già esplorando il territorio girgentano. Da tutti i punti di vista perché non dimentichiamo che è anche un territorio che ha un’imprescindibile forte connotazione culturale, dal sommo Pirandello al contemporaneo Camilleri, quindi è un contesto che offre tanto e tanto ha da scoprire, da studiare, da comprendere. E poi Agrigento è il posto dove ho intenzione di rimanere perché, come dicevo all’inizio, poter far crescere i miei figli in Sicilia la considero una vera fortuna. Aver incontrato questi imprenditori, dunque, mi da l’opportunità di poter fornire i miei figli di radici forti e per me questa è la cosa più importante, sicché non posso che avere grandi progetti per questo posto”. E allora in bocca al lupo, chef.